RELAZIONE DI STIMA EX ART. 2343 c.c.
di ex Azienda Speciale (Municipalizzata) trasformata in S.P.A. -
Principali Problematiche
NATURA della PERIZIA
Propedeuticamente rispetto all'avvio della perizia è opportuno
identificare con esattezza l'oggetto della medesima, ossia la
tipologia di operazione societaria straordinaria che ha reso
necessaria, ai sensi di legge, l'attribuzione dell'incarico
all'esperto.
Il Consiglio Comunale
ha approvato e definito le modalità inerenti la trasformazione
dell'Azienda Speciale mediante scissione e destinazione a società di
nuova costituzione del ramo aziendale "servizio idrico" e mantenimento
in vita dell'Azienda Speciale delle altre funzioni di servizio
pubblico. Nel prosieguo della stessa deliberazione, si legge fra
l'altro che ai sensi dell'art. 115 del d.l. 267/2000, la definitiva
determinazione dei valori patrimoniali conferiti alla nuova Società
verrà eseguita a mezzo di relazione giurata di un esperto designato
dal Presidente del Tribunale ai sensi dell'art. 2343 1° comma del C.C.
Dalle frasi appena
riportate emergono sia il termine "trasformazione" che quelli di
"scissione" e "conferimento". É dunque necessario procedere a un
sintetico approfondimento per inquadrare l'esatta natura
dell'operazione societaria sottostante, considerato che a differenti
tipologie di operazioni corrispondono distinte metodologie da
adottarsi ai fini della stima aziendale.
La trasformazione
societaria, disciplinata dagli articoli 2498, 2499, 2500 del Codice
Civile, è la procedura tramite la quale si modifica il tipo di società
adottato in precedenza. Trattasi, in altre parole, di un mutamento
organizzativo e societario che non interrompe la continuità della
gestione aziendale né i rapporti in essere coi terzi; la società resta
perfettamente integra, senza subire frazionamenti o decurtazioni. É
inoltre opinione ormai radicata sia in ambito dottrinale che
giurisprudenziale che la trasformazione societaria implichi una
semplice variazione formale, e non possa in alcun modo prefigurare la
costituzione di una nuova società: ogniqualvolta l'operazione preveda
la creazione di una Società ex novo, non si è più in presenza di una
trasformazione societaria, ricadendo invece in un caso più complesso,
quasi sempre caratterizzato da un conferimento.
Cercare di definire
l'esatta natura dell'operazione societaria in esame non è una oziosa
dissertazione fine a se stessa, ma costituisce un elemento essenziale
per impostare correttamente la presente perizia di stima. Le
metodologie applicabili, infatti, differiscono a seconda del tipo di
operazione, come evidenziato da De Angelis, Profili di diritto
contabile nella trasformazione delle società, in Giurisprudenza
Commerciale, 1997-I, pp. 349 e 355 :
"La stima può
avvenire, secondo l'insegnamento della dottrina aziendalistica e nel
silenzio della legge, in applicazione di due distinti e divergenti
criteri concernenti principalmente la valutazione dei cespiti
attivi: quello a valori correnti, improntato alla rappresentazione
del valore di mercato in un determinato momento dei beni costituenti
il patrimonio aziendale; e quello in ipotesi di funzionamento (o a
valori di congruità), mirato al mantenimento dei valori dei beni
iscritti nella contabilità sociale in applicazione delle regole
dettate dalla legge per la formazione del bilancio di esercizio."
"Una relazione di
stima redatta a valori correnti potrà anche indicare il valore
d'avviamento dell'azienda di pertinenza dell'impresa sociale che, al
pari degli eventuali plusvalori dei cespiti patrimoniali rispetto
alle loro evidenze contabili, concorre alla formazione delle riserve
implicite; non così, invece, nel caso in cui tale relazione venga
redatta a valori di congruità, senza cioè far emergere le predette
riserve implicite e mantenendo come limite superiore alla stima del
valore del patrimonio sociale, e dei singoli beni che lo compongono,
quello risultante dalle scritture contabili tenute ai fini della
formazione del bilancio d'esercizio."
Trasformazione societaria
Nel caso di trasformazione societaria dottrina e giurisprudenza
concordano nel tratteggiare, in fase estimativa, una posizione
fortemente conservativa. In merito, la Relazione Ministeriale n.1022
dispone che la stima del patrimonio sociale debba "evitare che, a
seguito della trasformazione, si possa avere una supervalutazione
della società trasformata, idonea a trarre in inganno il credito e i
soci futuri". E la medesima preoccupazione viene condivisa da tutti
gli autori, così come dai giudici chiamati ad esprimersi in questi
anni su tale problema.
La posizione più rigida è quella assunta da coloro che ritengono
necessaria la cosiddetta stima a valori "di congruità",
attribuendo cioè al perito il solo compito di attestare la correttezza
o meno di ogni singola posta contabile dello stato patrimoniale,
astenendosi dall'applicare valutazioni in qualsiasi modo riferibili al
concetto di mercato. In tal senso si esprime una Massima del
Tribunale di Milano, 1998, che recita:
"La stima deve
avvenire a valori di congruità e non a valori correnti, come invece
si richiede per i casi di conferimento per i quali la valutazione ha
per oggetto beni che vengono immessi ex-novo nel patrimonio della
società".
L'essenza della stima
espletata a valori di congruità viene efficacemente espressa da
Alberti, La Gestione Straordinaria, vol.IV, pp.188 e ss., Giuffrè,
1990 :
"In sostanza
l'esperto deve valutare se il patrimonio aziendale nelle sue
componenti positive e negative è stato determinato nel passato
secondo i principi previsti dal codice civile per la determinazione
del patrimonio e contestualmente del risultato economico delle
società di capitali. Lo scopo non è quindi quello della
determinazione del capitale economico o di cessione, in quanto
cessione non esiste, ma della determinazione del patrimonio,
capitale e riserve, "civilistico", cioè ricostruito attraverso
l'applicazione delle norme civilistiche in materia di bilancio."
"La relazione di
stima deve essere strutturata come un bilancio di esercizio, sia
pure privo di conto economico e nota integrativa, e come tale deve
rispettare i criteri legali di valutazione delle poste riportate" (Tribunale
di Milano, Massima 1998).
"La relazione di
stima costituisce un vero e proprio bilancio, anche se
straordinario, e come tale deve essere strutturata e deve
comprendere i relativi criteri di valutazione, che sono differenti
da quelli dettati nell'ipotesi di conferimento" (Tribunale di
Napoli, 12.01.1998).
É evidente che,
nell'ambito di una simile configurazione, il ruolo del perito cessi di
essere tale, per assumere piuttosto una figura di mero "revisore" o "certificatore"
contabile, riferibile non tanto allo stato attuale, quanto piuttosto
alle modalità di formazione del medesimo, verificatesi negli esercizi
precedenti.
Un approccio meno vincolistico è quello che, pur confermando
l'obiettivo prioritario di garantire creditori e terzi, attribuisce
alla relazione di stima un compito maggiormente affine alla sua
denominazione, ossia un'effettiva valutazione dei singoli componenti
del patrimonio aziendale, sebbene intesi come complesso di beni
organizzati e finalizzati al proseguimento di un continuum operativo
che di per se stesso non subisce alcuna modificazione essenziale per
il mero cambiamento della forma giuridica dell'impresa.
Le ricadute pratiche di una simile posizione sulle modalità di
impostazione della perizia sono così sintetizzabili:
a) le valutazioni
dei cespiti attivi fanno riferimento a valori cosiddetti di realizzo
o, al massimo, a valori di costo attuale di riproduzione;
b) le posizioni creditorie e debitorie e i cespiti di natura
finanziaria vengono opportunamente rettificati quando se ne
riscontra la necessità;
c) le cosiddette attività immateriali (marchi, brevetti,
concessioni, etc.) non vengono prese in considerazione o sono
ricordate per memoria;
d) non può essere conteggiato un valore per l'avviamento aziendale,
a meno che l'impresa non abbia sostenuto a suo tempo un effettivo
costo per l'acquisizione del medesimo (così anche Trib.Napoli,
12.01.1995).
La differenza più
rilevante è riscontrabile nel punto a), laddove una simile valutazione
potrebbe risultare (e normalmente risulta) maggiore rispetto agli
importi contabili, abbandonando il concetto di "valori di congruità".
A sostegno di questa impostazione vi sono alcuni riscontri
significativi.
"Per la S.p.A. sorta
in seguito alla trasformazione di una società di persone non vi è
alcun obbligo di passare a capitale il maggior valore del patrimonio
netto derivante dalla relazione di stima." (C.App.BO, 30.04.1982)
E l'art.122 del D.P.R. 22.12.86 n° 917 (Testo Unico delle Imposte
sui Redditi), recita:
"La trasformazione della società non costituisce realizzo né
distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese
quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento."
Le plusvalenze e le
minusvalenze cui si riferisce la norma sono quelle accertate
dall'esperto nella relazione di stima, allorché, evidentemente, i beni
vengano valutati al valore corrente di sostituzione. É interessante
sottolineare il richiamo all'avviamento, che pure rimane (per la quasi
totalità della dottrina e della giurisprudenza) escluso dalla stima
peritale nel caso di trasformazione societaria. D'altro canto,
un'indiretta ammissione di questa posta nell'ambito del processo
estimativo viene comunque riconosciuta da tutti gli autori che
ritengono applicabili metodi reddituali o finanziari basati sulla
prospezione dei flussi degli esercizi futuri: tale procedimento,
infatti, finisce col fare emergere una valorizzazione dell'avviamento,
non come valore autonomamente considerato, bensì come fattore
imprenditoriale, organizzativo e gestionale che consenta di
prefigurare la prosecuzione nel tempo di un'attività aziendale foriera
di reddito.
·
Conferimento aziendale
La pluralità di posizioni riscontrate, sia in campo dottrinale che
giurisprudenziale, in merito alla valutazione delle trasformazioni
societarie, lascia spazio a una maggiore uniformità di vedute allorché
si passa a considerare il conferimento aziendale. In questo caso,
infatti, diventa necessario tutelare non solo l'interesse dei
creditori e dei terzi, ma anche quello dei soci vecchi e nuovi, e
quindi del soggetto conferente: tale finalità comporta l'esigenza di
interpretare la perizia di stima non più come una mera certificazione
contabile, bensì come un avvicinamento ai valori correnti e al
concetto di mercato.
"La natura di
scambio propria del conferimento fà si che il valore attribuito ai
singoli elementi sia quello corrente, inteso come valore di
sostituzione al momento della stima." (M.Nava, Le perizie di
stima, UTET, 2000, p.98).
"La stima dell'esperto ex art.2343 deve tendere alla determinazione
del valore-obiettivo del conferimento, ossia del prezzo che alla
data del conferimento stesso il mercato è disposto a sborsare per
procurarselo." (G.Brescia, Le perizie di stima delle aziende,
Maggioli, 1999, p.114).
Per quanto concerne le
metodologie valutative, non si ravvisano sostanziali differenze fra il
caso della trasformazione societaria e quello del conferimento
d'azienda (o di ramo aziendale), per cui i ragionamenti qui di seguito
sviluppati sono validi per entrambe le situazioni.
Né il Codice Civile né successive norme hanno previsto obblighi in
merito alle modalità della stima, tranne quello, per il perito, di
specificare il criterio prescelto. L'unico vincolo inerisce la forma
della rappresentazione dei risultati della stima, che deve riprodurre
in modo dettagliato il valore dei singoli beni componenti il
patrimonio aziendale.
"La stima ha ad
oggetto il patrimonio della società nella sua interezza, con
l'indicazione analitica di tutti gli elementi dell'attivo e del
passivo e con l'attestazione dell'esistenza di un netto patrimoniale
corrispondente o non inferiore all'ammontare del capitale sociale."
(U.Grisenti, Trasformazioni societarie, La Settimana Fiscale n.35/2000).
É tuttavia essenziale
che la stima complessiva aziendale non risulti una semplice sommatoria
dei singoli valori, ma derivi da un'analisi più ampia, che consideri
una corretta integrazione fra questi.
"Il valore da
indicare è quello attribuito a ciascuno dei beni. L'azienda è un
bene composto, fatto da un coacervo di elementi collegati
organicamente, che pur non perdendo la loro individualità risultano
assorbiti nell'unica entità che li sublima. […….] La relazione di
stima deve esprimere il valore dell'azienda nel suo complesso. Non è
sufficiente, anche se richiesta, l'indicazione del valore dei
singoli componenti, che è prodromico alla definizione del valore
complessivo. Il valore complessivo dell'azienda scaturisce dalla
somma dei valori delle attività e passività, singolarmente
apprezzate, tenuto conto del contesto nel quale sono comprese."
"La relazione di stima deve esprimere il valore dell'azienda nel suo
complesso. Non è sufficiente, anche se richiesta, l'indicazione del
valore dei singoli componenti, che è prodromico alla definizione del
valore complessivo. Il valore complessivo dell'azienda scaturisce
dalla somma dei valori delle attività e passività, singolarmente
apprezzate, tenuto conto del contesto nel quale sono comprese."(M.Nava,
Le perizie di stima, UTET, 2000, p.96 e 146).
L'esigenza di
presentare la valutazione precisando i valori dei singoli beni ha un
riflesso diretto sulle metodologie di stima, rendendo imprescindibile
il ricorso alla valutazione patrimoniale.
"La stima va effettuata, principalmente, in base al criterio della
valutazione patrimoniale analitica e, successivamente, verificata in
base al criterio di valutazione reddituale o misto e poi rettificata
in base all'eventuale goodwill o badwill accertato." (G.Brescia,
Le perizie di stima delle aziende, Maggioli, 1999, p.114).
E, seguendo lo stesso
filone interpretativo, la U.E.C. (Union Européenne des Experts
Contables Economiques et Financiers) prescrive:
"Il valore di
attività deve costituire il punto di partenza e la base di ogni
valutazione d'azienda, mentre in un secondo momento questo valore
deve essere rettificato in funzione della capacità di reddito".
La
"trasformazione" degli enti pubblici in s.p.a.
Il processo delle "privatizzazioni" avviato in questi ultimi anni nel
nostro paese è supportato da un'ampia gamma di normative specifiche.
In questo quadro, si sente spesso parlare della "trasformazione" di
enti pubblici in società per azioni. Ad essere precisi, tale termine
non è completamente appropriato; quanto meno, non è riconducibile al
concetto di trasformazione societaria, dal momento che l'ente pubblico
preesistente non ha connotazioni assimilabili a quelle di un'impresa.
Si verifica dunque un processo novativo che manca invece nell'ipotesi
della trasformazione aziendale, nella quale non si rileva alcuna
soluzione di continuità nel prosieguo della gestione aziendale, prima
e dopo la modificazione della forma giuridica.
"Che si debba
parlare di trasformazione pare indubbio, atteso che è rimasta
l'identità soggettiva dell'ente, la persona giuridica intesa come
centro di imputazione autonomo dei diritti e dei doveri; nessun
trasferimento, cioè, si è avuto del patrimonio dell'ente […....] É
però altrettanto vero che profondamente, radicalmente,
strutturalmente diversa è divenuta la natura dell'ente persona
giuridica; non si tratta semplicemente del, pur importantissimo,
passaggio da ente pubblico ad ente privato. Si tratta di qualche
cosa di più e di diverso: il tipo società per azioni è stato creato
ex novo, e poi con riguardo a un ente pubblico che non aveva "fondo
di dotazione a composizione associativa" e dunque, esprimendosi con
gli ordini concettuali privatistici, aveva i caratteri di una
fondazione, di un soggetto, come si suole dire, padrone di se
stesso.
É stato dunque
necessario costituire:
a) i soci, e con essi e per essi la partecipazione sociale;
b) il capitale, come termine di riferimento della partecipazione
sociale;
c) il capitale, ancora, come cifra, posta di passivo ideale, che
costituisce - non a caso si parla di società di capitali - il
principio base della disciplina per quote ideali, dunque per valori,
del patrimonio sociale, tutelandone l'esistenza in una dimensione
minima e la destinazione all'esercizio dell'impresa."
"Nel sistema di
bilancio delle società di capitali non può procedersi a
rivalutazioni se non in casi eccezionali, casi nei quali la
corrispondente riserva è soggetta ad una specifica disciplina che in
principio ne limita, e talora ne esclude, la distribuibilità.
Diversa è però la situazione quando, pur esistendo un'azienda
esistente e in attività, cambia il regime giuridico
dell'organizzazione del suo patrimonio, evento questo che si
determina in caso di conferimento ad una società di capitali, ovvero
anche in caso di passaggio da una società di persone a società di
capitali.
In questi casi, quella che da un punto di vista
aziendalistico-contabile appare una rivalutazione, giuridicamente è
una valutazione originaria, iniziale, mancando una preesistente
valutazione e iscrizione [a bilancio] regolate dalla disciplina
dell'organizzazione del patrimonio delle società di capitali.
Ora, nel caso che interessa [trasformazione di ente pubblico in
s.p.a.] siamo sicuramente in presenza di una valutazione iniziale, e
non di una rivalutazione, ancora più chiara di quella che si
verifica in caso di trasformazione da società di persona a società
di capitali, proprio per l'assoluta carenza nell'ente pubblico
"trasformato" di tutti gli elementi propri del tipo societario."
(Paolo Ferro Luzzi, La "trasformazione" degli enti pubblici in
s.p.a. e la "speciale riserva", Giurisprudenza Commerciale, 1995, I)
Nella fattispecie in
esame, il Comune ha provveduto a scindere la preesistente Azienda
Autonoma, scorporando da questa il ramo aziendale "Acqua" e
conferendolo a una S.p.A. di nuova costituzione, così come previsto
dalla normativa vigente.
"L'art.17 della
legge 127/1997 non solo ha attribuito agli enti locali la facoltà di
trasformare, per atto unilaterale, le aziende speciali in società
per azioni (comma 51), ma ha anche dato loro la possibilità di
prevedere, sempre con atto unilaterale, la scissione dell'azienda
speciale e la destinazione a società di nuova costituzione di un suo
ramo aziendale (comma 57). La forma di scissione prevista dal comma
57 è, quindi, quella così detta parziale, giacché in tal caso
l'azienda speciale non si estingue, ma una parte del suo patrimonio
viene attribuita a una società di nuova costituzione. […….] La
procedura per la costituzione di una s.p.a. tramite scissione
dell'azienda speciale è, in sostanza, simile a quella prevista per
la trasformazione dell'azienda speciale in s.p.a." (Tessarolo,
Trasformazione delle aziende speciali in società per azioni, Ed.
Edilizia Popolare, 1999, p.30).
Il suddetto art.17
della legge 127/1997 è stato successivamente ripreso da ulteriori
normative, fino a confluire nell'art.115 del d.l.18.08.2000 (Testo
Unico sull'ordinamento degli enti locali).
Nell'ipotesi di una scissione aziendale la dottrina è maggiormente
propensa ad ampliare l'ambito operativo del perito, inteso come
autonomia valutativa, indipendente dai valori contabili.
"Nel caso di
scissione avente ad oggetto un ramo aziendale, la sostanziale
identità funzionale dell'azienda rispetto al ramo comporta che la
valutazione di quest'ultimo segua le regole proprie della
valutazione di azienda, includendo quindi anche l'avviamento." (M.Nava,
Le perizie di stima, UTET, 2000, p.146).
E, venendo nello
specifico al caso della "trasformazione" di un'azienda speciale in
s.p.a., si riportano alcune osservazioni emerse in un convegno
tematico.
"Nel caso di
trasformazione delle aziende ai sensi della legge Bassanini bis,
trattandosi di operazione che si configura non come trasformazione,
bensì come conferimento, l'avviamento deve essere considerato."
"Una recente massima del Tribunale di Milano ha stabilito che i
beni, compreso l'avviamento, delle aziende speciali trasformate in
s.p.a. devono essere valutati dal perito secondo valori di mercato,
ossia con i criteri sostanziali del conferimento. In tal modo, anche
la futura cessione dei pacchetti azionari della società trasformata
troverà nel valore di perizia la base di riferimento che dovrebbe
consentire l'eliminazione del rischio di svendite pubbliche."
(De Sordi, La riforma dei servizi pubblici locali, Seminario
Con.Ser., Imola, 2000).
A ulteriore conferma
dei pareri fin qui riprodotti, si riportano alcuni ampi estratti della
Risoluzione 153 del 05.10.2001 della Direzione Centrale delle Imposte
Dirette. Ovviamente, detta Risoluzione si focalizza soprattutto sulle
implicazioni fiscali connesse alla "trasformazione" di aziende
speciali e relativi consorzi in s.p.a.; per opportuna chiarezza,
comunque, il testo ripercorre un excursus completo della normativa,
derivandone le conseguenti interpretazioni.
"Nell'ambito di un
progetto di riorganizzazione del servizio pubblico a livello locale,
gli enti partecipanti deliberano la scissione parziale dell'azienda
consortile con destinazione del ramo d'azienda che svolge l'attività
di trasporto ad una società per azioni di nuova costituzione. Per la
definitiva determinazione dei valori patrimoniali conferiti gli
amministratori, come stabilito dalla legge, richiedono una perizia
di stima ad un esperto designato dal Presidente del Tribunale.
La Direzione Regionale ha chiesto chiarimenti in merito alla
rilevanza fiscale dei maggiori valori patrimoniali dei beni
conferiti nella società costituita con la scissione risultanti dalla
perizia di stima, ai fini, ad esempio, della deducibilità degli
ammortamenti o della determinazione di eventuali plusvalenze in caso
di alienazione, qualora gli amministratori e i sindaci decidano
l'iscrizione in bilancio di tali maggiori valori."
"L'azienda speciale è definita, dall'art. 114 del TU
sull'ordinamento degli enti locali, ente strumentale dell'ente
locale dotato di personalità giuridica e di autonomia
imprenditoriale. Queste caratteristiche, unitamente all'obbligo del
pareggio di bilancio da perseguire attraverso l'equilibrio dei costi
e dei ricavi, qualificano l'azienda speciale come un ente pubblico
economico. Il rapporto tra l'ente locale e l'azienda speciale è per
molti aspetti diretto. […….] Di conseguenza, l'operazione di
trasformazione di tali aziende speciali, come disciplinata dal TU
degli enti locali, avviene secondo una procedura del tutto
particolare in cui sono richiamati aspetti propri degli istituti sia
della trasformazione societaria sia del conferimento."
"Tali disposizioni sono coerenti con la disciplina che regola in via
ordinaria l'istituto della trasformazione societaria quale modifica
dell'atto costitutivo che determina il mutamento della natura
giuridica della società trasformata e non comporta, di per sé,
variazioni nel patrimonio o nei rapporti giuridici con i terzi.
Emerge, tuttavia, nel caso concreto, un sostanziale profilo di
diversità in quanto si costituisce ex novo una società commerciale
che "subentra" all'ente strumentale nei cui confronti il rapporto
dell'ente locale non era certamente assimilabile a quello esistente
tra socio e società. Il rapporto con il nuovo soggetto è regolato
non più dall'art. 114 del TU degli enti locali ma dalle norme
applicabili in via ordinaria alle società di capitali e trova
concreta attuazione attraverso l'esercizio dei diritti patrimoniali
e di partecipazione alla vita sociale, garantiti dalla titolarità
delle azioni sottoscritte a fronte del conferimento dei beni. Ciò
determina una netta separazione tra l'ente locale, che acquista la
qualità di socio, e la società neo costituita cui sono conferiti i
beni necessari per assicurare la gestione del servizio pubblico. Si
sottolinea che tale conferimento può avere ad oggetto sia il
complesso dei beni organizzati, per mezzo del quale l'azienda
speciale, prima della trasformazione, esercitava l'attività di
impresa, sia singoli beni dell'ente locale."
"L'esigenza di individuare il valore effettivo dei beni confluiti
nella società neo costituita a fronte dell'attribuzione agli enti
locali delle azioni rappresentative del capitale sociale emerge
anche in vista della futura alienazione delle azioni stesse. L'art.
115, comma 1, infatti, prevede in modo esplicito che gli enti locali
possono rimanere azionisti unici delle società risultanti dalla
trasformazione dell'azienda speciale per un periodo non superiore a
due anni dalla trasformazione stessa."
"Con l'operazione di trasformazione delle aziende speciali (o dei
consorzi) si costituisce una nuova società rispetto alla quale
assume particolare rilevanza il momento del conferimento dei beni
organizzati per l'impresa."
"L'obiettivo non è di dare rilevanza a valori "rivalutati" ma di
riconoscere, anche fiscalmente, gli effettivi valori di apporto,
compreso l'avviamento se evidenziato nella perizia di stima, come
ordinariamente avviene nei conferimenti. Le norme sopra richiamate,
in virtù del rinvio contenuto nel comma 7 dell'art. 115 sono
applicabili, in quanto compatibili, anche nella diversa ipotesi in
cui la deliberazione degli enti locali preveda la scissione
dell'azienda speciale (o del consorzio) e la destinazione a società
di nuova costituzione di un ramo aziendale di questa. Si tratta
anche in questo caso di un'operazione che presenta caratteristiche
peculiari rispetto alle fattispecie cui si applicano le ordinarie
norme dettate dal codice civile per la scissione di società."
"Nella scissione dell'azienda speciale le procedure da seguire sono
le stesse previste dall'art. 115 per la trasformazione. Inoltre,
anche attraverso la scissione dell'azienda speciale si costituisce
una nuova società beneficiaria le cui azioni o quote sono attribuite
all'ente locale a fronte del "conferimento" del ramo aziendale,
nonostante che il rapporto dell'ente locale con l'azienda speciale
scissa non possa essere considerato assimilabile a quello esistente
tra il socio e la società. A tale operazione di
scissione/conferimento, per effetto del rinvio contenuto nell'art.
115, comma 7, si rende applicabile anche la norma di esenzione di
cui al precedente comma 6 con la conseguente possibilità per la
società beneficiaria di iscrivere i beni in bilancio in base ai
maggiori valori risultanti dalla relazione di stima, compreso
l'avviamento nella misura in cui sia evidenziato nella relazione
stessa, con pieno riconoscimento fiscale."
"Poiché il d.l.332 del 1994 detta norme per accelerare le procedure
di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici
in società per azioni, il suo esplicito richiamo sottolinea che la
finalità perseguita dal legislatore con la norma di agevolazione è
anche quella di permettere che i beni delle società neo-costituite
siano iscritti in bilancio al loro valore corrente, con effetti
anche fiscali, ai fini della successiva collocazione delle relative
partecipazioni sul mercato."
A conclusione del
presente capitolo, volto a configurare con esattezza l'oggetto della
perizia di stima, si sintetizza il percorso logico emerso dalla
disamina dei riferimenti bibliografici e sviluppato dallo scrivente.
1. Nonostante il
termine possa suscitare equivoci, non si è in
presenza di una "trasformazione" societaria come solitamente intesa
in campo dottrinale e giurisprudenziale.
Nel caso della
trasformazione societaria, infatti, esiste un'impresa già costituita
che vede mutare la sua forma giuridica. Ma le aziende speciali, al
contrario, non sono equiparabili a società dal momento che, pur
godendo di una certa indipendenza operativa, non vantano alcuna
autonomia patrimoniale: i beni in loro possesso sono proprietà degli
enti locali, per cui non è possibile individuare un patrimonio
aziendale; inoltre non sussiste un capitale sociale, bensì un "fondo
di dotazione", con caratteristiche giuridiche assolutamente diverse.
Conseguentemente, è solo a seguito della costituzione della nuova
s.p.a. che vengono a esistenza, da un lato, un patrimonio societario
distinto da quello comunale e, dall'altro, un capitale sociale
espresso in azioni.
