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RELAZIONE DI STIMA EX ART. 2343 c.c. di ex Azienda Speciale (Municipalizzata) trasformata in S.P.A. -  Principali Problematiche

NATURA della PERIZIA

Propedeuticamente rispetto all'avvio della perizia è opportuno identificare con esattezza l'oggetto della medesima, ossia la tipologia di operazione societaria straordinaria che ha reso necessaria, ai sensi di legge, l'attribuzione dell'incarico all'esperto.

Il Consiglio Comunale ha approvato e definito le modalità inerenti la trasformazione dell'Azienda Speciale mediante scissione e destinazione a società di nuova costituzione del ramo aziendale "servizio idrico" e mantenimento in vita dell'Azienda Speciale delle altre funzioni di servizio pubblico. Nel prosieguo della stessa deliberazione, si legge fra l'altro che ai sensi dell'art. 115 del d.l. 267/2000, la definitiva determinazione dei valori patrimoniali conferiti alla nuova Società verrà eseguita a mezzo di relazione giurata di un esperto designato dal Presidente del Tribunale ai sensi dell'art. 2343 1° comma del C.C.

Dalle frasi appena riportate emergono sia il termine "trasformazione" che quelli di "scissione" e "conferimento". É dunque necessario procedere a un sintetico approfondimento per inquadrare l'esatta natura dell'operazione societaria sottostante, considerato che a differenti tipologie di operazioni corrispondono distinte metodologie da adottarsi ai fini della stima aziendale.

La trasformazione societaria, disciplinata dagli articoli 2498, 2499, 2500 del Codice Civile, è la procedura tramite la quale si modifica il tipo di società adottato in precedenza. Trattasi, in altre parole, di un mutamento organizzativo e societario che non interrompe la continuità della gestione aziendale né i rapporti in essere coi terzi; la società resta perfettamente integra, senza subire frazionamenti o decurtazioni. É inoltre opinione ormai radicata sia in ambito dottrinale che giurisprudenziale che la trasformazione societaria implichi una semplice variazione formale, e non possa in alcun modo prefigurare la costituzione di una nuova società: ogniqualvolta l'operazione preveda la creazione di una Società ex novo, non si è più in presenza di una trasformazione societaria, ricadendo invece in un caso più complesso, quasi sempre caratterizzato da un conferimento.

Cercare di definire l'esatta natura dell'operazione societaria in esame non è una oziosa dissertazione fine a se stessa, ma costituisce un elemento essenziale per impostare correttamente la presente perizia di stima. Le metodologie applicabili, infatti, differiscono a seconda del tipo di operazione, come evidenziato da De Angelis, Profili di diritto contabile nella trasformazione delle società, in Giurisprudenza Commerciale, 1997-I, pp. 349 e 355 :

"La stima può avvenire, secondo l'insegnamento della dottrina aziendalistica e nel silenzio della legge, in applicazione di due distinti e divergenti criteri concernenti principalmente la valutazione dei cespiti attivi: quello a valori correnti, improntato alla rappresentazione del valore di mercato in un determinato momento dei beni costituenti il patrimonio aziendale; e quello in ipotesi di funzionamento (o a valori di congruità), mirato al mantenimento dei valori dei beni iscritti nella contabilità sociale in applicazione delle regole dettate dalla legge per la formazione del bilancio di esercizio."

"Una relazione di stima redatta a valori correnti potrà anche indicare il valore d'avviamento dell'azienda di pertinenza dell'impresa sociale che, al pari degli eventuali plusvalori dei cespiti patrimoniali rispetto alle loro evidenze contabili, concorre alla formazione delle riserve implicite; non così, invece, nel caso in cui tale relazione venga redatta a valori di congruità, senza cioè far emergere le predette riserve implicite e mantenendo come limite superiore alla stima del valore del patrimonio sociale, e dei singoli beni che lo compongono, quello risultante dalle scritture contabili tenute ai fini della formazione del bilancio d'esercizio."