2. Dal punto di
vista tecnico-giuridico, quindi, l'esatto processo è configurabile
come una scissione della preesistente azienda speciale, e successivo
conferimento del ramo aziendale "acqua" nell'ambito di una s.p.a. di
nuova costituzione.
L'azienda speciale fa
parte del patrimonio comunale, per cui l'ente locale, nel momento in
cui conferisce un ramo di tale azienda a una s.p.a. neo-costituita,
diventa l'unico detentore dell'intero capitale azionario. Un simile
procedimento è stato reso possibile dalla normativa specifica che,
dall'inizio degli anni Novanta in poi, ha inteso avviare e incentivare
il processo delle privatizzazioni.
3. Trattandosi
di un conferimento (e non di una trasformazione) aziendale, la
perizia di stima deve tutelare non solo gli interessi dei creditori
e dei terzi, ma anche quelli del conferente.
Come logica
conseguenza di questo assunto, la valutazione non deve determinare
valori "di congruità", bensì valori correnti: il riferimento,
pertanto, non è più rappresentato dagli importi contabili, ma dal
mercato. Considerato che la finalità ultima dell'intero processo è la
privatizzazione del servizio pubblico, dunque la cessione delle azioni
a soggetti privati, un simile approccio consente di prevenire il
rischio di un'eventuale "svendita" dei beni degli enti locali,
evidenziando invece i prezzi potenziali che investitori e/o
imprenditori sarebbero disposti a corrispondere per l'acquisizione
della s.p.a. neo-costituita, intesa come azienda in piena attività
specializzata nell'erogazione del servizio pubblico in oggetto (nella
fattispecie, distribuzione dell'acqua e gestione della rete fognaria).
4. La
valutazione a prezzi correnti consente di determinare plusvalori
rispetto alle preesistenti emergenze contabili, sia a seguito della
revisione delle immobilizzazioni, sia per la valorizzazione dei beni
immateriali ("intangibles"), sia tramite il computo dell'avviamento
aziendale.
Da ciò consegue che il
perito deve operare nel modo ritenuto più idoneo per determinare il
valore aziendale concretamente riconoscibile in ragione del contesto
operativo, gestionale, economico e di mercato ove la nuova s.p.a.
svolge la sua attività. Per il conseguimento di tale scopo non
sussistono vincoli inerenti le modalità valutative da assumere, e sono
adottabili anche quelle metodologie (come la prefigurazione dei futuri
flussi reddituali e/o finanziari) che includono l'implicita
considerazione di valori quali l'avviamento aziendale. E' comunque
essenziale (in quanto richiesto dal Codice Civile) che la relazione
peritale evidenzi espressamente i valori dei singoli beni componenti
il patrimonio aziendale: ma è altrettanto importante che la stima,
come sopra concepita, non si riduca a una mera sommatoria di tali
valori, considerando invece detti beni come un complesso unitario
organizzato, funzionale alla conduzione dell'impresa.
LA SCELTA dei CRITERI ESTIMATIVI
1. IL BENCHMARKING
Per comprendere meglio le caratteristiche dell'azienda rispetto
all'andamento dell'intero settore, si è effettuata un'approfondita
analisi di confronto, che nella terminologia aziendale di origine
anglosassone viene definita "benchmarking". Oggetto di tale
confronto non sono stati gli indirizzi strategici, le modalità
organizzative, le funzioni operative, bensì direttamente i dati di
bilancio, che sono stati reperiti, laddove possibile, per alcuni anni
a ritroso. Purtroppo la valutazione comparata dei bilanci è stata
possibile esclusivamente per quanto afferisce i dati economici, dal
momento che, fino a pochi mesi addietro, gli importi patrimoniali
includevano indifferenziatamente sia la gestione idrica che quella dei
parcheggi e trasporti, rimasta in capo all'attuale Azienda
Municipalizzata. Stante questa situazione, ben si comprende come
sarebbe risultato improprio determinare degli indici di bilancio in
presenza di poste di natura disomogenea.
Analoga attenzione è stata prestata anche in direzione opposta,
allorché si sono selezionate le aziende per le quali valutare il
bilancio. In tal senso, si sono adottati due differenti criteri di
cernita:
- criterio
dell'affinità settoriale,
per il quale sono
state escluse quelle aziende in cui fosse significativa la presenza di
altre attività di servizio (in primis l'erogazione del gas) e non
venissero distinti i rispettivi importi di competenza economica;
- criterio
dell'affinità dimensionale,
che ha indotto a non
prendere in considerazione le aziende aventi dimensioni troppo più
estese rispetto a quelle della società in esame.
Laddove possibile,
inoltre, si è cercato di reperire dati inerenti gestioni idriche
caratterizzate da problematiche analoghe: nello specifico, una
caratteristica saliente è quella della notevole incidenza dell'apporto
turistico, che provoca rilevanti disparità di consumo fra la stagione
estiva e quella invernale.
In sintesi, le aziende utilizzate quali "comparables" sono ripartibili
in due grandi categorie:
- aziende grandi o
medio-grandi, a struttura fortemente consolidata, quotate in Borsa;
- società di
dimensioni più affini a quelli dell'azienda in esame, la cui
ubicazione, tuttavia, non è altrettanto circoscritta.
Si vedrà come, a
seconda dei singoli indici, l'azienda in esame faccia registrare
coefficienti che di volta in volta la accostano ora all'una, ora
all'altra delle due categorie aziendali predette.
Qui di seguito si analizzano distintamente le diverse tipologie di
indici che sono stati determinati.
Indici di
costo
- incidenza del costo del personale
l'azienda è in linea con i costi delle società più strutturate, mentre
nelle altre imprese l'incidenza di questa categoria di oneri è più
limitata
- incidenza del
costo delle materie prime
l'azienda fa registrare l'incidenza più elevata (18%), probabilmente
dovuta ai costi riconosciuti ad altre aziende per l'acquisizione di
acqua
Indici
operativi
- Margine contributivo lordo sul fatturato
l'azienda fa registrare un risultato consistente (29%), nettamente
superiore a quello delle aziende consimili, ma inferiore a quello
delle società quotate
- Margine
contributivo lordo sul capitale investito
nell'analisi del bilancio, tutti gli indici che implicano al
denominatore la presenza del capitale investito risultano, da un paio
d'anni a questa parte, gravemente penalizzati dalla presenza di un
investimento molto rilevante, strategicamente necessario allo sviluppo
aziendale, ma penalizzante in termini di parametrizzazione dei
risultati
Indici
reddituali
- Redditività sul fatturato (R.O.S.)
l'azienda consegue un risultato intermedio (13,3%), nettamente
superiore a quello delle aziende consimili, ma inferiore a quello
delle società quotate
Remunerazione del
capitale investito (R.O.I.)
anche in questo caso il risultato è modesto (fra il 2% e il 3%):
valgono le considerazioni sui valori patrimoniali già espresse in
precedenza
Remunerazione dei
mezzi propri (R.O.E.)
trattasi di un indice che ha registrato notevoli variazioni da un
esercizio all'altro, rivelandosi sempre largamente superiore a tutti
gli altri del campione; evidentemente, la misura "storica" del
capitale sociale e dell'intero patrimonio netto riportata nei libri
contabili è largamente inferiore a una corretta stima aggiornata
dell'effettivo valore aziendale.
A conclusione di questo breve excursus è possibile sintetizzare quanto
segue:
- l'azienda si
caratterizza per una rimarchevole efficienza gestionale, in quanto
tutti i risultati commisurati percentualmente al fatturato sono
superiori alla media;
- per contro, tutti
gli indici rapportati al capitale investito, includendo al
denominatore le immobilizzazioni fisse, sono gravemente penalizzati
dal valore degli investimenti effettuati, i quali necessiteranno di
tempo per raggiungere un adeguato livello di redditività;
- gli indici
riferiti al patrimonio netto sono elevatissimi, a conferma del fatto
che il valore di libro dell'azienda è largamente inferiore a quello
effettivo.
Infine si preannunzia
fin d'ora che, a seguito della revisione che verrà ipotizzata per
simulare una gestione più efficace e "privatistica" dell'azienda,
nell'ambito delle proiezioni dinamiche che ne conseguono gli indici
gestionali toccheranno i livelli massimi dell'intero lotto di aziende
considerate, mentre quelli sulla redditività patrimoniale
raggiungeranno comunque dimensioni accettabili.
2.
TIPOLOGIE DI CRITERI ESTIMATIVI
Prima di riportare la relazione estimativa vera e propria si ritiene
necessario indicare i criteri comunemente utilizzati dagli esperti,
precisandone le caratteristiche fondamentali e illustrando le
motivazioni che hanno condotto alla scelta effettuata.
La tecnica delle valutazioni aziendali ha progressivamente affinato,
nel corso degli anni, un'ampia serie di metodologie, di volta in volta
adottabili anche a seconda di elementi quali:
· la tipologia dell'azienda e del mercato in cui opera
· la quantità e qualità di dati aziendali disponibili
· l'esistenza o meno di imprese concorrenti concretamente comparabili
· la situazione attuale del ciclo di vita dell'azienda e le sue
prospettive future.
Volendo procedere a una sintetica classificazione delle varie
categorie di criteri valutativi, si possono distinguere le tipologie
qui di seguito analizzate.
1. Metodi patrimoniali
I metodi patrimoniali si fondano sull'elencazione e valutazione
puntuale di tutti i beni posseduti dall'azienda. Il valore
dell'azienda risulta pari al capitale netto, ossia la differenza fra
attività e passività.
Questa tipologia estimativa risulta di immediata applicabilità, dal
momento che ricalca la falsariga dello stato patrimoniale del bilancio
aziendale (almeno per quanto concerne l'elencazione delle poste, se
non per la determinazione dei rispettivi valori). Inoltre, l'adozione
di questo metodo sembra rispondere direttamente all'obbligo
espressamente richiesto dal Codice Civile di evidenziare la
valutazione di ogni singolo bene posseduto dall'azienda. La
coesistenza di questi due fattori ha reso i criteri patrimoniali
quelli largamente più usati da parte dei periti stimatori.
In effetti, però, il concetto che un'azienda valga per quello che
ha (anziché per quello che è o che
potrebbe avere in futuro) è un assunto piuttosto antiquato,
che interpreta l'impresa alla stregua di un fondo o di un qualsiasi
altro "stock" di ricchezza stabile, anziché una struttura operativa in
continua evoluzione. Ecco dunque che i criteri patrimoniali risultano
particolarmente indicati per le holding, il cui valore è strettamente
connesso ai pacchetti azionari detenuti, e in genere per tutte quelle
società contraddistinte da un ammontare assai rilevante di attività e
da bassi indici di turn-over (rapporto fatturato/attività); al
contrario, tali criteri sono sempre meno efficaci man mano che ci si
allontana da una simile configurazione aziendale. Traducendo questa
considerazione in termini di settori economici, si potrebbe
raccomandare una stima patrimoniale per società immobiliari o comunque
caratterizzate da consistenti capitali fissi (ad es. stabilimenti
industriali, grandi impianti, catene alberghiere in proprietà, etc.),
o ancora dotate di magazzini cospicui (ad es. società che
commercializzano beni durevoli, a lenta rotazione delle scorte);
all'opposto, tale stima non sarebbe idonea a rappresentare negozi
alimentari o rivenditori di generi deperibili, e lo stesso dicasi per
tutte le aziende che non necessitano di elevati investimenti (ad es.
società di servizi, imprese della new-economy, etc.).
Volendo approfondire le caratteristiche proprie dei metodi
patrimoniali, è possibile operare le seguenti distinzioni:
· metodi
patrimoniali semplici
nell'attivo patrimoniale, oltre alla liquidità e ai crediti, vengono
incluse solo le immobilizzazioni materiali;
· metodi
patrimoniali complessi di primo grado
oltre alle immobilizzazioni materiali si considerano pure quelle
immateriali, ancorché non contabilizzate, purché risultino alienabili
separatamente dal resto dell'azienda (e dunque dispongano di un valore
autonomo di mercato);
· metodi
patrimoniali complessi di secondo grado
vengono considerate anche tutte le immobilizzazioni immateriali,
indipendentemente dall'alienabilità o meno delle stesse; in questo
caso, infatti, il valore di un'azienda equivale alla sommatoria di
tutti i beni, in quanto si suppone che ognuno di questi compartecipi
al complesso della gestione e sia comunque utile, ancorché non
vendibile isolatamente.
2. Metodi
reddituali statici e patrimoniali misti
La tipologia dei metodi reddituali deriva da un principio
completamente diverso rispetto a quello osservato per il metodo
patrimoniale. Assume infatti preminenza non più il concetto di quanto
l'azienda ha, bensì di quanto potrebbe avere a seguito del prosieguo
della propria attività. In questi termini diventa essenziale non il
concetto di ricchezza, quanto piuttosto la capacità di produrre
reddito. Trattandosi della valutazione di un'impresa, che proprio
nella produzione di un reddito trova la sua finalità giuridica,
costitutiva e operativa, un simile approccio sembra peraltro più
coerente. Inoltre questa metodologia consente di sviluppare un'analisi
operativa ed economica dell'azienda, particolarmente interessante per
calarsi nella mentalità dell'ipotetico acquirente-imprenditore,
ripercorrendone i suoi stessi meccanismi valutativi.
I risultati che emergono da questa stima possono essere assunti a vari
livelli. Qui di seguito si specificano per l'appunto tali livelli:
+ RICAVI TOTALI
- COSTI TOTALI
= Margine Contributivo è ATTIVO PATRIMONIALE
-
AMMORTAMENTI/ACCANTONAMENTI
= Risultato Caratteristico è ATTIVO PATRIMONIALE
+ PROVENTI/ONERI
FINANZIARI
= Utile Lordo è PATRIMONIO NETTO
- IMPOSTE DIRETTE
= Utile Netto è PATRIMONIO NETTO
In ragione delle
specifiche caratteristiche di ogni singola azienda, può rivelarsi più
o meno significativo ciascuno dei precedenti parametri.
Una volta calcolati i suddetti parametri, è possibile derivarne le
stime in termini di valor capitale, applicando i più opportuni tassi
di capitalizzazione (cioè i saggi di redditività attesa): nel caso di
margine contributivo e risultato caratteristico, l'applicazione del
tasso permette di determinare l'ammontare dell'intero attivo
patrimoniale, mentre dall'utile lordo/netto si deriva direttamente la
stima del patrimonio netto.
Il criterio reddituale può anche essere concepito quale integrazione
del metodo patrimoniale, dando in tal modo origine al cosiddetto
metodo patrimoniale misto.
In questo caso il processo risulta l'inverso di quello appena
illustrato. Anziché capitalizzare il risultato economico per giungere
alla stima di importi patrimoniali, si verificano i valori cui si è
pervenuti tramite la stima patrimoniale. Obiettivo di questa verifica
è comprendere se il complesso dei beni aziendali (che sono stati
valutati individualmente per stimare il patrimonio netto) sia in grado
di conseguire una redditività tale da giustificarne il valore
patrimoniale. Pertanto si applicano a tale valore i tassi di
redditività attesa e si confrontano gli esiti con i risultati
economici summenzionati (margine contributivo, risultato
caratteristico, utile). Dal confronto possono scaturire sovraredditi o
minusredditi, a seguito dei quali si provvederà a rettificare le stime
patrimoniali, computando i necessari plusvalori o minusvalori. La
determinazione di queste rettifiche avviene tramite ripetizione negli
anni dei differenziali di reddito e attualizzazione di tali importi.
In merito, un fattore condizionante è rappresentato dal numero di anni
per i quali si presume prosegua la situazione di sovrareddito o
minusreddito. Tale opzione costituisce uno degli elementi basilari
sottoposti alla discrezionalità del perito: ipotizzare un numero di
anni troppo basso rischia di "appiattire" la stima sul valore
patrimoniale, minimizzando l'influsso dell'aspetto reddituale, mentre
la previsione di un periodo troppo lungo comporta l'effetto opposto.
E' poi intuitivo che, nel caso di sovrareddito, presumere un numero
limitato di anni è norma di prudenzialità, mentre in presenza di
minusreddito sarebbe più cautelativo prolungarne gli effetti per un
periodo abbastanza duraturo.
3. Metodi
fondati sui flussi
I criteri che si basano sulla prefigurazione di flussi futuri spostano
l'orizzonte cronologico della stima dal presente (proprio dei metodi
patrimoniali e reddituali statici) al futuro; al tempo stesso, la
tipologia di valori considerati viene traslata dal novero degli
importi certi (spesso addirittura contabilizzati) a quello dei valori
potenziali.
In quest'ottica, il campo di osservazione del perito muta
profondamente, e perfino le competenze richieste sono diverse. Mentre
per il metodo patrimoniale è necessaria la capacità di una stima
autonoma dei beni (ad es. il singolo immobile, il singolo impianto,
etc.), nei metodi fondati sui flussi diventa prioritaria l'attitudine
verso la costruzione di un modello aziendale e la prefigurazione dei
risultati futuri conseguibili dallo sviluppo di questo.
In termini più generali, la stima si sposta da un approccio statico
(ossia la valutazione di un determinato bene in uno specifico momento)
ad uno dinamico (individuare cioè come muteranno negli anni le
condizioni di funzionamento e le risultanze economiche di un processo
imprenditoriale). Risulta perciò necessario che il perito abbia
dimestichezza con una serie di supporti tecnici quali ad esempio:
· strumenti
previsionali atti a definire le condizioni del sistema macroeconomico
all'interno del quale verrà proiettato il modello;
· strumenti di marketing strategico per l'analisi del "business"
(settore economico) e per la valutazione degli scenari competitivi e
delle relative evoluzioni (rapporto offerta/domanda, concorrenza,
clientela, etc.);
· strumenti di matematica finanziaria per l'apprezzamento delle
disparità temporali e l'equalizzazione dei flussi previsti;
· strumenti tecnici per l'analisi del rischio e per l'assunzione delle
decisioni in condizioni di incertezza.
Quanto all'appropriatezza
e attendibilità dei modelli fondati sui flussi, questi sono gli unici
che, in termini strettamente tecnici, siano davvero in grado di
rappresentare un concetto di "valore aziendale". Sfortunatamente, il
loro pregio principale (la capacità di riprodurre i risultati
prevedibili nel corso degli anni futuri) si rivela al tempo stesso il
loro punto debole, dal momento che comporta l'insorgere di incertezze
che una valutazione puntuale al tempo zero non implica. Inoltre,
aumentando la complessità della fase valutativa e il numero di
variabili da stimare, aumentano di pari passo anche le decisioni
facenti capo al perito, dunque il suo grado di discrezionalità. E'
allora ancor più essenziale che la metodologia della perizia
garantisca, in ogni sua fase, il rispetto delle quattro
caratteristiche fondamentali che devono contraddistinguere la stima
peritale, vale a dire:
· razionalità,
intesa come la capacità di sviluppare la perizia secondo uno schema
logico consequenziale, che non preveda alcuna discontinuità nel
ragionamento e nel processo valutativo;
· dimostrabilità,
nel senso che l'intera stima deve essere fondata su dati oggettivi e
riscontrabili;
· neutralità,
cioè la caratteristica della stima di non dipendere da singole
decisioni arbitrarie o non generalizzabili;
· stabilità,
ossia la proprietà della stima di rimanere invariata e consistente nel
tempo, senza subire distorsioni connesse agli scenari economici
prefigurati dal modello.
Per trasformare
un'analisi prospettica di flussi annuali in una valutazione unitaria,
è necessario definire un tasso di attualizzazione di tali flussi. Le
tecniche per la determinazione del tasso verranno approfondite più
avanti, nell'ambito della relazione peritale. Alla sommatoria dei
flussi attualizzati occorre aggiungere il cosiddetto valore "finale" o
"di uscita" (anch'esso attualizzato), che rappresenta il valore che
l'azienda potrà presumibilmente avere al termine del periodo
considerato: in molti casi, tale valore è stimato immaginando una
proiezione all'infinito dell'ultimo flusso a regime, dunque
capitalizzandolo al tasso di redditività attesa.
Un altro fattore essenziale di questa metodologia è rappresentato
dalla durata della simulazione dinamica: la dottrina suggerisce di non
prolungare eccessivamente tale durata considerato che, oltre un certo
numero di anni, le previsioni economiche e la stima dei ricavi e dei
costi aziendali tendono a perdere significatività. D'altro canto,
tempi troppo concentrati non permettono di rappresentare correttamente
l'evoluzione dell'impresa e dei flussi che ne conseguono. In
definitiva, il periodo che solitamente viene suggerito quale corretto
periodo di proiezione dinamica è compreso fra i dieci e i venti anni.
I criteri basati sulla prefigurazione di flussi futuri, e in
particolare quello finanziario sono profondamente radicati da anni
nella metodologia anglosassone. Nel nostro paese, e parzialmente anche
in Germania, invece, si è registrata per anni una prevalenza dei
criteri di natura patrimoniale, qualche volta integrati da un
approccio di taglio reddituale, quale fattore correttivo della prima
stima. Sebbene negli ultimi tempi si rilevi qualche lieve cambiamento,
la complessità della metodologia "per flussi" e la limitata conoscenza
dello strumento fanno sì che tale criterio venga utilizzato per lo più
dagli istituti finanziari e dalle grandi società di consulenza, mentre
i professionisti continuano a privilegiare la stima patrimoniale.
I metodi fondati sui flussi possono riferirsi a valori reddituali o
finanziari.
3.a. Metodi
reddituali dinamici
Il metodo reddituale dinamico consiste nel prefigurare, per gli anni a
venire, l'ammontare complessivo dei ricavi e dei costi, quindi dei
risultati economici che ne conseguono. Tali risultati devono essere
opportunamente attualizzati, allo scopo di pesare in modo adeguato gli
importi più lontani nel tempo rispetto a quelli più vicini.
3.b. Metodi
finanziari
E' più probabile che un'analisi dinamica fondata sui flussi focalizzi
la propria attenzione su importi di natura finanziaria, anziché sui
risultati economici. Proprio l'analisi dei flussi di cassa
attualizzati (o D.C.F., Discounted Cash Flows) costituisce il
riferimento essenziale adottato da finanziarie, merchant-bank e
società di consulenza per effettuare la valutazione degli
investimenti. Questa metodologia, infatti, è quella preferita dagli
investitori "puri" che, a differenza degli imprenditori, non sono
interessati ai risultati operativi ed economici dell'azienda, ma
esclusivamente alla redditività del capitale investito nella specifica
operazione.
4. Metodi
sintetici
Tutti i criteri osservati fino a questo punto sono classificabili come
"analitici", in quanto presuppongono una disamina dettagliata delle
componenti aziendali. Al contrario, esistono anche criteri definiti
"sintetici", in quanto cercano di fornire una stima del valore
aziendale strutturata esclusivamente sulla base di rapporti
parametrici.
Per consentire l'impostazione di tali rapporti, è necessario in primo
luogo individuare alcune società "comparabili", aventi cioè
caratteristiche affini a quella in esame. Gli elementi da prendere in
considerazione per valutare l'effettivo grado di comparabilità fra due
differenti aziende sono:
· l'appartenenza al
medesimo settore economico
· il mix produttivo
· le dimensioni
· la distribuzione territoriale
· la segmentazione della clientela
· la strategia di marketing e l'immagine consolidata
· la tipologia organizzativa
· eventuali fattori-chiave competitivi
· la struttura finanziaria
Considerato poi che il
fattore che quasi sempre ricorre nella determinazione dei suddetti
parametri è rappresentato dal prezzo di vendita delle azioni, un
fattore essenziale per determinare la comparabilità o meno di due
aziende diventa la modalità di formazione di tale prezzo. E' evidente
che un prezzo azionario di Borsa ha un significato diverso rispetto a
quello derivante da una trattativa di compravendita societaria, e
quest'ultimo assume dimensioni differenti a seconda del fatto che sia
trasferita l'intera azienda, il pacchetto di maggioranza, o una quota
minoritaria. E' inoltre importante riconoscere (e quantificare
separatamente) eventuali condizioni particolari che possono avere
indotto una distorsione del prezzo di una compravendita aziendale (o
di singoli pacchetti azionari), sia verso l'alto (ad es.perché
l'acquirente ha attribuito una particolare rilevanza strategica
all'acquisizione di questa impresa, e dunque è stato disponibile a
riconoscere un sovrapprezzo), sia verso il basso (ad es. perché il
venditore si trovava in uno stato di difficoltà, riferibile
all'azienda compravenduta, oppure a un gruppo societario, o
addirittura di natura personale): in tali eventualità, infatti, il
valore della compravendita potrebbe non risultare significativo nel
momento in cui venissero meno le condizioni distorsive. E una corretta
stima peritale deve ovviamente prescindere dall'individuazione di
valori-limite connessi a situazioni particolari, ponendosi come
obiettivo la determinazione di un valore oggettivamente valido,
riferendosi a figure di venditori e acquirenti "tipo" e prescindendo
da casi specifici.
Dopo aver individuato una o più società comparabili a quella in esame,
è ovviamente necessario, per ognuna di queste, disporre dei principali
dati di bilancio, nonché di ulteriori informazioni integrative. Fra
queste, come detto, deve sempre esserci il prezzo di compravendita
azionario; in mancanza di questo, è possibile la creazione e il
calcolo di parametri trasversali comunque utili per confronti
interaziendali, ma nessuno di questi porterà alla quantificazione
automatica di una stima del valore aziendale.
4.a Multipli
dei prezzi di mercato
Il metodo sintetico più diffuso è quello fondato sui multipli dei
prezzi di mercato. Tale metodo è sostanzialmente esprimibile con una
semplice proporzione, del tipo
PA : KA = PB : K
ossia, il rapporto fra
il prezzo e un certo parametro K nell'azienda A si suppone uguale a
quello riscontrabile nell'azienda B. Di conseguenza, essendo noti sia
il prezzo che un parametro K della società comparabile, è sufficiente
calcolare l'analogo parametro dal bilancio dell'azienda in esame per
poterne desumere una stima del prezzo, ossia del patrimonio netto. Per
quanto concerne il parametro K, questo può essere uno fra quelli già
osservati in precedenza; qui di seguito si riporta un elenco il più
possibile esaustivo, integrandolo con l'indicazione dei corrispondenti
termini in inglese (sovente utilizzati dagli esperti delle
valutazioni).
· Vendite
è Sales (S)
· Margine Contributivo è Earnings
Before Interests, Taxes,Depreciations, Amortments (EBITDA)
· Risultato Caratteristico è
Earnings Before Interests & Taxes (EBIT)
· Utile Lordo è Earnings Before
Taxes (EBT)
· Utile Netto è Earnings (E)
· Flusso di Cassa è Cash Flow (CF)
Fra tutti questi
parametri il più utilizzato è quello dell'Utile Netto, in quanto
espressione diretta della redditività conseguita dagli azionisti. E'
evidente che più ci si allontana da tale parametro, minore diventa
l'importanza dei fattori accessori quali la gestione finanziaria e
fiscale, la politica degli ammortamenti e degli accantonamenti, etc.
I metodi basati sui multipli del prezzo di mercato sono oramai
largamente diffusi nel settore degli analisti finanziari, e nei paesi
anglosassoni vengono utilizzati comunemente anche dai valutatori
aziendali. Certamente di facile applicazione, trovano il loro limite
più significativo nel momento in cui si deve considerare perfettamente
"comparabile" un'azienda che, per quanto simile a quella in esame, non
è mai perfettamente identica: risulta dunque scarsamente attendibile
supporre che il prezzo generatosi in una o più circostanze possa
ripetersi in termini esattamente uguali in una situazione analoga, ma
non coincidente.
4.b Ulteriori
rapporti parametrici
In alcuni casi, la prassi consolidata consente agli esperti di singoli
settori di determinare alcuni indici parametrici che suggeriscono
potenziali valori d'azienda in ragione di alcune specifici aspetti
gestionali (ad es. numero di clienti, quantità di prodotto venduta,
numero dei punti vendita inseriti nella rete distributiva, etc.). In
casi "spiccioli" (commercio al dettaglio) si giunge all'induzione di
valori aziendali basandosi su elementi che potrebbero parere
assolutamente parziali e incompleti (ad es. un bar è stimato per il
numero dei caffè preparati, un ristorante per il numero di tovaglioli
utilizzati, etc.). Il livello di consolidamento di questi parametri è
testimoniato dal fatto che alcuni di loro sono stati adottati dal
Ministero delle Finanze per l'espletamento degli accertamenti
induttivi. L'utilizzo in sede di valutazione aziendale ne risulta una
logica conseguenza: il parametro consente di stimare il fatturato,
dunque il reddito annuo, dunque il valore dell'impresa.
Venendo al settore oggetto della presente perizia, un parametro tratto
da un altro mercato (quello britannico) in cui la distribuzione
dell'acqua sembra avere raggiunto caratteristiche oramai
"stabilizzate" indica un valore aziendale di circa 80.€ per ogni
abitante della zona servita: tale importo rappresenta peraltro una
media, stimandosi una fascia di oscillazione fra i 60.€ e i 100.€, a
seconda delle caratteristiche intrinseche dell'azienda in questione.
3. I
CRITERI di STIMA ADOTTATI
Dopo avere illustrato a grandi linee le varie tipologie di criteri
estimativi esistenti, si specificano in questo capitolo le metodologie
che sono state prescelte per l'espletamento della presente perizia,
descrivendo al tempo stesso le motivazioni che hanno guidato un simile
orientamento.
La scelta del criterio di stima è un momento essenziale dell'attività
peritale. Considerate le caratteristiche assai differenti che
contraddistinguono le diverse metodologie, infatti, è intuitivo che
ogni criterio tende a enfatizzare alcuni elementi del valore
aziendale, contenendo la rilevanza di altri. Anche per questa ragione,
è buona norma non limitarsi ad applicare un unico metodo, ma
effettuare un'analisi a più ampio spettro, che adotti una pluralità di
strumenti: la stima definitiva potrà scaturire solamente a seguito del
confronto fra i risultati ottenuti con ognuno di questi.
La procedura di svolgimento di tale confronto, tuttavia, richiede un
ulteriore chiarimento. Non si può infatti ridurre questa fase
conclusiva della perizia alla derivazione di una mera media matematica
fra i diversi risultati raggiunti. E' più corretto, in questi casi,
fare riferimento a un concetto di "riconciliazione" dei valori, ossia
a un processo razionale e oggettivo che proceda a un'analisi
comparativa dei risultati suddetti e, seguendo un filo logico che deve
essere chiaramente illustrato e motivato, giunga alla determinazione
della stima conclusiva.
· Criteri di
stima in ragione delle tipologie di potenziali acquirenti
Un'altra regola da tenere presente nella selezione di uno o più
criteri valutativi discende direttamente da un approccio basilare
delle analisi di mercato: il processo di individuazione, ponderazione
e segmentazione dei potenziali acquirenti. E' infatti risaputo che
ogni singolo criterio, stanti le sue peculiarità, tende a
rappresentare in modo particolare gli schemi operativi e valutativi di
una specifica categoria di acquirenti, piuttosto che di altri. Nel
caso di una valutazione aziendale:
· una stima
patrimoniale sembra particolarmente idonea a rappresentare le esigenze
della holding di un gruppo industriale, sensibile prevalentemente al
livello delle immobilizzazioni e delle attività patrimoniali (è
peraltro indubbio che tale soggetto risulti interessato anche agli
aspetti di natura reddituale);
· una stima reddituale (o patrimoniale mista) analizza soprattutto i
risultati operativi e gestionali, affini alla logica propria
dell'imprenditore; questa tipologia di valutazione è quella che guida
anche eventuali alti dirigenti interessati ad operazioni di
management-buy-out;
· una stima derivata da flussi pluriennali, in particolare finanziari,
rappresenta il punto di osservazione del possibile
acquirente-investitore; tale genere di stima, inoltre, è omologo alle
valutazioni usualmente effettuate da holding finanziarie e da quelle
società (ad es. banche d'affari) che rilevano aziende o pacchetti
azionari per favorirne uno sviluppo o facilitarne il collocamento sul
mercato;
· una stima fondata sui multipli è propria delle società di
investimento e intermediazione finanziaria interessate
all'acquisizione di piccole quote azionarie, da distribuire
nell'ambito di un paniere più ampio di titoli mobiliari (le ridotte
dimensioni degli investimenti e la limitata permanenza nel patrimonio
di queste quote - finalizzate a un rapido capital gain - renderebbero
troppo onerosa e impegnativa l'elaborazione di analisi più
dettagliate).
Alla luce dell'attuale
situazione del settore delle acque potabili nel nostro paese, è
fondatamente presumibile che un'azienda come quella in esame potrebbe
interessare, in via prioritaria, grandi società o raggruppamenti
industriali attivi nel settore, intenzionati a "entrare" nel mercato
locale tramite l'acquisizione di una struttura già consolidata.
Solamente in via subordinata potrebbe configurarsi l'ipotesi di un
intervento da parte di un investitore (o un gruppo di investitori, ad
esempio una cordata di imprenditori locali, interessati a
diversificare pro-quota le proprie attività).
Una riflessione più approfondita merita l'eventualità di
un'acquisizione ad opera di holding finanziarie, o di investitori
pro-tempore (ad es. banche di affari). Da un lato, infatti, questo
genere di operatori sarebbe particolarmente indicato per "traghettare"
verso una gestione interamente privatistica un'azienda che, a seguito
del passaggio da azienda speciale a società per azioni, dovrebbe
essere in grado di sviluppare un potenziale miglioramento dei propri
risultati operativi ed economici. Una simile operazione potrebbe avere
una durata limitata, coincidente col periodo necessario per lo
"start-up" della nuova società e il conseguimento, da parte di questa,
di una situazione gestionale a regime, caratterizzata da una
redditività soddisfacente e stabile. Al tempo stesso, però, occorre
rimarcare il fatto che, nel settore in oggetto, il processo di
privatizzazione sia ancora in fase embrionale, ragion per cui le
categorie di operatori summenzionate (holding finanziarie e banche di
affari) potrebbero non essere preparate/interessate a intervenire in
un comparto in cui il contesto competitivo risulti tanto recente (e
dunque il dimensionamento di indici parametrici, risultati
economico/finanziari e livelli di rischio potrebbe rivelarsi incerto).
A parziale conferma di questa seconda ipotesi occorre sottolineare il
fatto che la società dispone già oggi di mutui a condizioni
particolarmente favorevoli, per cui un'eventuale ipotesi di rilancio
aziendale dovrebbe prescindere da quegli interventi di
ristrutturazione del debito che spesso, al contrario, rappresentano
uno dei punti di forza degli operatori di cui sopra.
In considerazione delle varie figure operative potenzialmente
interessate all'acquisizione della società, ed anche allo scopo di
perfezionare la significatività della stima, si è deciso di ricorrere
a una pluralità di criteri valutativi, che verranno illustrati nelle
prossime pagine.
In primo luogo, è opportuno focalizzare nuovamente l'attenzione sulla
suddivisione dell'attività aziendale nei singoli rami aziendali che la
compongono:
· Acquedotto
· Laboratorio
· Fognature
· Gestione Calore
Considerando
congiuntamente i tre primi rami (Acquedotto, Laboratorio e Fognature)
si individua un'unica attività, denominabile Gestione Idrica
Integrata, che rappresenta il core-business dell'azienda: e proprio su
questa si concentrerà la valutazione peritale.
La stima del
ramo aziendale "Gestione Calore"
Per quanto concerne il ramo della Gestione Calore, occorre evidenziare
che:
- trattasi di
un'attività assolutamente marginale, sia per dimensioni, sia per
caratteristiche gestionali, non presentando alcuna interazione
concreta con i rami idrici;
- la determinazione del conto economico non presenta incertezze
particolari, né può essere un corretto parametro valutativo, dal
momento che il Comune, a fronte di questo servizio, riconosce
all'azienda tutti i costi vivi; ne consegue che l'unico elemento di
indeterminatezza economica sarebbe rappresentato dalle spese indirette
e dal grado di recupero delle stesse;
- il contratto in essere col Comune scade nel corso del 2003 e non
prevede alcuna forma di impegno reciproco circa un possibile rinnovo o
prolungamento.
A seguito di queste
condizioni si ritiene corretto valutare il ramo aziendale della
Gestione Calore in forma autonoma, tramite il solo criterio
patrimoniale corretto da un'unica annualità di reddito, prevedendosi
la conclusione del ramo di attività entro il 2003.
Le metodologie
estimative
1. Metodo patrimoniale-reddituale a valori nominali
Questa prima valutazione è stata condotta con riferimento all'intero
settore della Gestione Idrica Integrata, unitariamente considerato.
In una prima fase, il valore aziendale è pari al patrimonio netto,
ottenuto dalla differenza fra il totale delle attività e quello delle
passività. Le poste (sia attive che passive) vengono conteggiate ai
loro valori nominali, che sono stati preventivamente valutati in sede
di perizia tecnica.
Successivamente, si verificano i livelli di redditività connessi
all'ammontare stimato delle attività e/o del patrimonio netto
confrontandoli coi risultati operativi ed economici derivanti
dall'analisi reddituale: in tal modo si individuano eventuali
sovraredditi o minusredditi che sono alla base del processo di
rettifica della stima patrimoniale.
La stima dei risultati operativi ed economici è fondata sul budget
aziendale triennale, opportunamente verificato e revisionato dal
perito.
2. Metodo
patrimoniale-reddituale a valori rettificati
Il criterio metodologico (patrimoniale-reddituale) è perfettamente
identico al precedente. Differente, però, è la modalità con cui
vengono stimate le singole poste dello stato patrimoniale. Nello
specifico, sono soprattutto due le diversità adottate nell'approccio
valutativo, una relativa ai crediti/debiti monetari, l'altra inerente
i beni demaniali in concessione.
Per quanto riguarda i crediti e i debiti monetari, il loro importo
nominale viene attualizzato, ipotizzando il lasso di tempo
intercorrente fra la data di riferimento della stima e il presumibile
momento del pagamento.
La stima dei beni acquedottistici e fognari ricevuti in concessione
dal Comune, inseriti nell'attivo patrimoniale fra le immobilizzazioni
immateriali, richiede un ragionamento più ampio e complesso, che verrà
più diffusamente illustrato nell'espletamento della perizia. Nella
valutazione precedente, questa categoria di beni è stata stimata in
termini tecnici, secondo una modalità in gran parte analoga a quella
adottata per le immobilizzazioni materiali. In questa seconda
valutazione, si focalizza l'attenzione sul fatto che tali cespiti non
sono di proprietà aziendale: conseguentemente, la loro stima non è più
basata sul valore capitale, bensì sulla loro disponibilità per il
periodo della concessione, equiparabile a una sorta di canone di
locazione trentennale.
L'approccio appena descritto per la stima dei beni in concessione
(basato sul valor d'uso anziché sul valor capitale) implica un'analisi
più puntuale dei singoli rami d'azienda, allo scopo di stabilire, di
volta in volta, in quale misura sia iscrivibile nell'attivo
patrimoniale l'importo in tal modo determinato. Ne consegue che,
anziché una valutazione unitaria dell'intera Gestione Idrica
Integrata, siano considerate separatamente le funzioni Acquedotto,
Laboratorio e Fognature.
Anche in questo caso, la stima dei risultati operativi ed economici è
fondata sul budget aziendale triennale, opportunamente verificato e
revisionato dal perito.
3. Metodo dell'attualizzazione
dei flussi di cassa futuri (DCF)
E' stata elaborata una simulazione economico-finanziaria riferita
all'intero arco della concessione (dal 1° gennaio 2002 al 31 agosto
2031) e fondata sulla costruzione di un modello che deriva dalla
composizione di alcuni fattori:
- evoluzione dello scenario macroeconomico prefigurata dal perito;
- evoluzione settoriale (acque potabili) prefigurata dal perito;
- mantenimento dell'attuale impostazione operativa e gestionale
dell'Azienda, e della relativa struttura tipologica di costi/ricavi;
- individuazione, da parte del perito, dei margini di miglioramento
dell'attività gestionale, in particolar modo per quanto concerne
possibili misure per il contenimento dei costi;
- ipotizzazione, ad opera del perito, delle condizioni e dei tempi
secondo cui le obbligazioni attive/passive nei confronti di terzi
rilevate dalla situazione patrimoniale si traslano gradualmente nella
simulazione economico-finanziaria.
La situazione patrimoniale da cui prende l'avvio l'intera simulazione
è quella dell'ultimo bilancio approvato, datata al 31.12.2001.
4. Metodo dei
multipli parametrici
Ai fini della valutazione in corso, questo metodo non sembra
altrettanto attendibile dei precedenti, essenzialmente a causa delle
seguenti motivazioni:
· non è agevole
rintracciare aziende che siano perfettamente comparabili a quella in
esame e per le quali siano noti tutti i dati contabili e soprattutto i
prezzi di compravendita;
· questa metodologia, di natura sintetica, può essere valida quando si
intende valutare acquisti parziali o di secondaria importanza; gli
obiettivi connessi all'espletamento della presente perizia giurata,
invece, richiedono un approccio più completo e analitico;
· la disamina generale del mercato riprodotta in precedenza ha
evidenziato come la tipologia di potenziali acquirenti che presentano
maggiore dimestichezza con questo criterio estimativo - vale a dire
società finanziarie e di investimento mobiliare - non sembri essere
fra quelle maggiormente interessate a una società aventi le
caratteristiche di quella in esame.
A seguito di tali
considerazioni, si è ritenuto opportuno utilizzare questo metodo non
come un criterio prioritario, ma piuttosto quale strumento di verifica
delle stime conseguite tramite le metodologie precedentemente
riportate. Inoltre, considerate le difficoltà incontrate nel
reperimento dei prezzi di compravendita aziendali, si è deciso di non
limitare questa sezione della stima unicamente al metodo dei multipli
dei prezzi di mercato, ma di estenderla anche ad altri parametri, in
grado di fornire valutazioni indirette del valore del patrimonio
aziendale.
LA STIMA
PATRIMONIALE
1. Individuazione dei rami aziendali e ripartizione delle
poste di bilancio
Il riferimento di partenza è rappresentato dalla situazione
patrimoniale redatta dall'ufficio amministrativo dell'azienda. Tutte
le poste riportate all'interno di tale documento sono state verificate
nelle consistenze e sottoposte a specifica stima analitica. Inoltre,
al fine di contestualizzare la stima nel modo quanto più possibile
dettagliato e puntuale, si è deciso di sezionare l'azienda in cinque
rami specifici:
- Acquedotto
- Laboratorio
- Fognature
- Gestione Calore
Sia gli importi
patrimoniali che quelli afferenti il conto economico sono stati
suddivisi fra questi cinque rami, in modo tale che ad ogni singola
attività aziendale siano associabili attività e passività
patrimoniali, costi e ricavi. In altre parole, per ciascuno dei
suddetti rami viene redatto un vero e proprio bilancio sintetico,
necessario per determinarne sia lo stato patrimoniale che le
risultanze reddituali.
Ovviamente, la summenzionata ripartizione non ha incontrato ostacoli
per tutte quelle poste specificamente attribuibili a un'unica attività
(ad es. l'acquisto di acqua afferisce esclusivamente il ramo "Acquedotto",
la dotazione di macchinari per analisi concerne il ramo "Laboratorio",
etc.). Viceversa, alcune difficoltà potrebbero insorgere per la
classificazione delle voci che si riferiscono contemporaneamente a più
rami aziendali. In questi casi, si è adottato uno schema di
suddivisione. Per la classificazione delle tipologie di voci e la
determinazione delle percentuali di ripartizione ci si è attenuti alle
indicazioni trasmesse dai responsabili aziendali; dette percentuali
sono state utilizzate sia per la suddivisione delle poste di natura
patrimoniale che per quella dei costi indiretti.
· Importi di
natura tecnica
Comprendono tutte quelle voci strettamente connesse alla gestione
delle reti, e che non sono direttamente riconducibili ad alcuna delle
due specifiche attività (Acquedotto e Fognature).
- ACQUEDOTTO : 85%
- FOGNATURE : 15%
· Poste di livello
generale
Si identificano con i costi indiretti e con le voci patrimoniali
afferenti indistintamente tutti i rami aziendali. Di solito questi
importi vengono ripartiti proporzionalmente ai ricavi di vendita,
oppure suddividendo i tempi di utilizzazione del personale
amministrativo o di determinati servizi comuni. Nel caso in oggetto,
rispetto alla ripartizione individuata per i precedenti importi
"tecnici", si è riscontrata una minore incidenza soprattutto del ramo
"Fognature" (che risulta abbastanza significativo nella gestione delle
reti, molto meno nella conduzione amministrativa). In definitiva, sono
state adottate le seguenti percentuali:
- ACQUEDOTTO : 85%
- FOGNATURE : 10%
- LABORATORIO : 3%
- GESTIONE CALORE : 2%
· Poste di livello
generale, parzialmente connesse a fattori tecnici
Includono quelle voci che, pur essendo generiche, è presumibile che
siano in parte dipendenti dalla gestione dei due rami aziendali
prioritari. E' il caso, ad esempio, della posta "Debiti verso
fornitori" che comprende sia importi che sono stati originati a causa
di spese generali, sia altri, determinati da costi tecnici. La
ripartizione è dunque avvenuta mediando le precedenti due tabelle.
- ACQUEDOTTO : 85,0%
- FOGNATURE : 12,5%
- LABORATORIO : 2,5%
- GESTIONE CALORE : 1,0%
· Altre poste non
raggruppabili
Esistono infine alcune voci che non rientrano in una specifica
categoria, ma risultano connesse a singole situazioni gestionali o
contrattuali (ad es. la suddivisione dei crediti verso clienti, la
ripartizione di mutui bancari, etc.). in questi casi, talora è stato
possibile individuare un riferimento certo, talaltra si è fatto
ricorso all'adozione di percentuali standardizzate. In merito si
rimanda alle singole poste, così come definite nel prosieguo della
perizia.
I
TASSI di INTERESSE e di REDDITIVITA'
1. La
determinazione dei tassi di interesse e di redditività: finalità
Un fattore parimenti importante sia per l'analisi reddituale che per
la redazione della simulazione economico-finanziaria è rappresentato
dall'individuazione dei tassi di interesse e/o di redditività che si
ritengono maggiormente idonei a configurare la situazione aziendale.
La determinazione di questi tassi può adempiere svariate finalità:
a) determinare
l'ammontare di un costo effettivo, in relazione alle diverse tipologie
di debiti;
b) definire il livello di remunerazione congruo per l'imprenditore, da
commisurarsi all'importo dei mezzi propri;
c) stabilire un meccanismo di equiparazione tra flussi di cassa che
avvengono in differenti periodi temporali.
A seconda della
differente finalità, varia di conseguenza anche l'approccio
metodologico che è opportuno prevedere ai fini della determinazione
del tasso.
In particolare, nel caso sub a), dovendosi quantificare un costo
effettivo, si tratta per lo più di rilevare sul mercato bancario
l'onerosità connessa alle diverse tipologie di finanziamento.
Ovviamente, qualora esistano già contratti in corso fra l'azienda e
soggetti terzi erogatori, si assumono i dati relativi ai medesimi.
Nel caso sub b), due possono essere gli approcci adottabili:
- da un lato,
l'osservazione del settore in oggetto allo scopo di individuare
parametri significativi di raffronto;
- in alternativa (o a supporto del metodo precedente), la definizione
del cosiddetto "costo-opportunità", ossia dei mancati utili che
l'imprenditore potrebbe conseguire nell'ipotesi in cui, anziche tenere
il proprio capitale in azienda, optasse per altre forme di
investimento; è evidente che questa seconda impostazione esula
parzialmennte dalla specificità del settore in esame per andare a
coinvolgere a più ampio spettro il complesso dei mercati mobiliari.
Quanto infine alle
situazioni sub c), queste si prestano alle più svariate
interpretazioni, come sarà meglio evidenziato in seguito. Sarebbero
infatti ammissibili sia approcci fondati su costi effettivi, sia
quelli basati sul concetto di "costo-opportunità". Nel corso della
relazione, in varie circostanze, viene specificamente trattato e
risolto questo problema, con diretta attinenza alla concreta tematica
in esame.
2. Tipologie di tassi
Si possono distinguere alcune tipologie di tassi. Qui di seguito si
confrontano le principali alternative.
· Tassi nominali e tassi reali
I tassi nominali sono quelli che si sentono abitualmente menzionare:
tutti i tassi di riferimento (ad es. il costo della provvista
bancaria, il rendimento di un titolo pubblico, di un'obbligazione o di
un'azione, etc.) sono tassi nominali. I tassi nominali includono al
proprio interno la componente inflazionistica, ossia una quota che
serve a compensare la perdita di potere d'acquisto che la moneta
subisce a causa dell'inflazione.
I tassi reali, invece, sono scevri da tale componente, per cui
risultano uguali a quelli nominali, dedotto il saggio d'inflazione. La
determinazione di tale saggio è di natura oggettiva, in quanto
riscontrabile dai dati macroeconomici. Qualora però il periodo di
utilizzo del tasso finanziario superi l'arco temporale del breve
termine (due o tre anni), entra in gioco la sensibilità del valutatore,
che deve essere in grado di determinare un saggio di inflazione a
medio/lungo termine, che potrebbe anche differire da quello vigente.
Questo, soprattutto nell'eventualità in cui il saggio inflattivo a
breve sia particolarmente basso (o alto), e quindi sia fondatamente
presumibile un suo innalzamento (o ribasso) dopo 24/36 mesi.
Osservata la distinzione fra tassi nominali e tassi reali, quale
tipologia di tassi devono essere adottati in fase peritale? In merito,
si riporta l'opinione di Guatri, op.cit.:
"In ogni caso va
chiarito se il tasso debba intendersi al netto od al lordo
dell'inflazione. Valgono in proposito le osservazioni già svolte in
sede di esame del metodo reddituale. Il punto essenziale è la
coerenza tra reddito e tasso, con riguardo all'attitudine del primo
a sottrarsi all'inflazione: a redditi reali devono corrispondere
tassi reali, a redditi nominali tassi nominali. Nelle condizioni
intermedie, l'esperto deve cogliere la posizione nella quale il
reddito in questione si pone tra i due estremi, per assumere un
tasso congruente."
E' dunque fondamentale
la coerenza fra la tipologia di dati in esame e la tipologia
di tasso prescelto. Conseguentemente:
- per le verifiche
reddituali, che sono effettuate sulla base di conti economici non
sottoposti a inflazione (a valori costanti), si sono utilizzati tassi
reali;
- per la simulazione economico-finanziaria trentennale, da cui
discende l'analisi dei flussi di cassa, visto che tutti i dati di
ricavi e di costi sono assoggettati a inflazione (valori correnti), si
sono assunti tassi nominali.
· Tassi lordi e tassi netti
Con riferimento alla componente fiscale, si definiscono tassi lordi
quelli che la includono e tassi netti quelli che ne sono già depurati.
L'ambito di applicazione più diffuso è quello riferito alla
remunerazione dei mezzi propri: è evidente che, una volta stabilita la
redditività netta che l'imprenditore si prefigge, la redditività lorda
sarà più elevata della precedente, dal momento che da essa devono
ancora essere detratte le imposte dirette. Nella fattispecie,
considerato che l'IRAP ha modalità di determinazione piuttosto anomale
e complesse (inserendo nell'imponibile non solo il reddito, ma anche
alcuni costi non detraibili), si è deciso di includerla sempre fra i
costi operativi aziendali, per cui l'unico elemento di
differenziazione fra tassi lordi (rL) e netti (rN) è rappresentato
dall'IRPEG. Poiché questa imposta è stata stimata nella misura del
34%, il rapporto che ne consegue è:
rN = rL x 66% , quindi
rL = rN : 66%
Analogamente, anche
nel trattamento dei tassi passivi, laddove i tassi lordi sono pari
all'aliquota nominale (o reale, a seconda dei casi) del saggio
d'interesse applicato, i tassi netti sono decurtati del 34%,
conteggiando il recupero fiscale sull'ammontare degli interessi.
· Tassi fissi e tassi variabili
I tassi fissi restano costanti nel tempo, mentre quelli variabili, di
norma, sono indicizzati, nel senso che si evolvono seguendo
l'andamento di altri.
Le stime patrimoniali-reddituali, per la loro natura statica, sono
caratterizzate esclusivamente da tassi fissi. Viceversa, l'analisi dei
flussi di cassa si fonda interamente su un modello di generazione di
una successione temporale di tassi, tutti interrelati fra loro, come
sarà meglio descritto più avanti.
3. Quantificazione di alcuni tassi esterni di riferimento
Qui di seguito si riportano alcuni tassi macroeconomici, che servono
quali riferimenti esterni alla costruzione dei tassi di remunerazione
che sarà sviluppata nel prossimo capitolo.
- Euribor = 3,60%
- tassi correnti passivi = 6,50%
- tasso di inflazione a breve termine = 2,00%
- tasso di inflazione a medio-lungo termine = 2,50%
- aliquota IRPEG = 34%
- aliquota IRAP = 4,25%
4. Determinazione del tasso per la remunerazione dei mezzi
propri
Si esaminano le procedure che hanno portato alla costruzione dei tassi
fissi che vengono utilizzati per effettuare la verifica reddituale
delle stime patrimoniali.
· La costruzione del C.A.P.M.
Una delle metodologie maggiormente adottate per la determinazione di
un tasso di redditività è il C.A.P.M. (Capital Asset Pricing Model)
In termini di mera teoria economica, questo tasso è determinato dalla
composizione di due distinti fattori:
- il rendimento lordo imposte per investimenti privi di rischio
(titoli di Stato a lunga durata - circa 30 anni), simbolizzato
Rf;
- il premio legato al rischio, a sua volta suddivisibile in due
distinte componenti:
- il premio per il rischio derivante dal confronto fra il settore
della gestione idrica e gli altri settori, simbolizzato Pi;
- il premio per il rischio afferente la specifica azienda,
simbolizzato dalla lettera greca g .
La formula che determina il tasso di attualizzazione è pertanto la
seguente:
r = Rf + Pi + g
con:
Pi = b x ( Rm - Rf )
dove:
b è il coefficiente del rischio sistematico del settore acque
potabili;
Rm è il rendimento medio del mercato azionario.
Qui di seguito si esaminano tutte le singoli componenti della formula.
· Il rendimento degli investimenti privi di rischio (Rf)
Per la quantificazione del rendimento degli investimenti privi di
rischio occorre riferirsi a titoli di Stato aventi una scadenza
equiparabile alla durata presumibile dell'attività aziendale. In
particolare, visto che la durata della concessione (e della
simulazione economico-finanziaria) è trentennale, si è preso in
considerazione il tasso fisso lordo dei Buoni Poliennali del Tesoro
con scadenza posteriore all'anno 2025. Ne è derivato:
Rf = 5,60%.
· La maggiorazione per l'investimento azionario (Rm - Rf)
Per quanto concerne la differenza (Rm - Rf), ossia la maggiorazione
per l'investimento azionario rispetto al tasso privo di rischio, si
estraggono alcuni passi di Guatri, op.cit.:
"Una componente è
sempre presente, con peso rilevante, in questa ricostruzione
analitica: si tratta della cosiddetta "maggioranza per
l'investimento azionario".