Trasformazione societaria
Nel caso di trasformazione societaria dottrina e giurisprudenza concordano nel tratteggiare, in fase estimativa, una posizione fortemente conservativa. In merito, la Relazione Ministeriale n.1022 dispone che la stima del patrimonio sociale debba "evitare che, a seguito della trasformazione, si possa avere una supervalutazione della società trasformata, idonea a trarre in inganno il credito e i soci futuri". E la medesima preoccupazione viene condivisa da tutti gli autori, così come dai giudici chiamati ad esprimersi in questi anni su tale problema.
La posizione più rigida è quella assunta da coloro che ritengono necessaria la cosiddetta stima a valori "di congruità", attribuendo cioè al perito il solo compito di attestare la correttezza o meno di ogni singola posta contabile dello stato patrimoniale, astenendosi dall'applicare valutazioni in qualsiasi modo riferibili al concetto di mercato. In tal senso si esprime una Massima del Tribunale di Milano, 1998, che recita:

"La stima deve avvenire a valori di congruità e non a valori correnti, come invece si richiede per i casi di conferimento per i quali la valutazione ha per oggetto beni che vengono immessi ex-novo nel patrimonio della società".

L'essenza della stima espletata a valori di congruità viene efficacemente espressa da Alberti, La Gestione Straordinaria, vol.IV, pp.188 e ss., Giuffrè, 1990 :

"In sostanza l'esperto deve valutare se il patrimonio aziendale nelle sue componenti positive e negative è stato determinato nel passato secondo i principi previsti dal codice civile per la determinazione del patrimonio e contestualmente del risultato economico delle società di capitali. Lo scopo non è quindi quello della determinazione del capitale economico o di cessione, in quanto cessione non esiste, ma della determinazione del patrimonio, capitale e riserve, "civilistico", cioè ricostruito attraverso l'applicazione delle norme civilistiche in materia di bilancio."

"La relazione di stima deve essere strutturata come un bilancio di esercizio, sia pure privo di conto economico e nota integrativa, e come tale deve rispettare i criteri legali di valutazione delle poste riportate" (Tribunale di Milano, Massima 1998).

"La relazione di stima costituisce un vero e proprio bilancio, anche se straordinario, e come tale deve essere strutturata e deve comprendere i relativi criteri di valutazione, che sono differenti da quelli dettati nell'ipotesi di conferimento" (Tribunale di Napoli, 12.01.1998).

É evidente che, nell'ambito di una simile configurazione, il ruolo del perito cessi di essere tale, per assumere piuttosto una figura di mero "revisore" o "certificatore" contabile, riferibile non tanto allo stato attuale, quanto piuttosto alle modalità di formazione del medesimo, verificatesi negli esercizi precedenti.
Un approccio meno vincolistico è quello che, pur confermando l'obiettivo prioritario di garantire creditori e terzi, attribuisce alla relazione di stima un compito maggiormente affine alla sua denominazione, ossia un'effettiva valutazione dei singoli componenti del patrimonio aziendale, sebbene intesi come complesso di beni organizzati e finalizzati al proseguimento di un continuum operativo che di per se stesso non subisce alcuna modificazione essenziale per il mero cambiamento della forma giuridica dell'impresa.
Le ricadute pratiche di una simile posizione sulle modalità di impostazione della perizia sono così sintetizzabili:

a) le valutazioni dei cespiti attivi fanno riferimento a valori cosiddetti di realizzo o, al massimo, a valori di costo attuale di riproduzione;
b) le posizioni creditorie e debitorie e i cespiti di natura finanziaria vengono opportunamente rettificati quando se ne riscontra la necessità;
c) le cosiddette attività immateriali (marchi, brevetti, concessioni, etc.) non vengono prese in considerazione o sono ricordate per memoria;
d) non può essere conteggiato un valore per l'avviamento aziendale, a meno che l'impresa non abbia sostenuto a suo tempo un effettivo costo per l'acquisizione del medesimo (così anche Trib.Napoli, 12.01.1995).

La differenza più rilevante è riscontrabile nel punto a), laddove una simile valutazione potrebbe risultare (e normalmente risulta) maggiore rispetto agli importi contabili, abbandonando il concetto di "valori di congruità".
A sostegno di questa impostazione vi sono alcuni riscontri significativi.