Questo fattore di
rischio, nell'ampia esperienza americana che risale agli anni '20,
viene comunemente definito tra il 5 ed il 7,5 %. La misura dipende
dall'orizzonte temporale assunto a base di calcoli, come risulta anche
dalla tabella e dal tipo di media usato.
Periodi
|
Premio per il
rischio azionario in Usa
(media aritmetica) |
20 anni (1977 -
96) |
6,4 % |
30 anni (1977 -
96) |
4,9 % |
40 anni (1977 -
96) |
5,3 % |
dal 1926 |
7,5 % |
Per singoli anni si
hanno escursioni ben più marcate, anche con valori negativi in alcuni
anni. Proprio questa costatazione induce a non attribuire affidabilità
ai dati di periodi brevi o medi: il periodo di 10-15 anni sembra il
riferimento più ragionevole. Periodi più ampi stabilizzano bensì i
valori: ma è evidente il confrontare dati non omogenei rispetto alla
realtà odierna.
Sul piano operativo rimane il problema della misurazione della
maggiorazione rispetto ai titoli di Stato a breve o a lungo termine,
la natura, tipicamente a lungo termine, dell'investimento in aziende
induce a propendere per la seconda soluzione. E' a nostro parere
evidente che, trattando di valori di capitale, non ha molto
significato il riferimento ad investimenti speculativi, e perciò a
breve, riferiti a limitati pacchetti azionari: riferimento che
potrebbe indurre alla scelta in senso opposto.
Nell'esperienza italiana la maggiorazione in discorso può essere
stimata tra il 3,5% e il 5%.
Secondo nostri calcoli, la media aritmetica ponderata riferita agli
anni '90, distinguendo il periodo 1990-91 dal successivo (nel 1992
avviene infatti il mutamento strutturale legato all'obbligo di
concentrare in Borsa le quotazioni) è del 4,75 %. Sull'intero arco
1983-97 la media aritmentica ponderata è del 3,77 %.
Calcoli recenti della Comit indicano una misura del 4,13%, con un
range fra il 3,5% e il 5%; calcoli del Credito Italiano una media
aritmetica ponderata del 3,8% riferita al periodo 1984-96. Una
grandezza spesso citata è quella della Banca d'Italia del 1994, pari
al 3,5%.
A livello mondiale le misure variano dal 3,5% all'8,5 % come risulta
dalla tabella, che esprime peraltro solo grandezze orientative."
Caratteristiche dei mercati |
Premio
sui titoli di Stato |
Mercati
emergenti con rischi politici (Sud America, Est Europa)
|
8,5% |
Mercati
emergenti (Messico, Paesi asiatici escluso il Giappone)
|
7,5% |
Mercati
sviluppati con numerose quotazioni (Usa, Giappone, Gran
Bretagna) |
5,5% |
Mercati
sviluppati con limitate quotazioni (Europa occidentale escluse
Germania e Svizzera) |
4,5% - 5,5% |
Mercati
sviluppati con limitate quotazioni ed economie stabili
(Germania, Svizzera) |
3,5% - 4,0% |
Con riferimento alle
varie percentuali definite nel testo appena riportato, si è deciso di
optare per una soluzione intermedia, stimando:
( Rm - Rf ) = 4,0%
· Il coefficiente Beta per la determinazione del rischio medio
di settore
Anche in questo caso sembra interessante menzionare quanto scritto da
Guatri, op.cit.:
"Il punto focale del
metodo è il coefficiente "beta". L'espressione tipica del CAPM
(Capital Asset Pricing Model). Questo modello stabilisce che la
"maggiorazione per il rischio azionario" (rm - r) vada moltipicata
per il b di ogni specifica società, per misurare così i cosiddetti
rischi "non diversificabili". Questi ultimi possono essere definiti
partendo dall'assunto che l'investimento in azioni di una qualsiasi
società quotata genera due tipi di rischio.Un primo tipo legato
all'andamento della stessa società (come si comporteranno i suoi
prodotti: manterranno od accresceranno a quota di mercato? saranno o
non saranno remunerativi? quali risultati deriveranno dalla ricera
in corso? e così via). Un secondo tipo di rischio è legato
all'andamento generale dell'economia, che si ripercuote variamente
sui vari settori e sulle aziende.
Il rischio del primo tipo può essere eliminato dai singoli
investitori tramite la diversificazione del portafoglio; il secondo
non può essere eliminato dalla diversificazione (è detto perciò
rishio non diversificabile). Il coefficiente b sarebbe, appunto, una
misura del rischio non diversificabile, che quindi non è riflesso
dalla maggiorazione (media) per il rischio azionario. Valori di b >1
corrispondono com'è ben noto, ad alti rischi per il titolo
considerato nel senso che esso eccede il rischio medio di mercato;
valori di b < 1 hanno ovviamente il significato opposto. Le 500
società americane comprese nell'indice Standard and Poor's hanno
nell'insieme, per definizione, b = 1. Così come in qualsiasi mercato
il campione di società rappresentativo assume b = 1. Recenti studi
hanno messo in luce che il coefficiente b è funzione primaria di un
numero limitato di variabili. Purtroppo la maggior parte di queste
variabili ha natura qualitativa , e quindi consente scarse
possibilità previsive puntuali sull'andamento futuro del b di un
titolo. Le variabili fondamentali sarebbero (i segni + e - indicano
se l'influsso sul b è positivo o negativo):
- la dimensione dell'impresa(-);
- la ciclicità del settore (+);
- le prospettive di crescita (+);
- il grado di "leva operativa" (peso dei costi fissi) (+);
- il grado di internazionalizzazione (+);
- il grado di diversificazione (-);
- il grado di leva finanziario (+).
Oltre che ai "beta" storici, crescente attenzione viene dedicata
dagli analisti e da pubblicazioni specailizzate ai "beta"
prospettici: in Usa gli studi empirici si sono ampliamente
sviluppati a partire dai primi anni '70. Questo completamento
informativo è rilevante, poichè i tassi alla cui misura concorrono i
"beta" sono strumenti per l'attualizzazione dei flussi futuri.
Secondo l'amplissima esperienza americana, i "beta" prospettici sono
più concentrati attorno al valore unitario: ben il 90% dei "beta"
prospettici è compreso tra i valori 0,5 e 1,5; mentre in tale
intervallo è compreso solo il 51% dei "beta" storici.
La distribuzione dei "beta" storici sul mercato italiano mette in
evidenza una maggiore concentrazione dei valori, con tre picchi di
frequenza ed una media inferiore alle esperienze internazinali.
Come si è detto, i valori "beta" sono oggetto di continui calcoli e
di pubblicazioni da parte di Merchant Bank e di altri operatori
specializzati, con riferimento a numerose aziende quotate ed a
settori di attività, in tal modo anche se l'azienda in oggetto di
stima non è quotata (o se la quotazione non è significativi), è
possibile il riferimento ai "beta" di aziende similari. In Europa
quest'ultima è spesso la via seguita.
Un primo passo, nel riferimento ai "beta" di società similari, è l'addozione
dei "beta" settoriali, come ragionevole approssimazione delle stime.
Questo comportamento si fonda sull'ipotesi che almeno nel medio
termine il grado di rischio di ogni impresa converga sulla media del
settore. Ma, com'è ovvio, si tratta di una grossolana
approssimazione.
Ciò non toglie l'utilità, a titolo di ricontro, dei "beta"
settoriali, che infatti a questo fine sono largamente usati.
Un modo più significativo ed attendibile per dedurre il "beta"di
un'impresa da società similari consiste nel tenere appropriatamente
conto del divario tra il rischio finanziario medio delle società
-campione ed il rischio dell'impresa specifica.
Il campione comparabile dev'essere innanzitutto costituito da
società abbastanza omogenee tra di loro (nell'aspetto della
dimensione, del grado di integrazione, nella composizione delle
vendite, ecc.).
In secondo luogo il dato medio del campione va corretto per tenere
conto dello specifico leverage dell'azienda da valutare."
Nel testo del Guatri
sono altresì riportati i "beta" di settore riferiti a vari comparti di
attività economiche. Per quanto concerne il settore della "Produzione
e distribuzione acqua", non sono disponibili stime riferite
all'Italia, mentre viene riportato un coefficiente molto alto per
quanto concerne la Francia (1,12), decisamente contenuto per gli
U.S.A. (0,62) e il Regno Unito (0,50). Interpellati sul tema alcuni
esperti del settore, ebbero modo di riferire a chi scrive che il
mercato francese dell'acqua risulta ancora fortemente polverizzato e
scarsamente normato. Viceversa, nel Regno Unito già da anni esiste una
suddivisione zonale consolidata, che consente una presenza più
radicata e gestionalmente meno incerta degli operatori. La situazione
italiana, fino a poco tempo fa simile a quella francese, sta evolvendo
rapidamente verso una configurazione molto più simile a quella
britannica, se non altro per l'introduzione della normativa che
istituisce i bacini idrici integrati.
Passando da un approccio di natura settoriale a un altro
esclusivamente finanziario, allo scopo di calcolare con appropriatezza
la misura del coefficiente b per la determinazione del rischio medio
di settore, si è osservato l'andamento dei mercati borsistici italiani
nel corso dell'ultimo quinquennio (1998/2002). All'interno del listino
si sono individuati tre titoli relativi a società che svolgono
esclusivamente attività di gestione idrica, senza alcuna commistione
con altri settori (come ad esempio la distribuzione di gas metano, la
gestione di servizi per gli enti locali, la progettazione/costruzione
di reti, etc.). Durante il periodo dell'osservazione i tre titoli
rilevati hanno fatto registrare un comportamento analogo,
caratterizzato da un'oscillazione complessiva dei propri corsi
nettamente inferiore a quella riscontrata, in media, fra tutte le
altre azioni quotate. Dal momento che più ristretta è la fascia di
oscillazione delle valutazioni di un titolo, minore risulta la
rischiosità e viceversa, al termine della suddetta analisi è possibile
stimare un b di settore inferiore all'unità.
Per l'esattezza, la
determinazione del coefficiente è avvenuta come segue.
Sulla base di quanto riportato dal Guatri e della rilevazione sugli
andamenti borsistici, si sono stabilite le seguenti fasce di
oscillazione potenziali:
- per il coefficiente
b, da 0 a 2,5
- per il rapporto fra il corso massimo di un'azione e il suo minimo,
nell'arco del quinquennio esaminato, da 1 a 25.
Depurando i listini di
Borsa dalla presenza dei titoli inseriti nei "nuovi mercati", la cui
volatilità è risultata eccezionalmente ampia, si è giunti a costruire
la seguente tabella che, sulla base dell'effettivo posizionamento
delle azioni esaminate, ha correlato le percentuali di variabilità
registratesi nei titoli con le corrispondenti stime di b.
|
fascia di
oscillazione |
b |
minimo |
1,000 |
0,000 |
|
1,702 |
0,445 |
medio-basso |
2,018 |
0,645 |
|
2,369 |
0,997 |
medio
|
2,916 |
1,000 |
|
3,735 |
1,818 |
medio-alto |
5,276 |
2,000 |
|
8,950 |
2,432 |
massimo
|
25,000 |
2,500 |
La fascia di
oscillazione dei tre titoli esaminati è stata di 2,032=, cui
corrisponde la stima di un b pari a 0,66. Tale stima è peraltro
consona alle considerazioni effettuate in precedenza circa i valori
assunti da questo coefficiente negli U.S.A. e nel Regno Unito.
· Il premio g per la determinazione del rischio specifico
aziendale
Ai fini di contestualizzare la determinazione del tasso di
remunerazione dei mezzi propri all'impresa in esame, il calcolo finora
sviluppato viene integrato dall'aggiunta del cosiddetto "rischio
specifico aziendale", che esprime la differenza fra detta impresa e la
media delle altre aziende del settore in cui opera. In questi termini,
il premio g potrebbe anche risultare di importo negativo, nell'ipotesi
in cui la società soggetta a perizia presentasse caratteristiche
migliori rispetto alla media settoriale. I fattori che determinano la
quantificazione di tale premio aggiuntivo sono qui di seguito
sunteggiati. La descrizione di ognuno di questi viene completata con
una sintetica valutazione d'incidenza sul tasso di remunerazione: le
variazioni col segno "+" (più) indicano la presenza di una componente
di rischio maggiore rispetto alla media settoriale, atta ad innalzare
l'ammontare del premio, mentre quelle con segno "-" (meno)
rappresentano situazioni in cui il rischio aziendale è più contenuto,
e il premio può essere ridotto.
- Rischio dimensionale
Di norma, le aziende più piccole vengono considerate maggiormente a
rischio rispetto a quelle di dimensioni più ampie, se non altro per il
fatto che le loro azioni, non essendo quotate, risultano meno
controllabili e di difficile collocazione.
Venendo al caso specifico, l'azienda in esame è più piccola rispetto
alle società quotate che si sono individuate per determinare la media
settoriale. Nel settore della gestione idrica, le aziende di
dimensioni medio-grandi sono avvantaggiate nella "conquista" di nuovi
mercati e nella partecipazione alle gare per l'affidamento di
concessioni di servizi. Tuttavia, considerato il radicamento
dell'azienda in esame nella sua area d'intervento, le sue ridotte
dimensioni non sembrano comportare uno svantaggio operativo.
Giudizio sintetico : + 0,25%
- Rischio finanziario
La determinazione di questo rischio deriva dall'analisi dei bilanci e
dei principali indici patrimoniali. Ovviamente, per determinare con
appropriatezza l'entità di questo fattore, si rende necessaria
un'operazione di benchmarking che permetta un confronto con aziende
comparabili che svolgono analoga attività.
Da tale confronto è emerso che l'azienda in esame si trova in una
condizione leggermente svantaggiata rispetto alle altre aziende prese
a paragone, soprattutto quelle quotate prese in esame per la
determinazione del coefficiente b, con un profilo di rischio
leggermente più alto della media. Peraltro, l'ammontare degli indici
patrimoniali sarà fortemente influenzato dalla valutazione in corso
che, aggiornando la stima delle immobilizzazioni e del patrimonio
netto, comporterà una redifinizione radicale dei rapporti parametrici.
Giudizio sintetico : + 0,25%
- Grado di diversificazione
E' consuetudine affermare che un'azienda maggiormente diversificata
presenta un profilo di rischio inferiore rispetto a un'azienda
focalizzata su una strategia di concentrazione.
Nel caso in esame, quasi tutte le aziende esaminate presentano una
notevole concentrazione territoriale, operando quasi sempre in un
ambito comunale allargato. Solo alcune società di grandi dimensioni
sono caratterizzate da una marcata diversificazione territoriale. Per
quanto concerne la diversificazione operativa, l'azienda in esame
espleta un ciclo abbastanza completo della gestione idrica integrata,
gestendo sia l'acquedotto che le reti fognarie (depurazione esclusa),
ma ciò avviene anche per buona parte delle altre aziende indagate.
Esistono poi i grandi gruppi italiani (Italgas, ACEA, AMGA) che
abbinano alla diversificazione territoriale anche quella settoriale
(in primis, gestendo le reti del gas metano); ma, proprio per queste
loro prerogative, questi gruppi non sono stati ritenuti in alcun modo
comparabili con l'azienda in esame.
Giudizio sintetico : ==
- Fattore
avviamento
Sotto questa voce possono includersi due differenti aspetti della
gestione aziendale, connessi rispettivamente all'efficacia e
all'efficienza di questa. Il primo consiste nel cosiddetto "avviamento
commerciale", ossia nella presenza di una clientela consolidata,
fondamentale per tutte le imprese operanti sul libero mercato
(efficacia). Il secondo potrebbe essere condensato nel concetto di "know-how",
ossia nella capacità strutturale e gestionale dell'azienda di svolgere
il proprio ciclo operativo nel migliore dei modi (efficienza).
Con riferimento all'azienda in esame e al settore in cui è presente,
l'avviamento commerciale non riveste alcuna importanza, visto che
opera in regime di concessione. Viceversa, il cosiddetto "know-how",
garantito dalla pluriennale esperienza e dal radicamento sia
organizzativo che territoriale, costituisce uno dei punti di forza
dell'azienda. Una simile affermazione è concretamente riscontrabile
nel momento in cui si pongono a confronto alcuni indici di efficienza
gestionale tratti dalle analisi di bilancio di differenti società del
medesimo comparto: l'azienda in esame, infatti, in questi ultimi anni,
ha conseguito risultati ragguardevoli, collocandosi ben al di sopra
della media settoriale.
Giudizio sintetico : - 0,25%
Dalla composizione di
tutti i fattori precedentemente descritti si evince l'importo
complessivo del premio per il rischio specifico dell'azienda in esame:
g = + 0,25%
· Quantificazione finale del tasso di remunerazione dei mezzi
propri
A conclusione dell'analisi appena definita si ricapitola il processo
di determinazione del tasso di remunerazione dei mezzi propri,
rifacendosi alla formula del C.A.P.M.:
r = Rf + b x ( Rm - Rf
)+ g =
= 5,60% + 0,66 x 4% + 0,25% = 5,60% + 2,64% + 0,25% = 8,49%
Il tasso stabilito in
questo modo è un tasso:
- nominale
dal momento che include la componente inflattiva:
- al netto dell'IRPEG
I tassi assunti quali
base per il C.A.P.M. sono visti dalla parte del percettore di reddito
(l'imprenditore, l'azionista, il risparmiatore, etc.): sia il tasso "free-risk"
(rendimento dei titoli di Stato), sia la maggiorazione per il rischio
azionario (4%) rappresentano redditi che sono al lordo dell'IRPEF, ma
già al netto dell'IRPEG (in quanto inesistente, nel caso dei BOT, o
già assolta, nel caso delle azioni).
Qui di seguito si riportano i calcoli per la determinazione delle
altre tipologie di tassi congruenti. Si precisa che aIRPEG rappresenta
l'aliquota IRPEG (34%), mentre ib rappresenta il saggio d'inflazione
nel breve periodo.
- tasso nominale
lordo
r = ( Rf + b x ( Rm - Rf )+ g ) : ( 1 - aIRPEG ) =
= 8,49% : ( 1 - 34% ) = 12,86%
- tasso reale
netto
r = ( Rf - ib + b x ( Rm - Rf )+ g ) =
= 5,60% - 2,00% + 0,66 x 4% + 0,25% = 6,49%
- tasso reale
lordo
r = ( Rf - ib + b x ( Rm - Rf )+ g ) : ( 1 - aIRPEG ) =
= 6,49% : ( 1 - 34% ) = 9,83%
La seguente tabella riassume dunque le varie tipologie di tassi
adottati per simulare la remunerazione dei mezzi propri (importi
esatti e successivi arrotondamenti):
TASSI per la
REMUNERAZIONE dei MEZZI PROPRI |
NOMINALE LORDO |
12,86% |
è |
12,90% |
REALE LORDO |
9,83% |
è |
9,80% |
NOMINALE NETTO
|
8,49% |
è |
8,50% |
REALE NETTO |
6,49% |
è |
6,50% |
5. Calcolo
degli oneri finanziari sui mezzi di terzi
Si passa adesso a disaminare le differenti fonti stabili di mezzi di
terzi, quantificandone l'onerosità. La tecnica aziendalistica
individua quali fonti stabili di mezzi di terzi:
- i debiti verso le
banche, sia a breve che a medio-lungo termine;
- i fondi di accantonamento (esclusi quelli rettificanti le poste
attive).
Non vengono invece
considerate fonti stabili i debiti commerciali netti (intesi come
differenza fra il saldo "Fornitori" e quello "Clienti"),
in quanto ad elevata variabilità. Nel caso in esame, però, e con
particolare riferimento al ramo d'azienda "Acquedotto", si è
ritenuto opportuno equiparare ai fondi anche i depositi cauzionali
versati nel corso degli anni dagli utenti, che rientrano nella posta
del passivo patrimoniale "Debiti verso utenti/clienti".
La seguente tabella evidenzia il calcolo per la quantificazione
dell'ammontare medio degli oneri finanziari:
DEBITI
|
Acquedotto |
Fognature
|
Laboratorio |
Calore
|
Tassi
passivi |
Fondo T.F.R.
|
838.510 |
98.648 |
29.594
|
19.730 |
3,00% |
Depositi
cauzionali |
439.779 |
==== |
==== |
==== |
0,00% |
Mutui a lungo
termine |
24.315.181 |
858.189
|
==== |
==== |
3.80% |
Mutui a medio
termine |
21.686
|
==== |
==== |
==== |
8.00% |
Banche a breve
termine |
908.478 |
106.880 |
32.064
|
21.376 |
6,50% |
Totale Debiti
considerati |
26.523.634 |
1.063.717 |
61.658 |
41.106
|
I depositi cauzionali
non sono onerosi, mentre per il Fondo T.F.R. si è stimato un costo
annuo del 3,00%, di poco superiore al tasso d'inflazione nel lungo
periodo.
Ponderando i tassi passivi della precedente tabella per i correlativi
importi debitori, si determina l'onerosità media dei mezzi di terzi,
ripartita per ogni singolo ramo aziendale:
- Acquedotto : 3,81%
- Fognature : 4,00%
- Laboratorio : 4,82%
- Gestione Idrica Integrata : 3,82%
- Gestione Calore : 4,82%
Questi tassi sono nominali e lordi, dal momento che includono la
componente inflattiva e non tengono conto della detraibilità IRPEG
degli oneri finanziari, la quale permette di ridurne l'incidenza sui
risultati netti. In affinità col procedimento del capitolo precedente,
si riportano anche in questo caso le varie tipologie di tassi
congruenti.
ONEROSITA'
MEDIA dei MEZZI DI TERZI |
Tipologia di tassi |
Acquedotto |
Fognature |
Laboratorio |
G.I.Integrata |
Calore |
NOMINALI LORDI |
3,81% |
4,00% |
4,82% |
3,82% |
4,82% |
REALI LORDI |
1,81% |
2,00% |
2,82% |
1,82% |
2,82% |
NOMINALI NETTI |
2,51% |
2,64% |
3,18% |
2,52% |
3,18% |
REALI NETTI |
1,19% |
1,32% |
1,86% |
1,20% |
1,86% |
6. Costo medio ponderato delle fonti finanziarie
Dopo aver determinato, secondo tutte le varie tipologie, il tasso di
remunerazione dei mezzi propri e l'onerosità media dei mezzi di terzi,
è giunto il momento di comporre queste informazioni per quantificare
il costo medio ponderato delle fonti finanziarie (in inglese, W.A.C.C.,
Weighted Average Capital Cost). Tale ponderazione richiede di
conoscere, oltre all'ammontare dei tassi, le quote di incidenza delle
singole fonti finanziarie: rispetto al totale dell'attivo
patrimoniale, si individuano la percentuale rappresentata dal
patrimonio netto e quella costituita dalla sommatoria delle poste
debitorie descritte al capitolo precedente. E' oltremodo improbabile
che la somma di queste due percentuali raggiunga l'unità: come
trattare, allora, il complemento a 100% di tale somma, presumibilmente
rappresentato da debiti a breve termine? Sono possibili tre risposte:
- includerlo nella
ponderazione conteggiandolo al tasso passivo corrente
tale scelta ipotizza
che tutte le altre fonti finanziarie siano comunque onerose
(direttamente o indirettamente), stimandone il costo tramite il più
classico degli oneri finanziari;
- includerlo nella
ponderazione conteggiandolo a tasso zero
in questo caso, tali
fonti finanziarie sono ritenute non onerose, come d'altronde
effettivamente sono (almeno formalmente);
- escluderlo dalla
ponderazione
la terza opzione
ignora il complemento al 100% ed effettua la ponderazione
limitatamente alle due categorie di fonti finanziarie conteggiate in
precedenza.
Fra le tre soluzioni evidenziate, si propende decisamente per
l'ultima. Infatti, i debiti a breve termine non possono essere
considerati alla stregua delle altre fonti finanziarie, in quanto:
- sono rapidamente
mutevoli
- la loro posizione contabile, di norma, non bilancia le
immobilizzazioni, ma caso mai le attività a breve; in quest'ottica,
non ci si dovrebbe comunque riferire al complemento al 100%
dell'attivo patrimoniale, bensì all'eventuale differenza fra passività
e attività a breve termine (e, qualora le seconde superassero le
prime, anziché un'altra fonte finanziaria si determinerebbe
un'eccedenza d'impiego).
A conclusione di
questo processo, si è infine determinata la seguente tabella, che
rappresenta le varie tipologie di W.A.C.C. per ogni singolo ramo
d'azienda:
COSTO MEDIO
PONDERATO delle FONTI FINANZIARIE |
Tipologia di tassi |
Acquedotto |
Fognature |
Laboratorio |
G.I.Integrata |
Calore |
NOMINALI LORDI |
6,37% |
4,54% |
11,83%
|
6,14% |
14,77% |
REALI LORDI |
3,74% |
2,26% |
8,56% |
3,62% |
11,12% |
NOMINALI NETTI |
4,19% |
2,94% |
7,75% |
3,97% |
9,61% |
REALI NETTI |
2,49% |
1,47% |
5,68% |
2,37% |
7,29% |
7.
Aggiustamento dei tassi per la verifica reddituale statica
La definizione di tasso d'interesse implica intrinsecamente due
concetti di fondo:
- il riferimento all'ambito finanziario
qualunque tipo di tasso di interesse si applica a grandezze
finanziarie, che esprimono, cioé, trasferimenti monetari;
- la dinamicità del contesto
la presenza di un tasso di interesse implica necessariamente lo
scorrere di un certo lasso temporale, quindi deve essere collocata in
un contesto dinamico.
Nel caso della verifica reddituale posta a integrazione della stima
patrimoniale, però, nessuna di queste due condizioni è rispettata.
Infatti:
- i dati su cui si lavora sono grandezze economiche (ricavi, costi,
utili, perdite) e non finanziarie; in altre parole, rappresentano
componenti positive o negative di reddito, indipendentemente
dall'effettivo pagamento delle medesime;
- la verifica è espletata in termini statici, sia perché effettuata a
valori costanti, sia perché il calcolo dei redditi è fondato
sull'individuazione di tre soli esercizi (2002, 2003 e "regime"),
basandosi prioritariamente sul budget aziendale e senza inserire
fattori rappresentativi di un'evoluzione dinamica.
Per porre rimedio a queste due differenze (peraltro di dimensioni
assai contenute), si applicano delle metodologie correttive suggerite
dagli esperti, qui di seguito diffusamente illustrate.
· Equiparazione fra tasso finanziario e tasso "economico"
Si è detto che, per sua natura, il tasso d'interesse ha una valenza
esclusivamente finanziaria, applicandosi a trasferimenti monetari. Nel
momento in cui si riferisce la medesima percentuale a importi di
natura economica, è necessario soffermarsi a riflettere sulle
differenze che emergono a seguito di tale disparità.
La divergenza principale è di natura cronologica: fra il momento di
insorgenza della posta economica e quello della sua trasformazione in
flusso finanziario, infatti, decorre un certo lasso temporale. Volendo
sintetizzare a grandi linee questo concetto, si può asserire che, in
media, la contabilizzazione economica precede il movimento finanziario
di circa un trimestre. Questo breve ritardo temporale fà sì che,
qualora si applicassero a quantità economiche i medesimi tassi
concepiti per i dati finanziari, si effettuerebbe una leggera
sovrastima di tali quantità, visto che la trasformazione in flussi di
cassa richiederebbe un ulteriore trimestre. E' dunque necessario
correggere il tasso di interesse per recepire questa dissonanza
temporale.
Ma come può avvenire tale correzione?
Se si volesse attualizzare al 30 settembre una posta economica che
insorgerà solamente a fine anno, è evidente che il differimento
finanziario di un trimestre dovrebbe indurre a raddoppiare il tasso.
Per analogia, visto che i tassi di interesse adottati sono annui, si
dovrebbe dedurre che il solito ritardo trimestrale comporti un aumento
del tasso pari a 1/4 dello stesso (ad es., dall'8% al 10%). Tuttavia,
qualora si consideri l'attualizzazione di una lunga successione di
flussi economici, ognuno dei quali richiede un trimestre per essere
monetizzato, l'attualizzazione di un'importo che insorgerà fra 20 anni
verrebbe solo in minima parte sfiorata da tale ritardo (l'aumento del
tasso sarebbe pari a 1/80, e il solito saggio dell'8% dovrebbe
diventare semplicemente 8,1% anziché 10%).
Come dice lo stesso Guatri, op.cit.:
"Il divario a favore
di una delle due categorie di flussi attesi (finanziari o reddituali)
è però destinato ad attenuarsi nel tempo, così che per n molto
elevati esse tendono a compensarsi. Il vantaggio o svantaggio
misurato è perciò significativo solo nel breve termine. L'incognita,
in proposito, è rappresentata dal differimento medio, cioè dal tempo
in anni entro il quale mediamente il riassorbimento potrà avvenire".
Considerato che la
durata della concessione è trentennale, si è ipotizzato che un lasso
temporale adeguato per stimare il riassorbimento della divergenza
temporale potesse essere rappresentato da 10 anni.
Al fine di determinare un fattore correttivo dei tassi di interesse,
si è proceduto in questo modo:
a. per tutti i tassi
di interesse compresi fra 2,00% e 12,00%, con scansione 0,25%, si è
calcolato il valore attuale di una rendita unitaria decennale;
b. l'importo ottenuto è stato confrontato con il valore attuale della
stessa rendita unitaria decennale, anticipata di un trimestre;
c. applicando il rapporto aritmetico fra le due rendite summenzionate,
il tasso 2,00% dovrebbe diventare 2,095% e il tasso 12,00% diverrebbe
12,728%;
d. si è provato a individuare una funzione che riproducesse il più
fedelmente possibile, al crescere del tasso d'interesse, il
correlativo aumento del rapporto aritmetico;
e. si è ritenuto soddisfacente adottare una funzione che trasformasse
il tasso 2,00% in 2,095% e il tasso 12,00% in 12,727%.
La funzione ricercata
è stata quindi definita in questo modo:
Re = Rc x ( 1,045 + Rc
x 0,13 )
dove
Re è il tasso d'interesse economico
Rc è il tasso d'interesse finanziario (o "di cassa").
· Determinazione del fattore di crescita "g"
Per illustrare quest'ultimo punto della teoria dei tassi, si ritiene
eccellente la disamina introduttiva effettuata da Guatri, op.cit
"Le ben note
difficoltà di previsione analitica dei flussi attesi (reddituali e
finanziari) al di là di pochi anni fanno sì che del fattore crescita
spesso non si possa tenere conto nella quantificazione di tali
flussi; da ciò la decisione, originaria e tipica della pratica
americana, di tenere conto nella stima del tasso. [.…...].
Due preliminari osservazioni sono necessarie:
a) non vi è dubbio
che il fattore crescita non si possa considerare due volte: s'impone
però la scelta, per evitare una palese duplicazione, tra il tenerne
conto nella stima dei flussi attesi a medio/lungo termine oppure
nella stima del tasso;
b) non si capisce, almeno a prima vista, perchè le incertezze
tipiche della previsione di rescita si debbano attenuare, o
addirittura debbano scomparire, se esse si esprimono nel tasso
piuttosto che nei flussi attesi. Le difficoltà e i dubbi non
svaniscono certo nel secondo caso.
Sul punto a),
esclusa ovviamente qualsiasi duplicazione, esiste però una via
mediana che può consistere:
- nell'esprimere il
fattore crescita nella misura dei flussi, quand'essi siano compresi
nel ridotto arco temporale che consente di conservare un'adeguata
credibilità alle previsioni (non oltre 3-5 anni);
- sul medio lungo termine, nel tradurre in via approssimativa e
sintetica il fattore crescita nella misura del tasso, proprio questa
è la soluzione spesso proposta dalla pratica americana, che perciò
distingue un tasso di attualizzazione dei flussi attesi anno per
anno su di un limitato arco temporale (forecast period), da un tasso
appicabile al flusso medio perpetuo per il periodo successivo (continuing-value
period).
[.…...]
E' intuitivo che, se
non si pongono severi limiti alla dimensione attribuibile al fattore
di crescita, la compressione del tasso a lungo termine può risultare
molto rilevante, con la conseguente esplosione dei valori del
capitale. Tutti gli autori ed i critici sono perciò molto attenti a
porre limiti a "g".
"Poche società - così Copeland- possono aspettarsi di crescere più
rapidamente dell'economia nel suo compesso per lunghi periodi di
tempo. La stima migliore è probabilmente il saggio atteso di
crescita dei consumi per il settore, più il tasso d'inflazione".
Secondo altre concezioni il fattore "g" dev'essere inteso come il
"tasso medio composto di crescita a lungo termine", includendo sia
aumenti di prezzi (legati anche l'inflazione) sia aumenti di volumi.
Ciò tenendo presente:
- che il tasso di
crescita da assumere è quello che ragionevolmente può essere
dall'impresa mantenuto a tempo indefinto;
- che a tempi lunghi è praticamente impossibile sostenere una
crescita che ecceda il tasso di inflazione più la crescita della
popolazione;
- che il fattore "g" deve in ogni caso considerare lo stato di
maturità del settore.
Ancora vi è chi
vorrebbe identificare il fattore "g" nel semplice tasso
di'inflazione atteso; chi distingue nettamente la crescita nominale
(comprensiva di inflazione) da quella reale; chi deduce
semplicemente "g" dall'andamento della crescita degli utili del
recente passato.
Non occorre molto di più per concludere che, sul tema, vi è - almeno
in sede applicativa - non poca confusione. Appare pertanto opportuno
fissare alcuni concetti.
In primo luogo non vi può essere dubbio che, poichè il fattore "g" è
una componente del tasso i, valgono con riguardo all'inflazione, le
considerazioni riguardanti il profilo dell'omogeneità tra i ed il
flusso di reddito atteso.
In secondo luogo, le previsioni in ordine al fattore "g"non hanno
caratteristiche e limiti sostanzialmente diversi rispetto a quelli
che si incontrano nella stima dei flussi di reddito col metodo della
crescita attesa. Anche in relazione a "g" occorre pertanto svolgere
accurate indagini storico - previsionali, in modo da attribuire
ragionevolezza alle decisioni che si assumono; e di fondarle su
adeguate dimostrazioni. Com'è noto, aspetti fondamentali sono, in
proposito, le previsioni che attengono all'andamento delle vendite e
dei "margini": esse hanno senso in scenari ben definiti, esprimenti
chiari ed attendibili ipotesi. Ipotesi che, oltre alle fondamentali
grandezze macro economiche, debbono riguardare il comportamento
futuro dell'offerta, le strategie dei concorrenti, la dinamica
attesa della domanda e del sistema distributivo; e così via.
Fondamentali, in ogni caso, le previsioni inerenti al settore.
Esistono al limite, settori maturi ed in decadenza per i quali
nessuno sviluppo è ipotizzabile; e settori nuovi, nei quali possono
aversi tassi di sviluppo molto elevati.
Quanto precede consente una considerazione finale: il trasferimento
dai flussi attesi al tasso i non solo non elimina nè riduce le
incertezze tipiche delle previsioni di crescita, ma il fattore "g"
esige la stessa accuratezza e le stesse cautele che sono necessarie
nelle previsioni di sviluppo dei flussi.
Non è certamente affievolendo, con alcune approssimazioni, la
credibilità e dimostrabilità delle coponenti del tasso, che si
migliora la credibilità della valutazione delle aziende, l'apparente
semplicità concettuale ed applicativa del fattore "g" non deve
generare illusioni.
A conferma di queste ovvie preoccupazioni, un'indagine empirica
americana si è proposta di individuare una relazione statistica tra
il fattore"g" riferito al lungo termine ed il valore attribuibile a
"g" nel breve termine. Dopo aver stabilto che un'attendibile
previsione può essere condotta solo su di un arco temporale limitato
a 5 anni, adottando accurati criteri è prevenuta ad esprimere la
relazione:
g= 0,43 g5
(dove "g5" è appunto
il fattore di crescita stimato sull'arco quinuennale).
In via indicativa, da questa significativa indagine empirica
riferita ad un largo campione si deduce che il fattore "g" assume
mediamente misure inferiori alla metà dei tassi di sviluppo a breve
termine.
Per concludere, qualche indicazione quantitativa tratta da varie
esperienze. Secondo molteplici indicazioni internazionali, specie di
origine americana, il range tipico del fattore "g" al netto
dell'inflazione si può posizionare tra 0% e 5%; al lordo
dell'inflazione fino all'8-9%, I valori più frequenti (in termini
"reali") sono però tra l'1% ed il 3%.
Per quanto ogni tentativo di generalizzazione sia da considerare di
limitato significato, un possibile quadro riassuntivo che mette in
relazione le previsioni di sviluppo del settore con la capacità
specifica di crescita dell'impresa in termini di redditività è
espresso dalla tabella:
SETTORI |
Imprese con
capacità di crescita reddituale |
|
Alta |
Media |
Bassa |
In forte
sviluppo |
3,0%-5,0%
|
2%-3% |
0%-1% |
In moderato
sviluppo |
1,5%-2,5% |
1%-2% |
0% |
Stazionari
|
0%-1% |
0% |
0% |
Decadenti |
0% |
0% |
0% |
[…….]
La relazione fra tasso a breve (i) e tasso a lungo termine (i') è
argomento che deve essere ripreso e approfondito. Pur escludendosi
l'univocità della relazione i>i', tipica della letteratura e della
pratica nord-americana, si deve però osservare che anche nella
pratica europea la scelta più frequente è nello stesso senso. Anche
se di tale atteggiamento non viene di solito fornita un'attendibile
spiegazione, essa è a nostro avviso ricercabile nei seguenti
argomenti:
- il primo riguarda la circostanza che la crescita tendenziale della
dimensione e quindi, anche se non necessariamente, dei redditi
dell'impresa, pur non potendo essere quantificata in attendibili
misure di flussi a lungo termine, può indirettamente e in via
d'approssimazione tradursi in un contenimento del tasso a lungo
termine;
- il secondo argomento riguarda la maggior probabiltà che nel lungo
andare (rispetto al breve termine)la capacità di reddito sappia
reagire all'inflazione, neutralizzando tale fenomeno. In tal modo
rendendo omogenei i flussi attesi con un tasso reale, per
definizione più contenuto rispetto a un tasso corrispondente a una
posizione intermedia tra il reale e il nominale più consona a
flusssi di breve durata).
Questa relazione tendenziale tra i due tassi è però ammissibile solo
per aziende (e settori) che consentano di presagire con fondamento
un lungo periodo di sviluppo. Essa non è perciò vera per aziende e
settori che presentino prospettive di stazionarietà o addirittura di
decadenza.
La situazione è complicata da un terzo fattore che entra in gioco,
cioè la decrescente prevedibilità dei redditi col passare del tempo,
il che spingerebbe il tasso verso l'alto, in relazione alla
crescente incertezza.
Tenendo conto di tutto ciò, si conferma tendenzialmente una più
contenuta misura attribuibile al tasso a lungo termine nei settori e
nelle imprese che hanno davanti a loro una probabile duratura fase
di sviluppo, specie se questa si accompagna a una ragionevole
protezione dell'investimento nei riguardi dell'inflazione e se nel
lungo termine le ragioni di crescente incertezza non divengono
dominanti.
Da quanto sopra emerge però che, nella nostra ottica , le differenze
tra i e i' solo eccezionalmente risulteranno così marcate come nella
pratica americana, nella quale il collegamento al solo fenomeno
della crescita (il ben noto fattore "g") può provocare forti
divergenze. Nella nostra esperienza, differenze da 0,5 a 2 punti
percentuali tra i tassi, in un senso o nell'altro, sono l'intervallo
tipico di variabilità. Mentre nell'esperienza americana si ragiona
di differenze più che doppie.
DETERMINAZIONE DEI TASSI |
Tasso
annuale nominale |
Tasso
annuale corretto per l'inflazione |
Buoni del tesoro
a medio termine |
5,3 % |
2,2 % |
Premio per
l'investimento azionario (grandi aziende) |
7,1 % |
6,8 % |
Totale |
12,4 % |
9,0 % |
Ulteriore premio
per le azioni quotate di piccole società
(maggiorazione
per la piccola dimensione) |
5,2 % |
5,0 % |
Totale |
17,6 %
|
14,0 % |
TIPOLOGIA DI AZIENDA |
D tra i
e i' |
Aziende in
moderato sviluppo |
0,5% - 1% |
Aziende in
grande sviluppo |
2% - 3% |
Aziende
integralmente coperte, a lungo termine, dall'inflazione |
1% - 3% |
Aziende soggette
a notevole incertezza di risultati a medio-lungo termine
|
0,5% - 3% |
A titolo meramente indicativo, e senza la pretesa di affermare
regole dotate di validità generale, la tabella presenta una sintesi
delle possibili dimensioni dei divari percentuali tra i ed i', in
relazione ai diversi fattori sopra menzionati. Così, ad esempio,
dato i = 10%, per aziende in grande sviluppo, in gran parte coperte
a lungo termine dall'inflazione, ma soggette a gravi incertezze di
risultati, i' potrebbe risultare definito nella misura dell'8% (-3%;
-2%; +3%; D totale 0 -2%)."
Come noto, la verifica
reddituale si fonda su tassi reali, che non comprendono la componente
inflattiva. Questa scelta, di primo acchito, parrebbe neutra, ossia
non sembrerebbe incidere sulla valutazione aziendale. Tuttavia,
l'esperienza insegna che, al di là dei possibili sviluppi positivi di
un'impresa che può migliorare i propri margini operativi, la semplice
applicazione dell'inflazione ai ricavi come ai costi, vista
l'auspicabile superiorità dei primi, comporta un incremento dei
risultati economici. Sul tema, ancora una volta, Guatri, op.cit.:
"Il principio
orientativo delle scelte in argomento consiste in questo: i tassi
utilizzati devono essere omogenei e coerenti coi flussi oggetto di
attualizzazione. Se e nella misura in cui tali flussi attesi sono
protetti dall'inflazione, cioè questo non tende a logorarli,
identicamete il tasso deve essere depurato dalla componente
inflazionistica.
Com'è noto, la prima componente del tasso è il rendimento annuo
degli investimenti "senza rischio" (r); e questi - normalmente
rappresentati da titoli di Stato con varie scadenze - sono di regola
pienamente soggetti all'inflazione, in quanto i titoli di Stato non
sono (con rare eccezioni) indicizzati nel capitale.
Non è però detto, sul piano concettuale, che il tasso nominale degli
investimenti "senza rischio" debba sempre e senz'altro essere
depurato dall'inflazione: ciò avrebbe senso se, del pari, la
corrente di reddito generata dall'impresa da valutare si sottraesse
sempre e pienamente all'inflazione. Ma ciò è da vedere e da
dimostrare."
Considerato che l'azienda in esame si trova ad operare in un mercato
in cui le dimensioni della clientela e delle quantità di prodotto
vendibile sono abbastanza stabili, e l'ammontare dei prezzi deriva da
un sistema tariffario che dovrebbe consentire un recupero
dell'inflazione, si ritiene che, rispettando un approccio prudenziale,
nel lungo termine l'azienda non dovrebbe avere problemi a registrare
un tasso di crescita dei risultati economici quanto meno pari
all'inflazione. Ne consegue che la scelta di aver depurato i tassi
della componente inflattiva possa essere confermata dalla presumibile
dinamica reddituale futura dell'azienda.
I tassi di redditività, tuttavia, non sono commisurati all'ammontare
del fatturato (tranne il R.O.S., che però è un indice che non rientra
nella verifica reddituale), bensì alle poste patrimoniali. Perciò
diventa importante comprendere l'evoluzione nei prossimi anni di tali
poste; infatti:
- se gli importi patrimoniali cresceranno nei prossimi anni allo
stesso ritmo dell'inflazione, i tassi determinati in precedenza
rimarranno validi;
- se gli importi patrimoniali cresceranno nei prossimi anni più
velocemente dell'inflazione, tali tassi dovranno essere innalzati;
- se gli importi patrimoniali cresceranno nei prossimi anni meno
rapidamente dell'inflazione, i tassi dovranno essere ridotti.
Fra le tre alternative, considerato che le voci dello stato
patrimoniale sono state appena revisionate a seguito della presente
perizia, è improbabile che in un vicino futuro si registri un aumento
rilevante delle stesse. Si può quindi presumere che, nel prossimo
decennio, esse aumenteranno a un ritmo pari al 40% dell'inflazione:
essendo stato stimato il saggio d'inflazione a medio-lungo termine in
misura pari a 2,50%, si conclude che le poste patrimoniali
aumenteranno dell'1% annuo, mentre il residuo 1,50% andrà a migliorare
i tassi di redditività.
Per determinare il fattore di crescita "g", quindi,
si è operato come segue:
a. si è ipotizzato di poter traguardare un periodo massimo di durata
decennale, durante il quale si confermi il precedente assunto di
crescita dei valori patrimoniali inferiori all'inflazione (dunque
minore della crescita dei valori reddituali);
b. si è pertanto costruita una serie decennale in progressione
geometrica con termine iniziale unitario e ragione 1,015;
c. si è attualizzata la suddetta serie al consueto tasso annuo di
equivalenza finanziaria del 4,00% (6,50%-2,50%);
d. si è calcolata la differenza fra tale importo e il valore attuale,
sempre al 4%, di una rendita unitaria decennale; tale differenza
rappresenta il valore attuale della plusvalenza apportata
complessivamente nei dieci anni dall'inserimento di "g";
e. si è calcolata la rata annua media che consente l'ammortamento
decennale della suddetta differenza al tasso del 4%; tale rata esprime
il valore del fattore "g" = 0,065;
f. in definitiva, per tener conto del fattore di crescita, qualunque
tasso di redditività deve essere rettificato dividendolo per il
coefficiente 1,065.
Il risultato conclusivo di questa modifica è dunque rappresentato
dalla seguente equazione:
r + g = r : 1,065
A seguito della
duplice rettifica apportata ai tassi precedentemente calcolati per
tener conto sia del passaggio dalla scala finanziaria a quella
economica, sia del fattore di crescita "g", si riportano qui di
seguito le tabelle definitive:
TASSI per la REMUNERAZIONE
dei MEZZI PROPRI |
NOMINALE LORDO |
12,75% |
è |
12,80% |
REALE LORDO
|
9,73% |
è |
9,70% |
NOMINALE NETTO |
8,42% |
è |
8,40% |
REALE NETTO |
6,42% |
è |
6,40% |
COSTO MEDIO
PONDERATO delle FONTI FINANZIARIE |
Tipologia di tassi |
Acquedotto |
Fognature |
Laboratorio |
G.I.Integrata |
Calore |
NOMINALI LORDI |
5,40% |
3,93% |
9,71% |
5,28% |
11,97% |
REALI LORDI |
3,24% |
1,96% |
7,08% |
3,13% |
9,04% |
NOMINALI NETTI |
3,56% |
2,60% |
6,41% |
3,49% |
7,90% |
REALI NETTI |
2,14% |
1,30% |
4,67% |
2,07% |
5,97% |
Come si può notare
confrontando queste tabelle con le precedenti, l'effetto composto
delle due rettifiche appena apportate non è molto rilevante, dal
momento che esse sono intervenute in direzioni opposte (la prima ha
innalzato i tassi, la seconda li ha ridotti).
· I tassi reali statici di effettiva utilizzazione per la
verifica reddituale
In conclusione di questo capitolo sulla determinazione dei tassi, è
oportuno sottolineare come si siano riportate tutte le varie tipologie
dei medesimi, ma è evidente che solamente un numero ristretto di
queste sia stato concretamente utilizzato ai fini della presente
valutazione. Qui di seguito, pertanto, si evidenziano specificamente i
tassi che hanno trovato effettiva applicazione.
- Ai fini della verifica reddituale statica
Ai fini della perizia in corso, il W.A.C.C. viene moltiplicato per
l'ammontare delle fonti finanziarie stabili allo scopo di quantificare
il Risultato Caratteristico atteso dall'imprenditore.
Conseguentemente, ci si riferisce a tassi reali lordi, i cui importi
vengono ulteriormente ribaditi:
· Acquedotto : 3,24%
· Fognature : 1,96%
· Laboratorio : 7,08%
· Gestione Idrica Integrata : 3,13%
· Gestione Calore : 9,04%
Sono poi stati
utilizzati i tassi per la remunerazione dei mezzi propri, al fine di
determinare l'Utile Lordo e l'Utile Netto attesi dall'imprenditore.
Tale genere di tassi non varia a seconda del ramo di azienda, essendo
commisurato al solo valore del patrimonio netto e dunque non dovendosi
ponderare col costo dei debiti. I tassi utilizzati sono:
· Tasso reale lordo :
9,70%
· Tasso reale netto : 6,40%.
- Ai fini dell'attualizzazione
dei flussi di cassa
Per quanto concerne il tasso di remunerazione sui mezzi propri, si è
ovviamente assunto il tasso nominale lordo, la cui misura (non
applicandosi in questo caso né la correzione da finanziario a
reddituale, né quella per l'inserimento del fattore di crescita "g")
ammonta a 12,90%.
Nella versione in cui il procedimento, anziché procedere alla
simulazione di gestione finanziaria, si è basato sul W.A.C.C. nominale
lordo, questo è stato ottenuto miscelando il precedente tasso con
quello medio pagato sui mutui bancari (3,80%), determinando in tal
modo un tasso di attualizzazione pari al 7,40%.
Trattasi dei beni demaniali acquedottistici e fognari che il Comune ha
concesso in uso all'azienda per l'esercizio della propria attività
tramite concessione trentennale, equivalente a quella prevista per
l'espletamento dei servizi "Acquedotto" e "Fognature".
Prima della costituzione della s.p.a., detti beni figuravano nel
bilancio dell'allora Azienda Municipalizzata fra le immobilizzazioni
materiali, in quanto beni strumentali in dotazione all'Azienda stessa
per lo svolgimento delle proprie funzioni, e venivano regolarmente
ammortizzati in ragione delle specifiche aliquote di legge, connesse
alle differenti categorie di cespiti. Nel bilancio della neonata
s.p.a. tali beni non potevano più figurare tra le immobilizzazioni
materiali, non essendo di proprietà della società; nell'attivo
patrimoniale fu dunque possibile iscrivere solamente un importo
rappresentativo del valore della concessione conseguita, inserito fra
le immobilizzazioni immateriali. Per la determinazione di tale valore
vennero ripresi i medesimi importi residui che figuravano nel bilancio
della Municipalizzata, proseguendone gli ammortamenti non più in
ragione delle specifiche aliquote di ogni singola categoria di
cespiti, bensì secondo una percentuale annua costante pari a 1/30 per
ogni tipologia di beni, commisurata alla durata trentennale della
concessione. Inoltre, per esplicitare il valore della concessione,
l'azienda ha provveduto a capitalizzare i costi consulenziali,
amministrativi e fiscali sostenuti per il conseguimento dell'atto
concessorio.
Nell'espletamento della stima dei beni in concessione, si è partiti in
primo luogo dall'analisi dettagliata dei beni stessi. Per ogni singolo
cespite si è effettuata una stima del valore a nuovo (ossia come se
fosse stato appena costruito) e una stima che invece tenesse conto
delle effettive condizioni manutentive del bene in oggetto.
La stima dei beni in concessione è uno dei momenti valutativi in cui
più nettamente si distinguono la metodologia patrimoniale "a valori
capitali" e quella "a valori d'uso".
La prima, infatti, considera il valore capitale di tali beni;
viceversa la seconda, partendo dalla considerazione che i cespiti in
esame non sono di proprietà aziendale, cerca di quantificare il
vantaggio derivante alla Società dal loro utilizzo.
2. Stima dei beni in concessione a valor capitale
La stima di ogni singolo cespite avviene secondo il processo qui di
seguito riportato.
Definito VE il valore dei cespiti per lo stato effettivo in cui si
trovano, occorre tenere in debita considerazione il fatto che i beni
in esame non sono di proprietà, ma avranno una durata utile aziendale
che al massimo potrà essere di 30 anni (durata concessoria). Tale
durata concessoria interferisce con la durata tecnico-economica
residua del bene (DR), che non dipende dal processo di ammortamento
del cespite, ma solamente dalla stima tecnica peritale. Per
l'esattezza, si distinguono due casi, qui di seguito esplicitati.
Ø Durata tecnico-economica residua del bene < durata concessoria
(30 anni)
In questo caso, l'azienda ha tutto il tempo per sfruttare interamente
la vita residua del bene, dunque la stima è pari a VE.
Ø Durata tecnico-economica residua del bene > durata concessoria
(30 anni)
In questo caso, l'azienda non ha abbastanza anni a disposizione per
utilizzare interamente la vita residua del bene. Pertanto, la stima
(S) è pari a
VE x 30 : DR
dove, ovviamente, VE è
un importo di natura monetaria mentre DR è un lasso temporale espresso
in anni. Per amor di precisione, considerato che il rapporto
concessorio è iniziato otto mesi prima della data della stima
peritale, la durata residua della concessione è ridotta a 29 anni e 4
mesi, ossia a 88/3 di anni. Di conseguenza, la predetta formula è
stata utilizzata nella seguente versione più precisa:
S = 80 VE : 3 DR
Fino a questo punto,
la metodologia assunta per la valutazione dei beni in concessione non
è sostanzialmente diversa da quella adottata per le immobilizzazioni
materiali. E' dunque necessario chiedersi se sia o no rilevabile un
deprezzamento per il fatto che i beni sotto valutazione sono in
concessione anziché in proprietà; in tale ipotesi, occorrerebbe anche
individuare il criterio più pertinente per calcolare tale
deprezzamento.
La distinzione più immediatamente riscontrabile fra i beni in
proprietà e quelli in concessione consiste nel fatto che, a fronte del
godimento di questi ultimi, l'azienda deve corrispondere un onere
concessorio annuo. Questo fatto, tuttavia, ha rilevanza in chiave
economica e non patrimoniale, e il costo in oggetto (allo stesso modo
di quanto avviene per gli ammortamenti sui cespiti in esame) viene
regolarmente considerato fra le spese di esercizio nel momento in cui
si conduce la verifica reddituale sulla stima patrimoniale.
Tornando al quesito circa l'esistenza o meno di differenze fra i beni
in proprietà e in concessione, si potrebbe osservare che questi
ultimi, facendo parte della rete acquedottistica o di quella fognaria,
sono utilizzabili esclusivamente per tale attività e non possono
essere sfruttati individualmente. Non è perciò ipotizzabile, da parte
di un imprenditore, l'acquisizione di uno qualsiasi di tali beni
separatamente dall'intera attività aziendale. Tale constatazione
potrebbe indurre ad asserire che non esista alcuna differenza pratica
fra la proprietà dei beni in questione e il correlativo diritto d'uso,
se non per quanto riguarda la limitatezza temporale del secondo, di
cui peraltro si è già tenuto conto nelle precedenti valutazioni.
Questa asserzione ha senso fintanto che si consideri l'ipotesi di
vendita a un utilizzatore diretto, ossia a un soggetto imprenditoriale
che intenda promuovere lo sfruttamento economico del cespite: secondo
tale accezione, ogni singolo bene risulta di fatto inalienabile. Le
cose, tuttavia, cambiano radicalmente nell'ipotesi in cui si sposti
l'attenzione a esaminare tutti i gradi di libertà che il diritto di
proprietà, a differenza di quello concessorio, garantisce. In tal
senso, è ipotizzabile la vendita dei cespiti non a utilizzatori
diretti, bensì a investitori, proseguendo regolarmente la propria
attività aziendale. Analogamente, è immaginabile l'utilizzo di beni in
proprietà quali garanzie reali per l'erogazione di finanziamenti,
opportunità che non è invece possibile (o potrebbe risultarlo solo
dopo indicibili complicazioni tecniche, giuridiche, amministrative)
nel caso di beni in concessione.