"Per la S.p.A. sorta in seguito alla trasformazione di una società di persone non vi è alcun obbligo di passare a capitale il maggior valore del patrimonio netto derivante dalla relazione di stima." (C.App.BO, 30.04.1982)


E l'art.122 del D.P.R. 22.12.86 n° 917 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), recita:


"La trasformazione della società non costituisce realizzo né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento."

Le plusvalenze e le minusvalenze cui si riferisce la norma sono quelle accertate dall'esperto nella relazione di stima, allorché, evidentemente, i beni vengano valutati al valore corrente di sostituzione. É interessante sottolineare il richiamo all'avviamento, che pure rimane (per la quasi totalità della dottrina e della giurisprudenza) escluso dalla stima peritale nel caso di trasformazione societaria. D'altro canto, un'indiretta ammissione di questa posta nell'ambito del processo estimativo viene comunque riconosciuta da tutti gli autori che ritengono applicabili metodi reddituali o finanziari basati sulla prospezione dei flussi degli esercizi futuri: tale procedimento, infatti, finisce col fare emergere una valorizzazione dell'avviamento, non come valore autonomamente considerato, bensì come fattore imprenditoriale, organizzativo e gestionale che consenta di prefigurare la prosecuzione nel tempo di un'attività aziendale foriera di reddito.

· Conferimento aziendale
La pluralità di posizioni riscontrate, sia in campo dottrinale che giurisprudenziale, in merito alla valutazione delle trasformazioni societarie, lascia spazio a una maggiore uniformità di vedute allorché si passa a considerare il conferimento aziendale. In questo caso, infatti, diventa necessario tutelare non solo l'interesse dei creditori e dei terzi, ma anche quello dei soci vecchi e nuovi, e quindi del soggetto conferente: tale finalità comporta l'esigenza di interpretare la perizia di stima non più come una mera certificazione contabile, bensì come un avvicinamento ai valori correnti e al concetto di mercato.

"La natura di scambio propria del conferimento fà si che il valore attribuito ai singoli elementi sia quello corrente, inteso come valore di sostituzione al momento della stima." (M.Nava, Le perizie di stima, UTET, 2000, p.98).


"La stima dell'esperto ex art.2343 deve tendere alla determinazione del valore-obiettivo del conferimento, ossia del prezzo che alla data del conferimento stesso il mercato è disposto a sborsare per procurarselo." (G.Brescia, Le perizie di stima delle aziende, Maggioli, 1999, p.114).

Per quanto concerne le metodologie valutative, non si ravvisano sostanziali differenze fra il caso della trasformazione societaria e quello del conferimento d'azienda (o di ramo aziendale), per cui i ragionamenti qui di seguito sviluppati sono validi per entrambe le situazioni.
Né il Codice Civile né successive norme hanno previsto obblighi in merito alle modalità della stima, tranne quello, per il perito, di specificare il criterio prescelto. L'unico vincolo inerisce la forma della rappresentazione dei risultati della stima, che deve riprodurre in modo dettagliato il valore dei singoli beni componenti il patrimonio aziendale.
 

"La stima ha ad oggetto il patrimonio della società nella sua interezza, con l'indicazione analitica di tutti gli elementi dell'attivo e del passivo e con l'attestazione dell'esistenza di un netto patrimoniale corrispondente o non inferiore all'ammontare del capitale sociale." (U.Grisenti, Trasformazioni societarie, La Settimana Fiscale n.35/2000).

É tuttavia essenziale che la stima complessiva aziendale non risulti una semplice sommatoria dei singoli valori, ma derivi da un'analisi più ampia, che consideri una corretta integrazione fra questi.
 

"Il valore da indicare è quello attribuito a ciascuno dei beni. L'azienda è un bene composto, fatto da un coacervo di elementi collegati organicamente, che pur non perdendo la loro individualità risultano assorbiti nell'unica entità che li sublima. […….] La relazione di stima deve esprimere il valore dell'azienda nel suo complesso. Non è sufficiente, anche se richiesta, l'indicazione del valore dei singoli componenti, che è prodromico alla definizione del valore complessivo. Il valore complessivo dell'azienda scaturisce dalla somma dei valori delle attività e passività, singolarmente apprezzate, tenuto conto del contesto nel quale sono comprese."