Da quanto sopra, emerge dunque un'altra sostanziale differenza fra i
cespiti in proprietà e quelli in concessione; una differenza attinente
la flessibilità delle strategie finanziarie aziendali. La proprietà
dei beni consente una maggiore elasticità strategica, dal momento che
detti beni possono essere utilizzati (direttamente o indirettamente)
per supportare finanziariamente l'azienda. In questo senso, il
privilegio che distingue i beni in proprietà da quelli in concessione
è terminologicamente definibile alla stregua di una liquidabilità del
valor capitale, ossia la possibilità di monetizzare un importo
equivalente (tramite alienazione o finanziamento).
Ma quale può essere il premio attribuibile a tale fattore? O, per
meglio inquadrare il problema, quale potrebbe essere il deprezzamento
da apportare ai beni in concessione per compensare la mancanza di un
simile vantaggio?
Nel settore mobiliare, la liquidabilità è un attributo
specifico dei titoli, che incide in misura anche rilevante sulla loro
redditività: in particolare, a parità di altri fattori (rischio,
volatilità, durata dell'investimento, etc.), un titolo scarsamente
liquidabile, rispetto ad uno perfettamente liquido, può essere
costretto ad innalzare il rendimento offerto in una misura pari ad 1/4
o addirittura 1/3 del tasso (ad es. se il titolo liquido offre un
rendimento del 6% annuo, l'altro dovrebbe garantire un tasso compreso
fra 7,5% e 8%).
Il riferimento appena riportato, tuttavia, è limitatamente
significativo per il caso in esame. Infatti, trattandosi di elementi
strutturali di un'azienda anziché di titoli mobiliari, è evidente che
i requisiti prioritari debbano essere altri, per lo più connessi alla
natura strumentale dei cespiti in questione: ne consegue che
l'eventuale deprezzamento debba risultare più contenuto rispetto a
quello testé quantificato.
Per stimare un corretto ammontare di tale deprezzamento si imposta qui
di seguito un ragionamento più analitico. L'impossibilità di vendere
un cespite a un investitore per poi condurlo in locazione, oppure di
concederlo in garanzia per ottenere il rilascio di un prestito, può
provocare una tensione finanziaria aggiuntiva nell'ambito della
situazione aziendale. Per porre rimedio a questa tensione, è
presumibile che l'azienda possa comunque conseguire un finanziamento
(qualora non vi riuscisse perché incapace di fornire risultati
economici soddisfacenti, il problema si traslerebbe dal livello
finanziario a quello operativo, e dunque dipenderebbe da fattori
estranei al presente oggetto), ma a patto che corrisponda un tasso
d'interesse maggiorato rispetto a quello usualmente applicabile.
Indipendentemente dal livello generale dei tassi (e dal saggio che in
effetti incide l'azienda), si è stimato che tale maggiorazione di
tasso, dovuta alla tensione finanziaria aziendale, possa essere
determinata nella misura del 3% annuo. Ne consegue che lo svantaggio
afferente i beni in concessione possa essere commisurato alla suddetta
maggiorazione del tasso d'interesse, da applicarsi sul valor capitale
di detti beni (il cui importo, qualora fossero stati in proprietà,
avrebbe potuto essere monetizzato, evitando all'azienda di andare a
chiedere la concessione di finanziamenti ulteriori privi di garanzie
reali). Se la durata di tale svantaggio potenziale si estende
all'intero periodo della concessione, è tuttavia presumibile che non
tutti i 30 anni siano caratterizzati da condizioni di tensione
finanziaria: ipotizzando che, di norma, una simile situazione si
verifichi solamente una volta ogni tre anni, il suddetto svantaggio
medio annuo può infine essere determinato nella misura di (3%:3) = 1%.
Per ogni singolo cespite, dunque, l'ammontare del deprezzamento in
esame è stimabile tramite il valore attuale di una rendita (negativa)
pluriennale, il cui termine annuo è pari al 1% del valore residuo del
bene alla data della presente perizia; la durata di tale rendita è
uguale a 29 anni e 4 mesi. Il tasso di attualizzazione da applicare a
tale rendita dovrebbe rappresentare un mero aggiornamento finanziario
atto a bilanciare il trascorrere del tempo, e come tale potrebbe
equivalere a un normale tasso passivo di conto corrente
(quantificabile, come meglio illustrato in un capitolo successivo,
nella misura del 6,5%). Senonché, da tale tasso occorre detrarre la
componente inflattiva, visto che il valore residuo del cespite
utilizzato per il calcolo della rendita non include l'inflazione:
ipotizzando un tasso medio d'inflazione durante il trentennio pari al
2,50%, il tasso di attualizzazione adottato risulta il 4%. A seguito
dell'applicazione di questa riduzione del valore, la stima dei beni in
concessione scende di €.nnn.nnn.
Tuttavia, a fini di maggiore prudenzialità, nella stima di tali beni
si è voluto tener conto anche di un'altra potenziale componente
negativa. In altro capitolo della presente relazione si è già
evidenziato come, nell'ambito delle trasformazioni normative in fieri,
le concessioni inerenti i servizi idrici rilasciate senza svolgimento
di gara pubblica potrebbero essere interrotte prima della loro
scadenza contrattuale. Essendo questo il caso in oggetto, vale la pena
sviscerare meglio la questione. Si è infatti rilevato che le
concessioni ricevute dall'ex Municipalizzata furono affidate in modo
perfettamente consono alla normativa vigente; ne consegue che,
qualunque novazione legislativa dovesse andare a ledere gli interessi
consolidati di una delle Parti (oltretutto ormai configurabile come
una società privata), scatteranno meccanismi atti a compensare tale
lesione. In altre parole, qualora si verificasse che:
- l'azienda consegue
un reddito dalla gestione annua della sua attività,
- la stessa società ha diritto a proseguire detta attività fino al
2031,
- in un momento precedente a tale scadenza contrattuale l'affidamento
dovesse interrompersi per fatti non imputabili alla concessionaria,
o la nuova norma
stabilirebbe indennizzi per le società danneggiate, o queste
potrebbero presumibilmente agire in via giudiziaria.
Un simile stato di cose si riferisce ovviamente alla concessione
trentennale del servizio, e non a quella dei beni demaniali. Infatti,
pur essendo evidente che, nell'ipotesi di interruzione anticipata del
servizio, anche la disponibilità dei beni tornerebbe in capo al Comune
(essendo tali beni strumentali al servizio stesso), in relazione a
questo fenomeno l'azienda non avrebbe modo di pretendere alcuna forma
di risarcimento. Tale concessione, infatti, prevede la corresponsione
annua di un onere concessorio, ragion per cui si inquadra nell'ambito
dei contratti sinallagmatici iterativi, ossia a prestazioni
corrispettive ripetute nel tempo: per una simile tipologia
contrattuale, l'interruzione anticipata difficilmente comporta la
possibilità di risarcimenti, considerato che, nel caso in esame,
l'azienda non potrà più disporre dei cespiti, ma non dovrà nemmeno più
versare l'onere annuo.
In questo punto della perizia, tuttavia, l'obiettivo consiste
nell'individuare le differenze esistenti fra l'effettiva disponibilità
dei beni in concessione e l'ipotesi in cui gli stessi fossero di
proprietà aziendale, quantificandone le ricadute in termini
valutativi. Con riferimento a questo confronto, è evidente che
l'eventualità di un'interruzione anticipata della gestione del
servizio idrico palesa una rilevante divergenza economica fra i due
casi. Infatti:
a) nel caso (reale)
dei beni in concessione, questi verrebbero sottratti all'azienda senza
alcuna forma di indennizzo;
b) nel caso (teorico) dei beni in proprietà, l'azienda, qualora non
dovesse risultare la futura affidataria del servizio idrico, potrebbe
comunque locare i beni in esame alla nuova concessionaria, traendone
un ulteriore reddito.
Dal momento che i
cespiti in questione sono stati valutati come se fossero di proprietà
aziendale, è evidente che, nel precedente caso sub a), la società
registrerà minori redditi, in funzione dei mancati canoni figurativi
di locazione a terzi. Traducendo tali minori redditi in termini di
valore patrimoniale, la diminutio applicabile è uguale alla sommatoria
dei valori attuali dei mancati canoni figurativi, ponderati per la
probabilità che si verifichi realmente l'interruzione della
concessione. Considerata l'attuale evoluzione della situazione
normativa, il gran numero di disegni di legge esistenti e la lunghezza
dei tempi che tali innovazioni richiedono, si è configurato il
seguente modello probabilistico:
- fino all'anno 2009:
probabilità zero;
- dal 2010 in avanti: probabilità crescenti gradualmente dal 5% al
15%, in ragione dell'1% annuo.
L'applicazione di
questa seconda riduzione (calcolata per i 29 anni e 4 mesi residui
della concessione) comporta un ulteriore calo del valore patrimoniale
dei cespiti in concessione.
A conclusione del procedimento appena descritto, la decurtazione per
il fatto che i cespiti in esame non sono di proprietà ammonta a circa
1/3 della valutazione precedentemente espressa.
3. Stima dei beni in concessione a valor d'uso
Questa seconda metodologia prende più direttamente in considerazione
il fatto che i beni in esame non sono di proprietà, ma risultano in
capo all'azienda solamente in forza del vincolo concessorio. Potrebbe
quindi non essere corretto valutare tali beni per il loro valor
capitale, dal momento che questo afferisce evidentemente la proprietà.
Per l'impresa concessionaria, invece, il valore della concessione è
pari alla stima di un ipotetico contratto d'affitto trentennale sulla
globalità dei beni in oggetto, dal quale occorre detrarre il canone
concessorio annuo facente carico all'azienda.
Come quantificare il canone annuo di mercato stimabile per l'ipotetico
affitto dei beni in concessione?
Per ottenere una misura appropriata, per ogni singolo cespite si
redige uno specifico piano di ammortamento, avente:
- valore attuale =
valore residuo del cespite
- durata dell'ammortamento = durata tecnico-economica residua del bene
- tasso di interesse = 5,00%.
Il piano
d'ammortamento è stato strutturato a rate costanti. Ne consegue che il
canone annuo dell'affitto figurativo, stimato tramite tale rata, non
risulta assoggettato ad alcuna forma di aggiornamento, contrariamente
a quanto di solito accade per qualsiasi altro affitto.
La determinazione del tasso di ammortamento richiede una spiegazione
più ampia. Il tasso 5,00% è stato determinato partendo dal tasso
passivo corrente (6,5%) depurato dal saggio d'inflazione a lungo
termine (2,5%) per ottenerne la versione reale e infine incrementato
di un punto percentuale, ritenendo improbabile che il teorico
proprietario dei cespiti si accontenterebbe del mero recupero di un
tasso d'interesse passivo.
Sommando gli importi annui calcolati per ogni singolo cespite si
ottiene il canone dell'affitto figurativo che dovrebbe essere
corrisposto per l'utilizzo della totalità dei beni concessi. A fronte
di tale canone ipotetico si pone l'effettivo onere concessorio annuo
(che, per semplificazione e omogeneità col predetto canone figurativo,
viene mantenuto costante nel tempo), e la differenza fra i due (se
positiva) determina il vantaggio economico annuo. L'importo
attribuibile alla concessione trentennale è dunque pari alla
sommatoria attualizzata di tali vantaggi economici annui. Il tasso di
attualizzazione rappresenta un mero aggiornamento finanziario atto a
bilanciare il trascorrere del tempo (tasso passivo corrente del 6,5%),
che, al netto della componente inflattiva, viene stabilito al 4%.
Nell'elaborazione del procedimento appena descritto è stato necessario
procedere a una valutazione distinta dei due differenti rami aziendali
interessati ("Acquedotto" e "Fognature") in
considerazione del fatto che, come illustrato nelle prossime righe, le
stime saranno sottoposte a verifica reddituale, la quale risulta
maggiormente puntuale e attendibile qualora venga espletata per
singola attività. La ripartizione dell'onere concessorio annuo è
avvenuta in misura direttamente proporzionale al valore residuo dei
cespiti componenti, rispettivamente, la rete acquedottistica e quella
fognaria; tale proporzione ha comportato una ripartizione percentuale
dell'onere per il 56% a carico dell'"Acquedotto" e per il
restante 44% a carico delle "Fognature"
Come osservato, la stima del valore della concessione trentennale
(computata per gli 88/90 residui) quantifica il vantaggio potenziale
di cui l'azienda usufruisce avendo acquisito in concessione un
organico complesso di beni a un canone annuo che si può considerare
inferiore rispetto a un ipotetico affitto figurativo di mercato.
Tuttavia, trattandosi di beni strumentali, detto vantaggio è realmente
tale solamente qualora, tramite l'utilizzazione di questi beni,
l'azienda sia in grado di produrre un'adeguata redditività.
Conseguentemente, la valutazione di cui sopra non ha valore
definitivo, ma solamente teorico e viene sottoposta, come si vedrà in
seguito, alla verifica di natura reddituale, che potrà limitare
l'effettiva iscrizione nell'attivo patrimoniale di tale voce. Nello
specifico, tale verifica evidenzierà la percentuale massima entro la
quale il valore stimato della concessione, trovando riscontro in un
correlativo livello di reddito, può essere confermato.
LA
VERIFICA REDDITUALE
1. Aspetti
generali della verifica reddituale
Dopo aver effettuato la stima patrimoniale, è necessario verificare se
gli importi che derivano da detta stima trovino o meno rispondenza nei
risultati economici dell'azienda. A tal fine, si procede alla
cosiddetta verifica reddituale, stimando in primo luogo i ricavi e i
costi. Questa stima deve avvenire in chiave prospettica, ragion per
cui:
- si è effettuata una disamina dei risultati emersi dagli ultimi
bilanci aziendali (precedenti alla costituzione della nuova s.p.a.);
- si è esaminato il
budget triennale elaborato dai responsabili aziendali;
- si sono esaminati i consuntivi alla data del 30 aprile;
- si sono effettuate alcune prospezioni sulle possibili tendenze dei
prossimi anni.
E' importante
evidenziare il diverso approccio adottato per la presente stima
reddituale rispetto a quella che costituirà la base per la successiva
metodologia dei flussi finanziari. In questo caso, infatti, ci si è
limitati a recepire i valori presenti nella contabilità degli ultimi
anni e nei budget del prossimo triennio, esaminandone la congruità ed
apportando alcune modifiche. Viceversa, allorché si stimeranno i costi
e i ricavi per la simulazione economico-finanziaria che porterà alla
determinazione dei flussi di cassa, la stima si svincolerà
maggiormente dal sistema di consuntivazione e preventivazione
contabile aziendale. L'analisi peritale sezionerà ogni singola posta
contabile, individuando le ragioni, i fattori produttivi, le
interazioni operative e le relazioni parametriche che sono alla base
dell'insorgenza e della quantificazione di detta posta, fissandone
conseguentemente la stima.
Al termine di questa analisi, per ogni specifica voce di ricavo e di
costo si sono determinate delle previsioni riferite a tre anni (il
2002, il 2003 e un esercizio "a regime", che configuri la situazione
di un'azienda oramai definitivamente affrancata dall'originaria
matrice pubblica, operante sul libero mercato). Gli importi sono stati
inseriti a valori costanti, senza includere cioè alcuna revisione
connessa a fenomeni inflattivi o tariffari: le uniche variazioni
computate, pertanto, sono di natura quantitativa e non meramente
monetaria; in questo modo i tre anni evidenziati sono perfettamente
comparabili fra loro,
2. La stima dei ricavi annui
Si evidenziano qui di seguito solamente le tipologie di poste che
presentano problematiche specifiche.
· Ricavi di vendita
Si ritiene che possano restare costanti nel tempo.
· Variazioni nelle rimanenze
Essendo in presenza di un'azienda erogatrice di servizi, che non
svolge un ciclo produttivo caratterizzato dalla presenza di scorte,
trattasi di una posta non rilevante ai fini della stima in corso.
· Altri ricavi
Con riferimento ad Acquedotto e Fognature, questa posta
include un coacervo di singole voci, le più importanti delle quali
sono connesse all'effettuazione di lavori straordinari per conto del
Comune e, in minor misura, di privati. Azzardare delle previsioni
circa la replicabilità di queste tipologie di interventi nei prossimi
anni è oggettivamente complesso: in merito, si sono recepite le
indicazioni provenienti dai responsabili aziendali.
Leggermente diverso è invece il ragionamento inerente la stima dei
lavori connessi ai danni alluvionali. E' presumibile che tali lavori
vadano progressivamente a scemare, considerato che, a seguito degli
interventi effettuati, le probabilità di ulteriori danni dovuti agli
eventi alluvionali sono oggi potenzialmente ridotte. A parte questa
considerazione, non è ovviamente possibile ipotizzare quale potrà
risultare, in futuro, la rilevanza degli eventi estremi e
quantificarne i danni derivanti. Pertanto, la stima peritale ha
provveduto, sia per il ramo "Acquedotto" che per le "Fognature".
a calcolare la media decennale degli interventi eseguiti per danni
alluvionali, riproducendo tale situazione anche in futuro, previa una
riduzione del 30%.
Nell'ambito degli "altri ricavi" sono state contabilizzate anche le
sopravvenienze attive, che sono state trattate seguendo una specifica
metodologia. Infatti, allorché si procede a una verifica reddituale, è
basilare, per prima cosa, che i conti economici considerati siano
tutti omogenei e confrontabili fra loro: conseguentemente, si procede
alla cosiddetta "normalizzazione" dei risultati, cercando di eliminare
tutte le anomalie che possono differenziare l'andamento di un
esercizio da quello degli altri. A tale scopo, si sono analizzati a
ritroso i bilanci aziendali fino al 1991, evidenziando due differenti
tipologie di sopravvenienze attive:
- voci di natura episodica (sopravvenienze attive in senso stretto,
plusvalenze, etc.) il cui inserimento in bilancio tende ad alterare i
risultati rispetto agli esercizi in cui non si verificano;
- contributi che sono stati erogati, nel corso dell'ultimo decennio,
da parte di Regione, Provincia o altri datori pubblici.
Entrambe queste categorie di voci sono state "spalmate" nel corso
degli anni, allo scopo di determinarne un valor medio. Quindi, se nel
2002/2003 è fondatamente previsto che tali poste sussistano, esse sono
state conteggiate limitatamente al suddetto valor medio; altrimenti,
non sono state computate. Nel cosiddetto anno "a regime", infine, si
considerano interamente azzerate.
3. La stima dei costi annui
Come nel caso dei ricavi, si evidenziano qui di seguito solamente le
tipologie di poste che presentano problematiche specifiche.
· Costi per l'utilizzo di beni di terzi
Una fra le poste di dimensioni prioritarie è rappresentata dal canone
annuo per la concessione dei beni demaniali (acquedottistici e
fognari). Quest'importo è stato trattato in maniera diversa, a seconda
delle varie modalità valutative adottate. Nella stima patrimoniale a
valori nominali viene inserito fra i costi. Al contrario, nella stima
a valori rettificati, l'onere concessorio annuo, attualizzato e
sommato, entra direttamente nel computo del valore della concessione,
e dunque non è considerato come una posta del conto economico, onde
evitare una palese duplicazione.
· Variazioni nelle rimanenze
Come già precisato con riferimento ai ricavi, questa posta non è
significativa ai fini della verifica reddituale.
· Accantonamenti
Esistono varie motivazioni alla radice dei possibili accantonamenti.
Innanzitutto si prescinde dagli accantonamenti annui al fondo TFR, in
quanto già inclusi negli oneri per il personale dipendente. Gli
accantonamenti agli altri fondi rischi non sembrano particolarmente
significativi, dopo che la stima peritale ha provveduto ad azzerare i
fondi più consistenti, essendosi riscontrate condizioni oggettive di
annullamento del rischio. Anche per quanto concerne il fondo rischi
svalutazione crediti, la stima peritale ha individuato un ammontare
nettamente più elevato rispetto alla quantificazione del rischio
effettivo: conseguentemente, non si ritiene di dover adeguare tale
posta con ulteriori accantonamenti.
L'unico fondo che potrebbe necessitare di un continuo accantonamento è
quello previsto per calcolare i rischi di obsolescenza delle rimanenze
di magazzino. In merito, occorre precisare quanto segue:
- la stima peritale ha
inglobato tale fondo, effettuando una valutazione al netto del
decremento fisico e funzionale dei beni;
- essendo il magazzino costituito prevalentemente da materiali per le
manutenzioni delle reti, i rischi di obsolescenza sono relativamente
contenuti, e configurabili solamente nell'ipotesi di una lunga
permanenza dei beni in azienda prima della relativa posa in opera;
- viceversa, detto magazzino presenta una buona velocità di rotazione,
e una verifica compiuta alla fine di luglio ha constatato che buona
parte dei beni in oggetto erano già stati utilizzati;
- negli anni non si sono registrate eccessive variazioni
nell'ammontare complessivo delle rimanenze di magazzino.
Stanti queste
caratteristiche, la creazione di un fondo potrebbe risultare
pleonastica. Si tratta piuttosto di ipotizzare quale potrebbe essere,
a fine anno, il valore delle rimanenze; ma considerato che, come già
sottolineato altrove, trattasi di una società di servizi che non
prevede l'accumulo di scorte, la stima delle variazioni annue nelle
rimanenze, espletata a fini reddituali, può essere considerata
trascurabile.
Dopo aver sgombrato il campo da tutte le forme tradizionali di
accantonamenti, occorre invece soffermarsi su una peculiarità che
caratterizza la situazione attuale e futura dell'azienda. Ci si
riferisce in particolare al regime di proprietà di un grande impianto,
realizzato congiuntamente a un'altra società. Come evidenziato in sede
di valutazione specifica di tale immobilizzazione, la parte costruita
dall'azienda in esame è notevolmente più costosa rispetto all'altra.
Ad oggi, ognuna delle due aziende risulta proprietaria della parte di
pertinenza, ma, trascorsi venti anni dall'entrata in funzione
dell'opera, l'intero impianto diventerà di proprietà comune fra le due
aziende, in regime di perfetta parità (50%-50%) e senza che sia
previsto alcun conguaglio in denaro.
E' evidente che una tale situazione genera una palese disparità, che
incide negativamente sul patrimonio aziendale. La metodologia per
riprodurre un simile processo dispone di varie opzioni di
rappresentazione.
Una prima ipotesi andrebbe ad incidere sull'ammortamento della sezione
dell'impianto già di proprietà dell'azienda che, anziché essere
ripartito in un arco di 40 anni, verrebbe spezzato in due parti:
- per metà del valore
(rimanendo anche in futuro la proprietà in capo all'azienda),
resterebbe l'ammortamento quarantennale;
- per l'altra metà (che dovrebbe passare in capo all'altra società),
l'ammortamento dovrebbe accorciarsi a soli 20 anni.
In sintesi,
l'immobilizzazione in oggetto verrebbe ammortizzata secondo l'aliquota
annua del 3,75% (intermedia fra 2,50% e 5%).
Allo scadere del ventennio, poi, emergerebbe una sopravvenienza attiva
da inserire in bilancio, dovuta all'acquisizione gratuita del 50%
dell'altra parte dell'impianto.
Una simile soluzione, sebbene corretta in termini meramente contabili,
presenterebbe due gravi difetti. In primis, altererebbe il corretto
processo di ammortamento tecnico dell'impianto, certificato nei
suddetti 40 anni sia da apposite perizie tecniche, sia dagli impegni
assunti dall'impresa costruttrice. Secondariamente, non sarebbe utile
ai fini della valutazione patrimoniale, a meno che non si volesse
attualizzare il valore futuro del 50% della tratta attualmente in
proprietà all'altra società per inserirlo nel patrimonio dell'azienda
in esame, procedura per altro non corretta, visto che anticiperebbe ad
oggi il momento traslativo del diritto di proprietà.
Si è dunque optato per una seconda soluzione, qui di seguito
dettagliatamente descritta. Stimato il valore della parte di impianto
di proprietà dell'altra società e applicando un ammortamento lineare,
si determina il valore residuo allo scadere dei primi 20 anni di
funzionamento, dunque il valore della quota che passerà in proprietà
all'azienda in esame (50% di tale importo residuo).
Il medesimo procedimento può essere espletato relativamente alla parte
di impianto attualmente di proprietà dell'azienda in esame. Poiché fra
20 anni avverrà lo scambio delle comproprietà, l'azienda riceverà il
50% della parte dell'altra società, mentre dovrà cedere il 50% della
propria parte: dalla differenza fra i due valori si evince che
l'operazione configurerà quindi, a carico dell'azienda in esame, una
sopravvenienza passiva di importo predeterminato.
E' pertanto necessario inserire nella stima peritale tale
sopravvenienza.
Un primo metodo potrebbe consistere nell'attualizzarne il valore,
inserendolo fra le passività patrimoniali, alla sorta di una stregua
di debito nei confronti dell'altra società. Anche in questo caso,
però, una scelta siffatta equivarrebbe ad anticipare effetti reali che
si verificheranno solamente fra venti anni.
Si opta perciò per una seconda soluzione, perfettamente compatibile
col sistema contabile. Si inserisce nelle passività un fondo di
accantonamento ad hoc, alimentato da un accantonamento annuo pari a
1/20 della suddetta sopravvenienza.
· Ammortamenti
A differenza di quanto avvenuto per tutte le altre poste, la stima
degli ammortamenti è stata quantificata prescindendo dagli importi
contabilizzati dall'azienda. In effetti, questa categoria di importi
può essere calcolata solamente con riferimento alla valutazione delle
immobilizzazioni, che costituisce un elemento essenziale dell'attività
peritale. Se gli importi capitali differiscono, le aliquote
considerate ai fini del computo, invece, sono le stesse assunte
dall'azienda nel proprio sistema amministrativo.
Il calcolo degli ammortamenti costituisce la chiave di volta del
modello di verifica reddituale. Questa tipologia di costi, infatti, è
direttamente proporzionale al valore delle immobilizzazioni: ne
consegue che la stima dei capitali fissi viene stabilita in funzione
dei livelli di ammortamento sostenibili in presenza degli importi di
reddito prefigurati. Non avrebbe dunque senso specificare in questo
punto l'ammontare degli ammortamenti, che rappresentano invece una
voce correlata all'incognita prioritaria del processo valutativo, vale
a dire la stima delle immobilizzazioni.
· Proventi/Oneri finanziari
La stima della gestione finanziaria si avvale sia dei risultati
contabili consolidati degli ultimi anni, sia del computo esatto degli
interessi passivi sui mutui, che rappresentano la stragrande
maggioranza degli oneri finanziari. Al riguardo, è importante
sottolineare il fatto che, proseguendo nei rispettivi piani di
ammortamento, i singoli mutui vanno gradualmente ad estinguersi, e in
modo particolare la quota interessi si riduce piuttosto rapidamente: è
quindi intuibile che nei prossimi anni l'ammontare di questa categoria
di costi sarà sempre più limitato. Quale logica conseguenza, nella
simulazione dell'anno "a regime" si è deciso di azzerare l'importo
degli interessi di mutuo.
4. Lo schema del conto economico e la determinazione dei
risultati
Per espletare la verifica reddituale si è impostato uno schema
generale di conto economico atto a consentire, a differenti livelli
successivi, altrettante opportunità di controllo. Detto schema parte
dagli importi dei ricavi e dei costi operativi precedentemente
evidenziati, per integrarli con altri elementi positivi e negativi
connessi alla gestione aziendale.