"La relazione di stima deve esprimere il valore dell'azienda nel suo complesso. Non è sufficiente, anche se richiesta, l'indicazione del valore dei singoli componenti, che è prodromico alla definizione del valore complessivo. Il valore complessivo dell'azienda scaturisce dalla somma dei valori delle attività e passività, singolarmente apprezzate, tenuto conto del contesto nel quale sono comprese."(M.Nava, Le perizie di stima, UTET, 2000, p.96 e 146).

L'esigenza di presentare la valutazione precisando i valori dei singoli beni ha un riflesso diretto sulle metodologie di stima, rendendo imprescindibile il ricorso alla valutazione patrimoniale.


"La stima va effettuata, principalmente, in base al criterio della valutazione patrimoniale analitica e, successivamente, verificata in base al criterio di valutazione reddituale o misto e poi rettificata in base all'eventuale goodwill o badwill accertato." (G.Brescia, Le perizie di stima delle aziende, Maggioli, 1999, p.114).

E, seguendo lo stesso filone interpretativo, la U.E.C. (Union Européenne des Experts Contables Economiques et Financiers) prescrive:

"Il valore di attività deve costituire il punto di partenza e la base di ogni valutazione d'azienda, mentre in un secondo momento questo valore deve essere rettificato in funzione della capacità di reddito".

La "trasformazione" degli enti pubblici in s.p.a.
Il processo delle "privatizzazioni" avviato in questi ultimi anni nel nostro paese è supportato da un'ampia gamma di normative specifiche. In questo quadro, si sente spesso parlare della "trasformazione" di enti pubblici in società per azioni. Ad essere precisi, tale termine non è completamente appropriato; quanto meno, non è riconducibile al concetto di trasformazione societaria, dal momento che l'ente pubblico preesistente non ha connotazioni assimilabili a quelle di un'impresa. Si verifica dunque un processo novativo che manca invece nell'ipotesi della trasformazione aziendale, nella quale non si rileva alcuna soluzione di continuità nel prosieguo della gestione aziendale, prima e dopo la modificazione della forma giuridica.

"Che si debba parlare di trasformazione pare indubbio, atteso che è rimasta l'identità soggettiva dell'ente, la persona giuridica intesa come centro di imputazione autonomo dei diritti e dei doveri; nessun trasferimento, cioè, si è avuto del patrimonio dell'ente […....] É però altrettanto vero che profondamente, radicalmente, strutturalmente diversa è divenuta la natura dell'ente persona giuridica; non si tratta semplicemente del, pur importantissimo, passaggio da ente pubblico ad ente privato. Si tratta di qualche cosa di più e di diverso: il tipo società per azioni è stato creato ex novo, e poi con riguardo a un ente pubblico che non aveva "fondo di dotazione a composizione associativa" e dunque, esprimendosi con gli ordini concettuali privatistici, aveva i caratteri di una fondazione, di un soggetto, come si suole dire, padrone di se stesso.

É stato dunque necessario costituire:
a) i soci, e con essi e per essi la partecipazione sociale;
b) il capitale, come termine di riferimento della partecipazione sociale;
c) il capitale, ancora, come cifra, posta di passivo ideale, che costituisce - non a caso si parla di società di capitali - il principio base della disciplina per quote ideali, dunque per valori, del patrimonio sociale, tutelandone l'esistenza in una dimensione minima e la destinazione all'esercizio dell'impresa."

"Nel sistema di bilancio delle società di capitali non può procedersi a rivalutazioni se non in casi eccezionali, casi nei quali la corrispondente riserva è soggetta ad una specifica disciplina che in principio ne limita, e talora ne esclude, la distribuibilità. Diversa è però la situazione quando, pur esistendo un'azienda esistente e in attività, cambia il regime giuridico dell'organizzazione del suo patrimonio, evento questo che si determina in caso di conferimento ad una società di capitali, ovvero anche in caso di passaggio da una società di persone a società di capitali.
In questi casi, quella che da un punto di vista aziendalistico-contabile appare una rivalutazione, giuridicamente è una valutazione originaria, iniziale, mancando una preesistente valutazione e iscrizione [a bilancio] regolate dalla disciplina dell'organizzazione del patrimonio delle società di capitali.
Ora, nel caso che interessa [trasformazione di ente pubblico in s.p.a.] siamo sicuramente in presenza di una valutazione iniziale, e non di una rivalutazione, ancora più chiara di quella che si verifica in caso di trasformazione da società di persona a società di capitali, proprio per l'assoluta carenza nell'ente pubblico "trasformato" di tutti gli elementi propri del tipo societario."
(Paolo Ferro Luzzi, La "trasformazione" degli enti pubblici in s.p.a. e la "speciale riserva", Giurisprudenza Commerciale, 1995, I)

Nella fattispecie in esame, il Comune ha provveduto a scindere la preesistente Azienda Autonoma, scorporando da questa il ramo aziendale "Acqua" e conferendolo a una S.p.A. di nuova costituzione, così come previsto dalla normativa vigente.

"L'art.17 della legge 127/1997 non solo ha attribuito agli enti locali la facoltà di trasformare, per atto unilaterale, le aziende speciali in società per azioni (comma 51), ma ha anche dato loro la possibilità di prevedere, sempre con atto unilaterale, la scissione dell'azienda speciale e la destinazione a società di nuova costituzione di un suo ramo aziendale (comma 57). La forma di scissione prevista dal comma 57 è, quindi, quella così detta parziale, giacché in tal caso l'azienda speciale non si estingue, ma una parte del suo patrimonio viene attribuita a una società di nuova costituzione. […….] La procedura per la costituzione di una s.p.a. tramite scissione dell'azienda speciale è, in sostanza, simile a quella prevista per la trasformazione dell'azienda speciale in s.p.a." (Tessarolo, Trasformazione delle aziende speciali in società per azioni, Ed. Edilizia Popolare, 1999, p.30).

Il suddetto art.17 della legge 127/1997 è stato successivamente ripreso da ulteriori normative, fino a confluire nell'art.115 del d.l.18.08.2000 (Testo Unico sull'ordinamento degli enti locali).
Nell'ipotesi di una scissione aziendale la dottrina è maggiormente propensa ad ampliare l'ambito operativo del perito, inteso come autonomia valutativa, indipendente dai valori contabili.

"Nel caso di scissione avente ad oggetto un ramo aziendale, la sostanziale identità funzionale dell'azienda rispetto al ramo comporta che la valutazione di quest'ultimo segua le regole proprie della valutazione di azienda, includendo quindi anche l'avviamento." (M.Nava, Le perizie di stima, UTET, 2000, p.146).

E, venendo nello specifico al caso della "trasformazione" di un'azienda speciale in s.p.a., si riportano alcune osservazioni emerse in un convegno tematico.

"Nel caso di trasformazione delle aziende ai sensi della legge Bassanini bis, trattandosi di operazione che si configura non come trasformazione, bensì come conferimento, l'avviamento deve essere considerato."
"Una recente massima del Tribunale di Milano ha stabilito che i beni, compreso l'avviamento, delle aziende speciali trasformate in s.p.a. devono essere valutati dal perito secondo valori di mercato, ossia con i criteri sostanziali del conferimento. In tal modo, anche la futura cessione dei pacchetti azionari della società trasformata troverà nel valore di perizia la base di riferimento che dovrebbe consentire l'eliminazione del rischio di svendite pubbliche."
(De Sordi, La riforma dei servizi pubblici locali, Seminario Con.Ser., Imola, 2000).

A ulteriore conferma dei pareri fin qui riprodotti, si riportano alcuni ampi estratti della Risoluzione 153 del 05.10.2001 della Direzione Centrale delle Imposte Dirette. Ovviamente, detta Risoluzione si focalizza soprattutto sulle implicazioni fiscali connesse alla "trasformazione" di aziende speciali e relativi consorzi in s.p.a.; per opportuna chiarezza, comunque, il testo ripercorre un excursus completo della normativa, derivandone le conseguenti interpretazioni.