· Schema
del conto economico scalare
+ Ricavi totali
- Costi operativi
______________________
= Margine Contributivo
- Ammortamenti, accantonamenti, IRAP
______________________
= Risultato Caratteristico
+/- Proventi/Oneri finanziari
+ Recupero inflattivo su interessi passivi
- Perdita inflattiva su interessi attivi
______________________
= Utile Lordo
- IRPEG
______________________
= Utile Netto
+ Interessi passivi
- Risparmio fiscale su interessi passivi
______________________
= Reddito Normalizzato (N.O.P.A.T.)
· Il
Margine Contributivo
Sottraendo dai ricavi i costi operativi, si determina l'ammontare del
Margine Contributivo, che costituisce un parametro particolarmente
significativo nei confronti interaziendali: tale importo, infatti,
prescinde dalla quantificazione di quelle poste (come ammortamenti e
accantonamenti) che spesso dipendono più da politiche di bilancio che
da effettivi computi tecnici.
· Il Risultato Caratteristico
Detraendo dal Margine Contribuivo ammortamenti e
accantonamenti, si ottiene il Risultato Caratteristico, che
riproduce l'andamento economico di un'impresa al lordo della gestione
finanziaria e fiscale. A rigore, quindi, tale parametro dovrebbe
includere anche l'IRAP; considerato però che tale imposta (a
differenza dell'IRPEG e della vecchia ILOR) non si commisura
unicamente sul reddito aziendale, ma comprende nell'imponibile anche
alcuni costi aziendali (principalmente gli oneri per il personale e
gli interessi passivi), essa risulta totalmente svincolata dalla
gestione finanziaria e sembra maggiormente ascrivibile alla gestione
operativa che a quella fiscale. Conseguentemente, il calcolo del
Risultato Caratteristico viene effettuato al netto dell'IRAP.
Non solo, ma, considerato che l'IRAP non è fiscalmente deducibile,
occorre tener conto anche della sua incidenza nel successivo calcolo
dell'IRPEG. La soluzione più immediata sarebbe quella di inserire
l'ammontare dell'IRAP nell'imponibile su cui si applica l'aliquota
IRPEG: si tratterebbe, fra l'altro, di una fedele riproduzione della
realtà. Considerato tuttavia che si intende procedere ad una verifica
reddituale su vari livelli, una simile soluzione riverserebbe quest'onere
aggiuntivo solamente sull'ultimo stadio, quello dell'Utile Netto,
rendendo disomogeneo il confronto verticale. Si è dunque deciso di
considerare l'indeducibilità dell'IRAP già in fase di Risultato
Caratteristico, moltiplicando l'importo di tale imposta per 1,34
(ossia incrementandolo della presunta aliquota IRPEG): in questo modo,
l'effetto negativo è riscontrabile a tutti i livelli, e non crea
disparità di confronto.
Fatta eccezione per l'ammontare dell'IRAP (che peraltro rappresenta
un'imposta diretta anomala), il parametro definito come Risultato
Caratteristico è esattamente uguale a quello che nella letteratura
tecnica aziendale di lingua inglese viene chiamato EBITDA (Earnings
Before Interests, Taxes, Depreciation and Amortments).
· L'Utile Lordo
Al Risultato Caratteristico si assommano gli effetti della gestione
finanziaria per ottenere l'Utile Lordo. Considerato che la verifica
reddituale viene svolta su base statica, ossia senza prevedere
variazioni di prezzi e costi unitari, i tassi di interesse applicati
alle voci della stima patrimoniale sono di natura reale (al netto del
saggio di inflazione). Per garantire l'effettiva confrontabilità fra
tali stime e i risultati economici, è dunque necessario che pure
questi siano depurati della componente inflazionistica: l'ammontare
degli interessi attivi e passivi viene dunque diminuito di tale
percentuale. D'altronde, se A presta a B 1.000 Euro al tasso
d'interesse del 10% e l'inflazione corrente è del 3%, dopo un anno B
restituirà a A 1.100 Euro, ma il potere d'acquisto di tale somma,
confrontata coi 1.000 Euro originali, sarà di €.( 1.100 : 1.03 ) =
€.1.068. A fronte di 100 Euro di interessi nominali, dunque, gli
interessi reali equivalgono solamente a 68 Euro: gli altri 32 Euro
rappresentano pertanto una perdita di potere d'acquisto per A (e un
corrispondente recupero per B).
In inglese, l'Utile Lordo viene definito EBIT (Earnings
Before Interests and Taxes).
· L'Utile
Netto
Detraendo dall'Utile Lordo la fiscalità (nella fattispecie la
sola IRPEG), si perviene all'Utile Netto, che rappresenta
l'effettivo guadagno dell'impresa, che potra essere distribuito sotto
forma di dividendi, oppure accumulato per accrescere il valore
aziendale. Nell'intera perizia, inclusa la sezione dedicata al DCF,
l'aliquota dell'IRPEG è stata considerata pari al 34%, conformemente a
quelli che dovrebbero essere i nuovi dettami fiscali per gli anni a
venire.
· Il Reddito Normalizzato (N.O.P.A.T. - Net Operating
Profit After Taxes)
Un'ultima elaborazione viene effettuata per rifarsi al concetto
aziendale del cosiddetto E.V.A. (Economic Value Added), procedura che
intende calcolare l'effettiva quantità di ricchezza creata (o
distrutta) dall'esercizio in esame. All'uopo, si sommano all'Utile
Netto gli interessi passivi, al netto non solo della componente
inflattiva, ma anche di quella fiscale, pervenendo in questo modo al
calcolo del Reddito Normalizzato (in inglese, N.O.P.A.T., ossia Net
Operating Profit After Taxes).
5. La strutturazione della verifica reddituale
Per espletare la verifica reddituale della stima patrimoniale, si
individuano cinque successivi livelli di confronto, riportati nelle
seguenti tabelle. Nella colonna di sinistra sono indicati i parametri
risultanti dallo sviluppo del conto economico scalare, mentre in
quella di destra sono specificati i correlativi elementi di confronto,
calcolati applicando alle stime patrimoniali (rispettivamente,
attività e netto) indici e coefficienti rappresentativi del mercato.
Nei casi in cui i parametri derivanti dalla verifica economica sono
maggiori rispetto agli elementi di confronto, la stima patrimoniale è
suffragata da un adeguato riscontro reddituale, e talvolta si potrebbe
addirittura individuare l'esigenza di incrementarla, aggiungendovi un
plusvalore (goodwill). Viceversa, qualora gli importi della colonna
sinistra non riescano a raggiungere quelli della colonna destra,
significa che la stima patrimoniale non è supportata da una
sufficiente redditività, ragion per cui dovrebbe essere ridotta
sottraendovi un minusvalore (badwill).
L'analisi reddituale aveva individuato una simulazione di conto
economico riferita a tre differenti esercizi (2002, 2003 e "a
regime"); per consentire la presente verifica, si è effettuata la
media aritmetica dei tre valori.
Ai fini di una maggiore completezza, oltre alla verifica reddituale
vera e propria (i cui risultati sono riportati nella prima tabella, ed
hanno quali elementi di confronto livelli di redditività proporzionali
al dimensionamento delle principali poste patrimoniali), si è
espletata anche una verifica indiretta, i cui termini di paragone sono
rappresentati dalla rilevazione dei medesimi parametri presso aziende
del medesimo settore, riscontrati tramite un'attività di benchmarking.
Uno schema di applicazione di tale comparazione è riprodotto nella
seconda tabella.
VERIFICA
REDDITUALE |
parametro |
valore atteso |
RISULTATO
CARATTERISTICO |
Fonti finanziarie
stabili x W.A.C.C. |
UTILE LORDO |
Patrimonio Netto x
rendimento % lordo atteso |
UTILE NETTO
|
Patrimonio Netto x
rendimento % netto atteso |
COMPARAZIONE INTRASETTORIALE |
parametro |
valore
atteso |
MARGINE
CONTRIBUTIVO |
Attivo
Patrimoniale x indice medio di mercato |
RISULTATO
CARATTERISTICO |
Attivo
Patrimoniale x R.O.I. di mercato |
UTILE NETTO
|
Patrimonio Netto x
R.O.E. di mercato |
REDDITO
NORMALIZZATO |
Capitale Investito
x W.A.C.C. |
Al fine di modificare l'importo della stima patrimoniale tramite
l'applicazione di plus/minusvalenze si utilizza esclusivamente la
verifica reddituale, rimandando la comparazione intrasettoriale ad un
capitolo successivo.
6. Risultanze della verifica reddituale
· Verifica reddituale sulla stima patrimoniale a valori
nominali
La modifica della stima patrimoniale tramite l'introduzione di
minusvalenze deve in primo luogo considerare la differente natura
delle varie tipologie di minusreddito. Dal momento che l'importo
soggetto a rettifica è quello del patrimonio netto, che rappresenta il
valore dell'azienda per il soggetto proprietario, è evidente che tale
voce può essere direttamente modificata solamente tramite l'insorgenza
di plus/minusredditi connessi all'Utile Netto: infatti, è proprio
l'Utile Netto che accresce automaticamente la "ricchezza"
dell'imprenditore, o tramite distribuzione di reddito, o tramite
creazione di riserve che consolidano il valore aziendale. A seguito di
tale considerazione, le altre due tipologie di plus/minusreddito
devono essere riportate necessariamente alla terza.
Il passaggio dal risultato caratteristico all'utile netto comporta due
successivi passaggi: l'inserimento della gestione finanziaria e di
quella fiscale (con esclusione dell'IRAP che, come precisato in
precedenza, è stata inserita nella gestione caratteristica). Per
considerare la gestione finanziaria, occorre rilevare l'incidenza del
suo risultato rispetto al risultato caratteristico. L'incidenza della
gestione fiscale è ovviamente rappresentata dall'IRPEG, e dunque
assomma al 34%. Conseguentemente, è possibile scrivere le seguenti
equazioni:
- da plus/minusreddito
su Risultato Caratteristico a plus/minusreddito su Utile Netto:
p./m.(UN) = p./m.(RC) x ( 1 - RF : RC ) x ( 1 - 34% )
- da plus/minusreddito
su Utile Lordo a plus/minusreddito su Utile Netto:
p./m.(UN) = p./m.(UL) x ( 1 - 34% )
dove
p./m.(UN) è il plus/minusreddito rapportato all'Utile Netto
p./m.(RC) è il plus/minusreddito sul Risultato Caratteristico
p./m.(UL) è il plus/minusreddito sull'Utile Lordo
RF è il Risultato della Gestione Finanziaria
RC è il Risultato Caratteristico
· Verifica reddituale sulla stima patrimoniale a valori
rettificati
E' stata effettuata una verifica reddituale per ognuno dei tre rami
d'azienda "Acquedotto", "Fognature" e "Laboratorio". Prima di
descrivere il procedimento adottato, è opportuno evidenziare la
principale differenza metodologica fra la verifica della stima a
valori nominali e quella della stima a valori rettificati.
Nella stima patrimoniale a valori nominali l'ammontare del patrimonio
netto è fisso, visto che la quantificazione dei beni in concessione
demaniale, desunta dal loro valor capitale, è indipendente
dall'esistenza di plus/minusredditi. Nella stima patrimoniale a valori
rettificati, invece, l'importo di tali cespiti, essendo determinato in
ragione del valor d'uso, è strettamente connesso ai livelli di
redditività aziendale. Nello specifico, si rammenta che i massimi
importi attribuibili alla concessione demaniale mediante il valor
d'uso sono confermabili solamente nel caso in cui la verifica
reddituale individuasse almeno un parametro dei tre sopra evidenziati
(Risultato Caratteristico, Utile Lordo, Utile Netto) rispondente alle
aspettative: in questo caso, infatti, si rileverebbero minusvalenze
relativamente ridotte. Al contrario, nell'ipotesi in cui tutti e tre i
parametri fossero nettamente inferiori ai corrispondenti valori
attesi, non sarebbe corretto confermare una stima della concessione
elevata, per poi modificare, a seguito della scarsa redditività, il
valore aziendale nel suo complesso, in misura indifferenziata. In
questo secondo caso, quindi, si è deciso di correggere a monte il
valor d'uso della concessione, riducendolo percentualmente fino al
livello in cui almeno uno dei tre parametri diventi conforme.
7. La modifica del patrimonio netto
· Trasformazione dei plus/minusredditi in plus/minusvalenze:
il lasso temporale
La verifica reddituale ha condotto alla determinazione di plus/minusredditi,
che sono stati omogeneizzati rapportandoli al parametro dell'Utile
Netto. Il maggiore o minore reddito netto annuo equivale a un
aumento/diminuzione del patrimonio netto. Occorre stabilire per quanti
esercizi possano protrarsi le condizioni economiche e aziendali che
hanno determinato i risultati presi in considerazione.
Un primo approccio consisterebbe nella tecnica della "capitalizzazione
illimitata": l'importo del plus/minusreddito viene diviso per il tasso
di attualizzazione (di cui si tratterà fra poco) come se detta
differenza reddituale (positiva o negativa che sia) si ripetesse in
perpetuo. Una simile soluzione, però, appare troppo semplicistica,
dettata presumibilmente da motivazioni d'ordine aritmetico più che di
natura valutativa. In merito è opportuno precisare quanto segue:
- il perito deve
sforzarsi di individuare quali sono le principali motivazioni che
hanno condotto all'insorgenza di disparità reddituali, e stimare se,
in quale misura e per quanto tempo, in futuro, dette motivazioni
potranno perdurare;
- a fini prudenziali e a parità di altre condizioni oggettive, è buona
norma attribuire periodi di replicabilità più prolungati a situazioni
di minusreddito piuttosto che a quelle di plusreddito.
Su questo tema si
riportano alcuni passi tratti da Guatri, Trattato sulla
Valutazione delle Aziende, EGEA, 1998:
"Nell'impostazione
originale del metodo misto patrimoniale-reddituale con stima
autonoma del Goodwill la definizione di n (numero degli anni di
considerazione del sovrareddito) è la base stessa del procedimento,
che si fonda su di una limitata durata del profitto, in quanto si
suppone che le condizioni generatrici di reddito oltre la norma non
possono durare a lungo e siano quindi destinate ad estinguersi o ad
attenuarsi nel corso di alcuni anni. E' evidente la natura
prudenziale di tale atteggiamento, che dovrebbe portare ad una
valutazione per difetto del Goodwill. Perciò, secondo la prassi un
tempo più diffusa, n poteva variare da 3 a 5 anni.
Nel tempo l'evoluzione concettuale che il metodo ha seguito, con
l'abbandono della necessaria prevalenza della componente
patrimoniale e la crescente rilevanza attribuita agli aspetti
reddituali, ha condotto ad una sostanziale revisione di tali
indicazioni. Per aziende dotate di elevata e stabile redditività,
per le quali ragionevoli previsioni e attese possono spingersi in là
nel tempo, i valori di n possono giungere a 10 anni."
"Nel calcolo del badwill la pratica assumeva un tempo
durate comprese tra i 3 e 5 anni, come le antiche regole usavano per
il goodwill. Tale riferimento era spiegato con due ordini
di considerazioni.
In primo luogo, con limitata ampiezza del possibile orizzonte
economico, cioè del tempo entro il quale sarebbe stato possibile
condurre previsioni in ordine ai risultati della gestione. Su
periodi più lunghi le previsioni sarebbero diventate incerte; e tra
l'altro prive dei riferimenti ai Piani aziendali formalizzati (il
cui limite, di regola, non supera i 5 anni).
In secondo luogo, per l'ulteriore motivo che la continuazione delle
perdite oltre un certo numero di anni non sarebbe stata
sopportabile. Provvedimenti radicali si sarebbero imposti per
frenare l'emorragia, comprese la cessazione dell'attività e la
liquidazione.
Le anzidette spiegazioni non sono affatto convincenti e vengono oggi
escluse. Non è certamente convincente la seconda, per la buona
ragione che, in ogni caso, l'ipotesi liquidatoria genera comunque
una liquidazione del badwill; e dunque operare anche su n
sarebbe fonte solo di confusione concettuale.
Ma non lo è neppure la prima, poichè l'incertezza crescente delle
perdite future non è motivo sufficiente per limitare la durata di n:
siamo qui in presenza di un caso classico in cui le ragioni di
prudenza giocano alla rovescia. In sostanza, la allo scadere dei
primi 20 anni di funzionamento, crescente incertezza dei risultati
sarebbe motivo per migliorare il valore attribuito all'azienda. In
realtà non vi è concettualmente alcuna ragione per limitare il
valore di n. E' anzi vero il contrario: cioè che la stima delle
perdite dev'essere spinta al massimo, fin tanto che vi siano fondate
ragioni per temere che esse continuino a manifestarsi.
E' peraltro indiscutibile che via via che ci si allontana nel
futuro, i dati di perdita diventano progressivamente più incerti.
Come più volte si è detto, l'esperienza insegna come sia ben
difficile che le previsioni di perdita possano essere considerate
attendibili al di là di 2-3 anni. Oltre questi termini si hanno
quasi sempre gravi elementi di incertezza, per lo più originati dal
dubbio esito delle azioni correttive e dei rimedi che le aziende
interessate hanno posto o si apprestano a porre in atto. Per tale
motivo, quando il calcolo del badwill va oltre il triennio,
risulta difficile assumere nei calcoli la misura delle singole
perdite annuali. Può così accadere che le singole perdite siano
adottate per 2-3 esercizi futuri, mentre per i successivi ci si deve
accontentare di una misura media del risultato stesso."
Contestualizzando
questi ragionamenti d'ordine generale nell'ambito della specifica
valutazione in corso, occorre evidenziare come gran parte delle
disparità emerse dipendono direttamente anche dalle differenti
metodologie valutative adottate. Infatti:
- la stima dei beni in
concessione a valori nominali ha determinato il valor capitale di
questi cespiti, trattando l'onere concessorio annuo alla stregua di
qualunque altro costo di esercizio; ne consegue che la stima
patrimoniale è risultata piuttosto consistente, e i costi annui
elevati (situazione atta a generare minusredditi);
- la stima dei beni in concessione a valori rettificati, avendo
adottato un valore d'uso al netto degli oneri concessori attualizzati,
ha determinato un valore patrimoniale più contenuto, ma anche costi
annui sensibilmente più bassi (situazione atta a generare plusredditi).
Questi due rilievi dovrebbero indurre a ritenere le differenze
reddituali sostanzialmente stabili nel medio-lungo periodo, suggerendo
quindi una loro permanenza nel tempo.
Stanti tutte le
precedenti considerazioni, si è operato come segue:
- Gestione Idrica
Integrata (Stima patrimoniale a valori nominali)
Trattasi di un plusreddito che, vista la metodologia di calcolo
adottata, potrebbe perdurare a lungo. Stima della replicabilità:
5 anni.
- Acquedotto (Stima patrimoniale a valori rettificati)
Trattasi di un plusreddito che, vista la metodologia di calcolo
adottata, potrebbe perdurare a lungo; prudenzialmente, tuttavia, è
opportuno non assumere periodi troppo impegnativi. Stima della
replicabilità: 5 anni.
- Fognature (Stima patrimoniale a valori rettificati)
Trattasi di un minusreddito che, vista la metodologia di calcolo
adottata, potrebbe perdurare a lungo. Stima della replicabilità:
7 anni.
- Laboratorio (Stima patrimoniale a valori rettificati)
Trattasi di un lieve minusreddito che, in considerazione delle
prospettive di sviluppo che sembra avere questo specifico ramo
aziendale, potrebbe essere recuperato abbastanza rapidamente. Stima
della replicabilità: 3 anni.
· Trasformazione dei plus/minusredditi in plus/minusvalenze:
il tasso attuario
Dopo aver stabilito che una determinata azienda (o un ramo della
stessa) registrerà una differenza reddituale ripetuta per n anni, è
necessario tradurre questa informazione in un'effettiva modifica del
patrimonio netto. La determinazione della plusvalenza (in inglese,
goodwill) o minusvalenza (in inglese, badwill)
patrimoniale non può limitarsi alla mera sommatoria delle suddette
differenze, ma è necessario riportare le stesse al momento in cui
avviene la stima.
L'altra variabile che caratterizza la trasformazione dei plus/minusredditi
in plus/minusvalenze è dunque rappresentata dal tasso di
attualizzazione. Anche a tale riguardo si riportano alcuni passi
tratti da Guatri, op.cit.:
"A proposito del
tasso di interesse si possono avere ben quattro impostazioni:
1) il solito tasso di attualizzazione valido per la specifica
impresa;
2) secondo la classica impostazione dell'UEC, si tratta di un tasso
particolarmente elevato, poichè deve scontare il rischio peculiare
di cessazione del sovrareddito; come se tale condizione fosse
contingente e tendenzialmente destinata a sparire (anche in ciò si
può ravvisare l'impostazione prudenziale, anzi riduttiva, nella
stima del goodwill, tipico dell'originaria impostazione del
metodo);
3) il tasso va inteso come il puro compenso finanziario per il
trascorrere del tempo; è dunque un mezzo per trasferire i valori del
tempo tn , al tempo iniziale to; come tale è indipendente da
problemi di rischio specifico dell'impresa e si collega a parametri
finanziari "senza rischio" (ad esempo, al tasso di rendimento dei
titoli dello Stato per corrispondenti durate): è dunque un tasso
particolarmete contenuto;
4) il tasso, rispetto alla precedente soluzione, va almeno aumentato
della componente "maggiorazione per l'investimento azionario".
La soluzione preferibile appare in bilico fra c) e d). Pur apparendo
convincente la soluzione d), non si può infatti escludere il dubbio
che i rischi d'impresa entrino due volte nel calcolo: nella
determinazione del tasso di redditività atteso e in quella del tasso
di attualizzazione."
Nell'ambito della
stima in corso, si è ritenuto congruo considerare quale tasso di
attualizzazione un saggio che esprimesse il mero trascorrere del
tempo, dunque il tasso passivo corrente (6,5%), depurato del saggio di
inflazione di lungo periodo (2.5%): ne consegue il 4%.
PROBLEMATICHE nella redazione di un D.C.F.
1. Il modello per il
passaggio dalla simulazione statica alla dinamica
E' importante evidenziare il diverso
approccio adottato per la costruzione del D.C.F. rispetto alla stima
reddituale. Per quella, infatti, ci si è limitati a recepire i valori
presenti nella contabilità degli ultimi anni e nei budget del prossimo
triennio, esaminandone la congruità ed apportando alcune modifiche.
Viceversa, allorché si stimano i costi e i ricavi per la simulazione
economico-finanziaria, la stima si svincola maggiormente dal sistema
di consuntivazione e preventivazione contabile aziendale. L'analisi
peritale ha sezionato ogni singola posta contabile, individuando le
ragioni, i fattori produttivi, le interazioni operative e le relazioni
parametriche che sono alla base dell'insorgenza e della
quantificazione di detta posta, fissandone conseguentemente la stima.
La riproduzione dei ricavi e dei costi di ogni singolo esercizio
configura una situazione di carattere statico, cioè cristallizzata nel
tempo. Per traslare questi dati negli anni successivi è stato
necessario costruire un modellino di simulazione dinamica che
riproduce l'evoluzione nel tempo delle variabili macroeconomiche. Qui
di seguito si elencano per l'appunto tali variabili, specificando per
ognuna di esse il meccanismo che ne determina la quantificazione.
Prima di tale elencazione, tuttavia, è opportuno evidenziare il
funzionamento complessivo del modello. Infatti, dal momento che le
variabili macroeconomiche sono determinate con l'ausilio di un
generatore di numeri casuali che muta i propri valori ad ogni
iterazione, la simulazione in oggetto non è univoca, ma conduce ogni
volta a risultati differenti. Conseguentemente, per giungere alla
valutazione oggetto della presente perizia è necessario ripetere n
volte la simulazione, avendo presente che ad ogni iterazione cambiano
tutte le variabili macroeconomiche, dunque anche i risultati
conclusivi. Poiché la generazione dei numeri casuali può comportare
una disparità fra il risultato minimo e quello massimo addirittura
superiore al 25%, è evidente che bisogna replicare alcune migliaia di
volte la simulazione, assumendo ai fini della valutazione la media dei
risultati.
- Tasso d'inflazione
Il livello del tasso d'inflazione a inizio simulazione è il 2%. Il
tasso d'inflazione medio previsto per l'intero periodo trentennale è
il 3%. Il modello simula un graduale innalzamento del tasso dal
livello attuale verso quello medio, con una serie di oscillazioni al
di sopra e al di sotto di tale tendenza, determinate da una serie di
numeri casuali generati dal programma.
- Tasso interbancario di riferimento (Euribor)
Come base, è stato commisurato al tasso d'inflazione, incrementandolo
di una certa entità. Un generatore di numeri casuali ne determina
l'oscillazione, per cui la maggiorazione rispetto al tasso
d'inflazione può essere compresa fra 1,00 e 1,80 punti percentuali.
- Prime rate bancario
Come base, è stato commisurato all'Euribor, incrementandolo di una
certa entità. Un generatore di numeri casuali ne determina
l'oscillazione, per cui la maggiorazione rispetto all'Euribor può
essere compresa fra 2 e 3 punti percentuali.
- Tasso passivo su nuovi mutui
Come base, è stato commisurato all'Euribor, incrementandolo di una
certa entità. Un generatore di numeri casuali ne determina
l'oscillazione, per cui la maggiorazione rispetto all'Euribor può
giungere fino a 0,50 punti percentuali.
- Tasso attivo su eccedenze di c/c
E' stato determinato con riferimento all'Euribor. Se l'Euribor è
minore del 4%, il tasso attivo è inferiore ad esso di 2 punti
percentuali; in caso contrario, è pari alla metà dell'Euribor.
- Tasso attivo su titoli
E' stato ipotizzato a un livello intermedio fra il tasso d'inflazione
e l'Euribor.
2. La traslazione dalla simulazione economica a quella
finanziaria
Dopo aver determinato gli aspetti
economici (ricavi e costi) della simulazione, è necessario tradurre
gli stessi nelle componenti finanziarie (incassi ed eborsi) che ne
saranno generate. In taluni casi questo processo può richiedere
l'adozione di sofisticati modelli di trasformazione (ad es. per
inserire la previsione di pagamenti rateizzati). Tuttavia, nell'ambito
della stima in corso, l'estrema lunghezza dell'arco temporale e la
scansione periodica piuttosto dilatata (intervalli cronologici di un
anno) consentono di adottare la semplificazione di massima secondo la
quale
- i ricavi/costi
si traducono in incassi/esborsi nel medesimo esercizio di competenza.
Stante questo assunto di base, si disaminano qui di seguito tutte le
eccezioni che sono state apportate per migliorare la veridicità del
modello.
· Variazioni nei crediti verso clienti e debiti verso
fornitori
Dopo aver rilevato la situazione clienti/fornitori, si è costruito uno
schema sintetico per simulare le modifiche nel tempo dei saldi di
natura commerciale. Per tale ragione si sono effettuate alcune
suddivisioni, inerenti sia i ricavi che i costi.
Per quanto concerne ambedue le categorie, si sono evidenziate
autonomamente le posizioni di debitori/creditori che, per le loro
caratteristiche intrinseche, sono indotti a prolungare nel tempo le
posizioni commerciali aperte (sia attive che passive).