"Nell'ambito di un progetto di riorganizzazione del servizio pubblico a livello locale, gli enti partecipanti deliberano la scissione parziale dell'azienda consortile con destinazione del ramo d'azienda che svolge l'attività di trasporto ad una società per azioni di nuova costituzione. Per la definitiva determinazione dei valori patrimoniali conferiti gli amministratori, come stabilito dalla legge, richiedono una perizia di stima ad un esperto designato dal Presidente del Tribunale.
La Direzione Regionale ha chiesto chiarimenti in merito alla rilevanza fiscale dei maggiori valori patrimoniali dei beni conferiti nella società costituita con la scissione risultanti dalla perizia di stima, ai fini, ad esempio, della deducibilità degli ammortamenti o della determinazione di eventuali plusvalenze in caso di alienazione, qualora gli amministratori e i sindaci decidano l'iscrizione in bilancio di tali maggiori valori."
"L'azienda speciale è definita, dall'art. 114 del TU sull'ordinamento degli enti locali, ente strumentale dell'ente locale dotato di personalità giuridica e di autonomia imprenditoriale. Queste caratteristiche, unitamente all'obbligo del pareggio di bilancio da perseguire attraverso l'equilibrio dei costi e dei ricavi, qualificano l'azienda speciale come un ente pubblico economico. Il rapporto tra l'ente locale e l'azienda speciale è per molti aspetti diretto. […….] Di conseguenza, l'operazione di trasformazione di tali aziende speciali, come disciplinata dal TU degli enti locali, avviene secondo una procedura del tutto particolare in cui sono richiamati aspetti propri degli istituti sia della trasformazione societaria sia del conferimento."
"Tali disposizioni sono coerenti con la disciplina che regola in via ordinaria l'istituto della trasformazione societaria quale modifica dell'atto costitutivo che determina il mutamento della natura giuridica della società trasformata e non comporta, di per sé, variazioni nel patrimonio o nei rapporti giuridici con i terzi. Emerge, tuttavia, nel caso concreto, un sostanziale profilo di diversità in quanto si costituisce ex novo una società commerciale che "subentra" all'ente strumentale nei cui confronti il rapporto dell'ente locale non era certamente assimilabile a quello esistente tra socio e società. Il rapporto con il nuovo soggetto è regolato non più dall'art. 114 del TU degli enti locali ma dalle norme applicabili in via ordinaria alle società di capitali e trova concreta attuazione attraverso l'esercizio dei diritti patrimoniali e di partecipazione alla vita sociale, garantiti dalla titolarità delle azioni sottoscritte a fronte del conferimento dei beni. Ciò determina una netta separazione tra l'ente locale, che acquista la qualità di socio, e la società neo costituita cui sono conferiti i beni necessari per assicurare la gestione del servizio pubblico. Si sottolinea che tale conferimento può avere ad oggetto sia il complesso dei beni organizzati, per mezzo del quale l'azienda speciale, prima della trasformazione, esercitava l'attività di impresa, sia singoli beni dell'ente locale."
"L'esigenza di individuare il valore effettivo dei beni confluiti nella società neo costituita a fronte dell'attribuzione agli enti locali delle azioni rappresentative del capitale sociale emerge anche in vista della futura alienazione delle azioni stesse. L'art. 115, comma 1, infatti, prevede in modo esplicito che gli enti locali possono rimanere azionisti unici delle società risultanti dalla trasformazione dell'azienda speciale per un periodo non superiore a due anni dalla trasformazione stessa."
"Con l'operazione di trasformazione delle aziende speciali (o dei consorzi) si costituisce una nuova società rispetto alla quale assume particolare rilevanza il momento del conferimento dei beni organizzati per l'impresa."
"L'obiettivo non è di dare rilevanza a valori "rivalutati" ma di riconoscere, anche fiscalmente, gli effettivi valori di apporto, compreso l'avviamento se evidenziato nella perizia di stima, come ordinariamente avviene nei conferimenti. Le norme sopra richiamate, in virtù del rinvio contenuto nel comma 7 dell'art. 115 sono applicabili, in quanto compatibili, anche nella diversa ipotesi in cui la deliberazione degli enti locali preveda la scissione dell'azienda speciale (o del consorzio) e la destinazione a società di nuova costituzione di un ramo aziendale di questa. Si tratta anche in questo caso di un'operazione che presenta caratteristiche peculiari rispetto alle fattispecie cui si applicano le ordinarie norme dettate dal codice civile per la scissione di società."
"Nella scissione dell'azienda speciale le procedure da seguire sono le stesse previste dall'art. 115 per la trasformazione. Inoltre, anche attraverso la scissione dell'azienda speciale si costituisce una nuova società beneficiaria le cui azioni o quote sono attribuite all'ente locale a fronte del "conferimento" del ramo aziendale, nonostante che il rapporto dell'ente locale con l'azienda speciale scissa non possa essere considerato assimilabile a quello esistente tra il socio e la società. A tale operazione di scissione/conferimento, per effetto del rinvio contenuto nell'art. 115, comma 7, si rende applicabile anche la norma di esenzione di cui al precedente comma 6 con la conseguente possibilità per la società beneficiaria di iscrivere i beni in bilancio in base ai maggiori valori risultanti dalla relazione di stima, compreso l'avviamento nella misura in cui sia evidenziato nella relazione stessa, con pieno riconoscimento fiscale."
"Poiché il d.l.332 del 1994 detta norme per accelerare le procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni, il suo esplicito richiamo sottolinea che la finalità perseguita dal legislatore con la norma di agevolazione è anche quella di permettere che i beni delle società neo-costituite siano iscritti in bilancio al loro valore corrente, con effetti anche fiscali, ai fini della successiva collocazione delle relative partecipazioni sul mercato."