Venendo più specificamente alle componenti negative del conto
economico, queste sono state ripartite fra "costi esterni non
differibili" (il cui pagamento, cioè, deve avvenire in tempi
strettissimi) e "costi differibili"; in questa seconda categoria sono
state incluse le seguenti voci:
- Canone concessorio e
royalties
- Disinfezione acqua
- Acquisto Materiali
- Lavori di terzi per manutenzioni
- Manutenzioni e canoni
- Acquisti vari
- Quota delle prestazioni di servizi
- Spese generali
Successivamente si
sono riscontrati, negli ultimi esercizi, le percentuali medie di
incidenza dei saldi delle voci "clienti" e "fornitori" rispetto
all'ammontare dei ricavi e dei costi differibili; tale analisi è stata
differenziata in ragione dei singoli rami d'azienda. Dopo la
rilevazione dei dati si è proceduto a delineare una presumibile
ipotesi a regime, riprodotta nella seguente tabella:
IPOTESI A REGIME
Acquedotto Fognature Laboratorio
Clienti / Ricavi 70% 30% 50%
Fornitori / Costi Differibili 100% 60% 80%
Conseguentemente, all'interno della simulazione, mentre per il primo
anno si sono mantenuti i rapporti percentuali esistenti, si è previsto
che nei cinque anni successivi si giunga gradualmente ad allinearsi
con le indicazioni di cui sopra, che in seguito vengono mantenute
inalterate nel tempo.
· Erogazioni di mutui bancari
Nella simulazione il trattamento dei mutui bancari e relativi piani di
ammortamento è stato impostato distintamente dal resto degli
incassi/esborsi. Questo, in considerazione del fatto che la presenza
dei mutui modifica il rapporto fra mezzi propri e mezzi di terzi, con
palesi ripercussioni sulla scelta dei tassi di attualizzazione più
idonei.
· Rinnovi delle immobilizzazioni
Come noto, una posta che sfugge all'identificazione fra costi ed
esborsi è rappresentata dalle immobilizzazioni, per le quali l'esborso
coincide col momento dell'acquisto, mentre il costo è costituito dalla
quota periodica di ammortamento che continua a maturare anche molti
anni dopo l'iniziale uscita di cassa. E' per questa ragione che in
tutti i manuali di tecnica aziendale gli ammortamenti (essendo costi
che riducono il risultato economico senza intaccare quello
finanziario) vengono definiti una forma di autofinanziamento
dell'impresa.
Nella simulazione in esame, finalizzata alla determinazione dei flussi
di cassa, gli ammortamenti non sono stati presi in considerazione. Si
è invece inserita una posta dedicata ai rinnovi delle
immobilizzazioni, ossia agli esborsi finanziari che vengono sostenuti
man mano che i cespiti aziendali cessano la loro funzionalità e devono
essere rimpiazzati.
· Fondi e debiti a medio/lungo termine
Questa serie di voci è stata trattata autonomamente rispetto al resto
della simulazione.
- Fondo TFR
L'andamento di questo fondo è in funzione della composizione del
personale dipendente. Considerato che la simulazione ha previsto nei
prossimi anni una razionalizzazione operativa, si è ritenuto di
ridurre gradualmente, nel primo quinquennio della simulazione,
l'ammontare del fondo, che poi rimane praticamente invariato nel
tempo.
- Debito netto verso Comune
Si ritiene che, col trascorrere del tempo e il progressivo allentarsi
delle relazioni "storiche" col Comune, l'ammontare delle situazioni
sospese vada via via scemando. Nella simulazione si presume che
l'attuale debito netto non solo non si incrementi parallelamente
all'inflazione, ma addirittura diminuisca progressivamente fino ad
arrivare, al termine dei 30 anni, a una cifra corrispondente in valuta
attuale a circa 1/15 dell'importo iniziale.
- Debiti verso clienti per depositi cauzionali = € 442.815,29
Trattasi degli importi che i clienti del servizio "Acquedotto"
hanno versato a titolo di deposito cauzionale. Considerato che tali
importi dovranno essere rimborsati agli utenti solamente dopo la
conclusione del contratto, è presumibile che la sommatoria complessiva
non venga intaccata; anzi, vista la normale evoluzione inflattiva, i
nuovi depositi cauzionali saranno certamente superiori ai vecchi.
Nella simulazione si ipotizza che ogni nuovo deposito cauzionale
ammonti mediamente al doppio del valor medio unitario dei depositi
preesistenti; il numero di tali nuovi depositi è pari all'incremento
registratosi nel numero complessivo di utenti.
· Pagamento di debiti/crediti a breve termine
Il saldo di queste poste è stato previsto integralmente nel primo anno
della simulazione.
· Utilizzo del magazzino
L'azienda dispone di un magazzino di materiali per le reti idriche. Si
ipotizza che lo stesso venga interamente utilizzato nel primo biennio
della simulazione. Ovviamente, l'utilizzazione di tale magazzino
permette di non effettuare acquisti di materiale, quindi riduce gli
esborsi per i primi due anni della simulazione.
3. Il valore finale dell'azienda
La redazione di simulazioni economico-finanziarie limitate nel tempo
implica che sia necessario, al termine della simulazione, determinare
il cosiddetto valore finale dell'azienda. Normalmente, infatti, mentre
il piano dinamico ha una propria scadenza prefissata, l'impresa rimane
in vita, continua a svolgere la propria attività e, presumibilmente, a
conseguire utili.
Queste osservazioni, tuttavia, non sono integralmente riferibili alla
stima di società erogatrici di servizi pubblici, considerata la
stretta dipendenza dalle concessioni periodiche. Infatti, anche
prefigurando una situazione a regime in cui la società in esame,
gestita in modo privatistico, possa individuare nuove opportunità di
sviluppo, è comunque indubbio che, secondo un'interpretazione ancorata
a maggiore concretezza, essa resti prevalentemente legata al suo
attuale ambito territoriale.
Quale logica conseguenza, la stima del valore non dovrebbe essere
connessa all'azienda in generale, quanto piuttosto a singole sue
componenti, nell'eventualità in cui potessero avere ancora una propria
funzione economica autonoma. Nella fattispecie, si sono individuate
tre specifiche categorie per la determinazione di potenziali valori
finali.
· Immobili
E' questa la categoria di cespiti per la quale sembra maggiormente
agevole preconizzare il mantenimento nel tempo dei propri valori.
Considerata la particolare specificità dei beni immobili, si ritiene
opportuno prescindere dall'applicazione di qualsiasi forma di
ammortamento. Se ciò è indubitabile per quanto attiene l'area
edificabile, si rimarca altresì che i fabbricati, in qualità di beni
strumentali, saranno stati utilizzati regolarmente per l'intero
trentennio e dunque sottoposti alla consueta manutenzione. In ogni
caso, a fini prudenziali, si decide di ridurre del 10% il valore dei
capannoni, onde recepire ipotesi di eccessivo degrado o di
obsolescenza tecnica, funzionale o di mercato.
· Reti idriche in proprietà
L'altra immobilizzazione di particolare rilevanza che potrà mantenere
un proprio valore intrinseco anche dopo la scadenza delle concessioni
trentennali è rappresentato dalla rete idrica in proprietà. E' infatti
molto probabile che, indipendentemente dall'esaurimento o
dall'eventuale rinnovo delle concesioni, tale rete possa continuare ad
essere utilizzata anche al di là della scadenza di cui sopra. Ma come
si può quantificarne il valore? La formula più attendibile consiste
nel simulare un'ipotesi nella quale la rete viene concessa in
locazione; il canone di tale locazione figurativa è stato stimato
quale percentuale del fatturato annuo conseguibile in relazione
all'acqua portata. Per determinare tale percentuale, si è osservata
innanzitutto la situazione attuale: nell'azienda, il costo figurativo
attribuibile alla rete equivale al 10% circa dei ricavi di vendita
dell'acqua portata. Sembra dunque corretto attribuire la medesima
percentuale al futuro canone potenziale. Quanto alla durata
complessiva di tale locazione, successiva al trentesimo anno, a fini
equitativi si è ritenuto di farla coincidere con i dieci anni di vita
tecnica residua del cespite (il cui ammortamento è stato prefissato
nell'arco di 40 anni).
Il valore della rete in proprietà nel 2031 è pertanto determinato da
una rendita decennale attualizzata al consueto tasso di equivalenza
finanziaria al netto dell'inflazione (i relativi valori sono quelli
determinati dal modello di generazione automatica dei tassi).
· Prelazione sulle concessioni
La simulazione economico-finanziaria è stata sviluppata lungo l'arco
temporale in cui vigono i contratti concessori (utilizzo dei beni
acquedottistici e fognari, servizio acquedotto, servizio fognature).
E' evidente che tali concessioni sono indissolubilmente legate fra
loro (la gestione del servizio acquedotto e quella del servizio
fognature sono inscindibili, mentre quella relativa all'utilizzo dei
cespiti demaniali è chiaramente strumentale alle prime due, che
altrimenti non sarebbero eseguibili). Il contratto prevede, alla
scadenza del trentennio, una pubblica gara per l'attribuzione della
nuova concessione, riconoscendo in tale sede all'attuale gestore un
diritto di prelazione.
Alla luce della recente evoluzione normativa e di mercato che sta
caratterizzando il settore delle acque potabili in Italia, l'effettivo
riconoscimento futuro di tale prelazione potrebbe anche apparire
incerto. La tendenza, infatti, è quella di andare verso un sistema
organico di bandi pubblici per la concessione dei servizi
acquedottistici, ma potrebbe addirittura accadere che le aziende
municipalizzate che hanno conseguito tali concessioni in un precedente
regime "protetto", non solo non possano usufruire di alcuna
prelazione, ma siano addirittura escluse dalle gare future.
Ciònonostante, anche nel caso in cui l'azienda fosse impedita
dall'esercitare la propria prelazione, è evidente che il radicamento
prolungato sul territorio, la disponibilità di un organico tecnico
consolidato e più in generale l'acquisizione di uno specifico know-how
localizzato porrebbero la società in prima fila nell'eventuale gara,
conferendole un vantaggio competitivo non indifferente.
Pertanto, sia nell'ipotesi di futuro esercizio della prelazione, sia
in caso contrario, sembra corretto riconoscere comunque un valore
connesso alle potenzialità aziendali per un'efficiente prosecuzione
dell'attività e al vantaggio competitivo nei confronti di possibili
concorrenti. La quantificazione di tale vantaggio è stata stimata
nella misura del 2% sull'ammontare del fatturato annuo, che si ritiene
un margine operativo che l'azienda, grazie alla sua conoscenza
specifica, potrebbe essere in grado di "limare" rispetto alle altre
imprese del settore.
· Il calcolo del valore finale dell'azienda
Il valore finale dell'azienda è quindi pari alla somma delle tre poste
precedentemente definite e viene inserito nella simulazione
economico-finanziaria in corrispondenza dell'anno 2031. In questo modo
l'ammontare di tale voce verrà automaticamente attualizzato come tutte
le altre componenti della dinamica finanziaria.
4. Le modalità per l'attualizzazione dei flussi di cassa
Il passo conclusivo di questa procedura estimativa consiste nel
processo di attualizzazione dei flussi di cassa, che vengono tutti
riportati all'inizio della simulazione. A questo punto, quindi,
diventa cruciale la scelta del tasso.
Esistono più tipologie di tassi utilizzabili, così come varie modalità
di attualizzazione adottabili. Qui di seguito si definiranno le
principali alternative, confrontandole fra loro ed illustrandone i pro
e i contro. In primo luogo, tuttavia, occorre specificare che tutti i
tassi di interesse che saranno menzionati devono avere due
caratteristiche essenziali:
- essere tassi lordi
la simulazione economico-finanziaria, infatti, viene effettuata al
lordo delle imposte dirette (tranne l'IRAP che, per la sua anomala
composizione, è stata inserita fra i costi), per cui l'effetto
dell'IRPEG deve essere incluso nel tasso di remunerazione del
capitale;
- essere tassi nominali e non reali
la simulazione economico-finanziaria è stata effettuata a valori
correnti, quindi il tasso di attualizzazione deve essere al lordo
della componente inflattiva.
· Tasso nominale lordo (n.l.) di remunerazione dei mezzi
propri
Questo tasso, ovviamente, deve essere adottato per tenere conto della
quota di reddito che viene richiesto dall'imprenditore. Normalmente,
la metodologia dei flussi di cassa viene utilizzata per stimare i
risultati di uno specifico investimento, che di solito si sviluppa
interamente in un arco temporale predeterminato (ad es. un piano di
investimenti mobiliari, un'iniziativa di project financing,
un'operazione immobiliare). Trattasi cioè di situazioni che
presentano, dall'inizio alla fine della simulazione, una struttura
finanziaria esattamente predefinita e costante. In simili condizioni,
la procedura utilizzata è la seguente:
- si determinano le
fonti finanziarie di terzi e si inseriscono nella simulazione i flussi
per il servizio del debito;
- a questo punto, i flussi di cassa residui rappresentano i movimenti
del capitale investito dal promotore e dunque devono essere
attualizzati applicando il tasso di remunerazione dei mezzi propri.
La metodologia appena
descritta parte dal presupposto che la gestione finanziaria sia
predefinita e costante nel tempo. Ad esempio, i prestiti ricevuti
vengono portati ad estinzione e non sono rinnovati, perché anche le
attività correlative si esauriscono; è il tipico caso di un mutuo
fondiario a supporto di un'operazione immobiliare, che viene
frazionato ed escluso dalla simulazione man mano che si vendono le
singole unità immobiliari.
Per contro, nel caso in esame, trattandosi del normale andamento di
un'azienda, che prosegue regolarmente negli anni la propria attività
(incluso l'adeguamento della gestione finanziaria), l'adozione del
metodo descritto sarebbe inadeguata, dal momento che
"cristallizzerebbe" in modo immotivato la posizione debitoria.
Infatti, considerato che la simulazione è trentennale mentre i piani
di ammortamento dei mutui si estinguono molto prima, la suddetta
procedura minimizzerebbe i risultati derivanti dal cosiddetto "effetto
leva" che la capacità di raccolta finanziaria dimostrata dall'azienda
consente. Viceversa, non si vede per quale ragione l'azienda, che ad
oggi evidenzia una tale capacità, non dovrebbe confermarla in futuro,
rinunziando automaticamente alla sottoscrizione di qualsiasi nuova
forma debitoria.
In considerazione di tale rigidità e della distorsione che ne
deriverebbe, si è deciso di non assumere questa prima metodologia.
· Il piano della gestione finanziaria
Per evitare l'inconveniente descritto, è possibile adottare svariate
soluzioni. Quella presumibilmente più completa, che permette fra
l'altro di conservare l'esatta riproduzione dei flussi di servizio dei
debiti esistenti, consiste nell'impostazione di una gestione
finanziaria dinamica, a integrazione della simulazione di base.
Nell'ambito di tale gestione finanziaria si sono adottate le seguenti
regole:
- man mano che
procedeva l'ammortamento dei mutui già in essere si è ipotizzata la
sottoscrizione di nuovi mutui, limitatamente al 90% delle quote
capitali restituite;
- per evidenti motivi di verosimiglianza, tale sottoscrizione di nuovi
mutui non può avvenire in via continuativa, ma è prevista con cadenza
triennale;
- sono stati inseriti dei finanziamenti a breve termine (ad es. sotto
forma di scoperti di conto corrente) il cui ammontare è stato
prefissato in misura pari al 30% del fatturato annuo;
- gli interessi passivi sono differenziati fra quelli di mutuo e
quelli a breve termine; le relative aliquote percentuali discendono
dalla dinamica dei tassi inserita nella simulazione e illustrata in un
altro capitolo.
I principali vantaggi
connessi all'impostazione di una gestione finanziaria sono connessi
alla verosimiglianza di un simile modello e alla sua efficacia
valutativa. A fronte di questo beneficio, si riscontra un difetto
piuttosto grave: nel momento in cui il perito crea, sua sponte, una
gestione finanziaria, egli si arroga un ulteriore grado di libertà,
utilizzando uno strumento che potrebbe rafforzare il livello di
soggettività della valutazione.
· Tasso n.l. di remunerazione del capitale investito
Una seconda soluzione è costituita dall'adozione del tasso denominato
W.A.C.C. (Weighted Average Capital Cost), ossia del tasso
medio ponderato sul capitale investito. Questa tipologia di tasso
viene applicato comunemente nelle analisi statiche, in quanto permette
una corretta "miscela" fra i vari tassi per l'assolvimento dei debiti
e quello per la remunerazione dei mezzi propri. L'inserimento di un
simile tasso medio nell'ambito di una simulazione dinamica permette di
riprodurre, per l'intera durata di questa, l'attuale situazione
debitoria dell'azienda.
Proprio questa caratteristica costituisce la principale peculiarità di
questa metodologia, e soprattutto la sua netta distinzione rispetto
alla soluzione precedente. Quella, infatti, riproducendo una
situazione reale (o quanto meno verosimile) di flussi finanziari
concreti (o quanto meno possibili), creava un processo evolutivo
aritmeticamente discreto (in pratica. definibile "a scatti"). Al
contrario, l'adozione di tassi ponderati genera una situazione
teorica, aritmeticamente continua: l'effetto leva si riproduce in ogni
istante della durata della simulazione esattamente allo stesso modo,
il che è molto poco realistico, ma straordinariamente efficace.
· Tasso n.l. variabile di remunerazione del capitale
investito
Il maggiore difetto della soluzione appena descritta consiste nel
fatto che, così come viene replicata automaticamente la situazione
debitoria aziendale, dunque la capacità dell'impresa di raccogliere
finanziamenti, anche l'attuale costo di tali finanziamenti (nonché
quello per i mezzi propri) viene riprodotto indefinitamente. Trattasi
evidentemente di una condizione possibile, perfettamente corretta
nelle analisi statiche, ma troppo limitativa nelle simulazioni
dinamiche: in questi casi, infatti, si ha modo di conoscere l'esatta
evoluzione dei tassi d'interesse nel corso dell'intero periodo
esaminato. Non solo, ma gran parte dei dati che compongono il piano
economico/finanziario dipendono parzialmente da variabili (ad es. il
saggio d'inflazione) che, nel modello di generazione dei tassi,
svolgono una funzione essenziale.
Diventa perciò molto più flessibile e aderente alla realtà della
simulazione effettuata il fatto di utilizzare un tasso variabile. La
dinamica dei tassi fornisce, per ogni anno della simulazione
economico-finanziaria, le varie tipologie di tasso: pur tenendo
costante la composizione percentuale delle fonti di finanziamento
(debiti o mezzi propri), è quindi possibile calcolare un W.A.C.C.
differente per ogni singolo anno. In questo modo, il modello determina
il valore attuale dei flussi di cassa conseguiti per ogni specifico
esercizio: la loro sommatoria fornisce il risultato finale
dell'analisi.
VERIFICA della STIMA
con METODI SINTETICI
I cosiddetti criteri
sintetici sono stati utilizzati solamente quali pietre di paragone, a
valle del processo estimatorio. Il confronto relativo agli indici
parametrici viene effettuato su alcune distinte variabili, in modo
tale da avere un inquadramento più completo e autorevole.
· Multipli dei prezzi di mercato
Per la verifica di questo parametro è necessario confrontarsi con
s.p.a. quotate in Borsa, o comunque con aziende di cui sia noto il
prezzo di vendita. Da un'accurata analisi dei listini si sono
estrapolate solamente tre aziende che, avendo quale oggetto esclusivo
la gestione idrica, possono essere confrontate con l'azienda in esame.
Trattasi di Alfa, Beta e Gamma. Per ognuna di esse è stato possibile
definire il rapporto p/e, dove p
rappresenta il prezzo dell'azione ed e la quota di utile netto
afferente ogni azione: è evidente che moltiplicando tanto il
numeratore quanto il denominatore della frazione per il numero delle
azioni si ottiene il rapporto fra il prezzo di mercato dell'intero
patrimonio netto e l'utile netto annuo. Conseguentemente, l'indice
così definito rappresenta il moltiplicatore da applicare all'utile
netto societario per pervenire alla stima del patrimonio netto.
Un'analisi condotta nel corso dell'ultimo quinquennio ha riscontrato
una sostanziale stabilità di tale indice, soprattutto per la s.p.a.
Beta (p/e compreso fra 23 e 26) e per la Gamma (p/e fra 38 e 45); la
s.p.a. Alfa, invece, dopo aver fatto registrare qualche risultato
altalenante, negli ultimissimi anni ha consolidato il p/e intorno a
quota 48.
Dalla disamina di tali risultati si potrebbe evincere che una modalità
di stima sintetica per le tre aziende esaminate consista nel
moltiplicare l'utile netto annuo per un indice compreso a grandi linee
fra 20 e 50, con una maggiore concentrazione fra 35 e 45. Nel caso
dell'azienda in esame, considerata la minore liquidabilità di una
s.p.a. non quotata e le incertezze derivanti dalle minori dimensioni,
si ritiene di stabilire il moltiplicatore al di sotto del valore
minimo riscontrato sul mercato (nella fattispecie, al di sotto della
fascia di oscillazione fatta registrare dalla s.p.a. Beta).
Conseguentemente, si è deciso di considerare un intervallo compreso
fra 15 e 20. La stima cui si è pervenuti con la presente perizia
implica per l'azienda in esame una definizione del suddetto rapporto
fra 13 e 23, nettamente inferiore (dunque più prudenziale) rispetto
alle fasce di oscillazione fatte registrare dalle tre
aziende-campione.
Il grafico qui di seguito riprodotto evidenzia per l'appunto la
situazione dell'azienda in esame: a sinistra è riportata una media
degli utili netti conseguiti negli ultimi anni (€.300), sulla destra
l'utile netto tendenziale emerso dalla simulazione (€.600). Le tre
rette inclinate rappresentano le soglie minime e massime raggiungibili
dal patrimonio netto, rispettivamente fissato a quota 15 (retta
inferiore) e quota 20 (retta intermedia), nonché il moltiplicatore
medio fatto registrare dalla minore delle tre aziende di confronto
(s.p.a. Beta, quota 25, retta superiore). La fascia colorata in grigio
scuro individua l'intervallo di oscillazione che è stato ritenuto
congruo per l'azienda in esame; quella in grigio chiaro definisce un
ulteriore intervallo meno prudenziale del precedente ma comunque
ancora inferiore rispetto al valore della s.p.a. Beta. La parallela
all'asse delle ascisse riproduce il risultato conclusivo della stima
peritale (€.6.820).

Come si vede, anche qualora l'utile
annuo aziendale rimanesse invariato, la retta della nostra stima
ricadrebbe comunque nella fascia di oscillazione colorata in
grigio-chiaro (esterna all'intervallo di congruità, ma inferiore
comunque al dato Beta). Un lieve incremento del risultato economico,
invece, basterebbe a traslare la stima peritale all'interno della
fascia di congruità, evidenziata in grigio scuro. Se infine
l'evoluzione dell'utile netto rispondesse pienamente alle previsioni
peritali, la stima (€.6.820) implicherebbe l'applicazione di un
moltiplicatore addirittura inferiore a 13.
Sempre in merito ai multipli dei prezzi di mercato si è effettuata
un'ulteriore verifica, significativa dal punto di vista tipologico, ma
non in termini settoriali. Trattasi di un'ex azienda municipalizzata
per l'erogazione del gas, trasformata in s.p.a. e posta in vendita
tramite procedura di gara pubblica. In tale caso, il Comune, nello
stabilire il valore patrimoniale da porre come base di gara, aveva
adottato un moltiplicatore p/e pari a:
- 24 volte l'utile netto medio degli
ultimi anni;
- 16 volte l'utile netto prospettico.
La società aggiudicataria della gara,
invece, ha determinato la sua offerta applicando un moltiplicatore p/e
pari a:
- 44 volte l'utile netto medio degli
ultimi anni;
- 30 volte l'utile netto prospettico.
L'elevato ammontare di questo
moltiplicatore sembra costituire un'ulteriore conferma indiretta della
stima cui è pervenuta la presente perizia.
· Indici parametrici di
redditività
Un'ulteriore verifica comparativa è stata effettuata con riferimento
ad alcuni ulteriori parametri reddituali, e per l'esattezza:
- Rapporto fra margine contributivo
lordo e totale delle attività
- R.O.I.
- Utile lordo annuo
- R.O.E.
La tabella qui di seguito riportata
evidenzia l'andamento dei suddetti parametri, comparando l'azienda in
esame con le suddette s.p.a. Alfa e Beta. Ovviamente, i dati
dell'azienda in questione sono successivi alla redazione della
perizia, e includono le modifiche apportate da questa.
PARAMETRI |
Azienda |
Alfa |
Beta |
M.C.L. / ATTIVO |
5,60% |
3,00% |
7,30% |
R.O.I. |
2,70% |
2,00% |
4,00% |
UTILE LORDO / PATRIMONIO NETTO |
8,60% |
4,00% |
7,00% |
R.O.E. |
5,70% |
2,20% |
4,00% |
La s.p.a. Beta presenta risultati
migliori rispetto ad Alfa. Ciò è dovuto al fatto che, come osservato
in precedenza, il rapporto p/e è molto più basso, dunque la
redditività è maggiore. E' interessante sottolineare come l'azienda in
esame presenti una serie di risultati sostanzialmente in linea con
quelli di Beta: trattasi di un'ulteriore conferma indiretta circa l'appropriatezza
del valore peritale prescelto.
· Ulteriori indici parametrici
indiretti
L'ultimo riferimento parametrico che si intende prendere in esame
consiste nell'indice sintetico espresso in un precedente capitolo al
riguardo delle società britanniche di gestione idrica. Un metodo
empirico adottato per la valutazione di tali società consiste nel
moltiplicare per n Euro il numero di abitanti residenti nell'area
servita. Nel caso in esame si otterrebbe l'importo di €.nnn, che
dovrebbe rappresentare la valutazione sintetica del patrimonio netto,
limitatamente alla sola attività al dettaglio.
A questo importo, infatti, deve essere aggiunta la stima per la quota
di attività espletate all'ingrosso. In merito si può asserire quanto
segue:
- fatto 100 l'ammontare complessivo
annuo dei ricavi, il fatturato per la vendita di acqua all'ingrosso
pesa per 55 e quello inerente il dettaglio per il residuo 45;
- si è stimato che, mentre sulle attività al dettaglio si ottenga un
margine contributivo lordo del 23% sui ricavi, nel caso dell'ingrosso
tale margine cresca al 28,5%.
Dal momento che la valutazione di
un'azienda non dipende dal fatturato, bensì dal reddito prodotto, è
evidente che la quota di valore aziendale ascrivibile all'ingrosso è
ipotizzabile come segue:
Vi = Vd x ( 55 : 45 ) x
( 28,5 : 23 )
dove
Vi è il valore
aziendale dell'attività all'ingrosso
Vd è il valore aziendale dell'attività al dettaglio
Determinandosi in tal modo un valore
aziendale per la quota di attività all'ingrosso pari a €.nnn, ne
deriva una stima complessiva della Gestione Idrica Integrata pari a €.nnn,
di gran lunga superiore all'importo conseguito tramite il criterio
valutativo prescelto. E' peraltro palese che questa metodologia
estimativa sintetica, di natura reddituale, prescindendo sia
dall'ammontare del capitale investito che dalla percentuale di
indebitamento, sarebbe assai poco adattabile a una realtà aziendale
come quella in esame, in cui il livello delle immobilizzazioni
tecniche risulta molto più consistente rispetto alle altre aziende
italiane di settore.
· Riflessioni conclusive
Ultimati i raffronti parametrici con altre società del medesimo
settore, si è riscontrato che, in tutte le comparazioni effettuate, la
stima peritale inerente il valore della s.p.a. è risultata congrua
rispetto alle altre aziende assunte a paragone. Pertanto, pur
ribadendo la natura di eccessiva sinteticità di questi metodi, quindi
la loro inadeguatezza a fornire una valutazione aziendale completa e
oggettiva sotto tutti i punti di vista, si ritiene che questa verifica
trasversale fornisca un'ulteriore conferma indiretta circa la
correttezza della stima espletata.
a cura di:
dott. Carlo Frittoli
(consulente)