A conclusione del presente capitolo, volto a configurare con esattezza l'oggetto della perizia di stima, si sintetizza il percorso logico emerso dalla disamina dei riferimenti bibliografici e sviluppato dallo scrivente.

1. Nonostante il termine possa suscitare equivoci, non si è in presenza di una "trasformazione" societaria come solitamente intesa in campo dottrinale e giurisprudenziale.

Nel caso della trasformazione societaria, infatti, esiste un'impresa già costituita che vede mutare la sua forma giuridica. Ma le aziende speciali, al contrario, non sono equiparabili a società dal momento che, pur godendo di una certa indipendenza operativa, non vantano alcuna autonomia patrimoniale: i beni in loro possesso sono proprietà degli enti locali, per cui non è possibile individuare un patrimonio aziendale; inoltre non sussiste un capitale sociale, bensì un "fondo di dotazione", con caratteristiche giuridiche assolutamente diverse. Conseguentemente, è solo a seguito della costituzione della nuova s.p.a. che vengono a esistenza, da un lato, un patrimonio societario distinto da quello comunale e, dall'altro, un capitale sociale espresso in azioni.

2. Dal punto di vista tecnico-giuridico, quindi, l'esatto processo è configurabile come una scissione della preesistente azienda speciale, e successivo conferimento del ramo aziendale "acqua" nell'ambito di una s.p.a. di nuova costituzione.

L'azienda speciale fa parte del patrimonio comunale, per cui l'ente locale, nel momento in cui conferisce un ramo di tale azienda a una s.p.a. neo-costituita, diventa l'unico detentore dell'intero capitale azionario. Un simile procedimento è stato reso possibile dalla normativa specifica che, dall'inizio degli anni Novanta in poi, ha inteso avviare e incentivare il processo delle privatizzazioni.

3. Trattandosi di un conferimento (e non di una trasformazione) aziendale, la perizia di stima deve tutelare non solo gli interessi dei creditori e dei terzi, ma anche quelli del conferente.

Come logica conseguenza di questo assunto, la valutazione non deve determinare valori "di congruità", bensì valori correnti: il riferimento, pertanto, non è più rappresentato dagli importi contabili, ma dal mercato. Considerato che la finalità ultima dell'intero processo è la privatizzazione del servizio pubblico, dunque la cessione delle azioni a soggetti privati, un simile approccio consente di prevenire il rischio di un'eventuale "svendita" dei beni degli enti locali, evidenziando invece i prezzi potenziali che investitori e/o imprenditori sarebbero disposti a corrispondere per l'acquisizione della s.p.a. neo-costituita, intesa come azienda in piena attività specializzata nell'erogazione del servizio pubblico in oggetto (nella fattispecie, distribuzione dell'acqua e gestione della rete fognaria).

4. La valutazione a prezzi correnti consente di determinare plusvalori rispetto alle preesistenti emergenze contabili, sia a seguito della revisione delle immobilizzazioni, sia per la valorizzazione dei beni immateriali ("intangibles"), sia tramite il computo dell'avviamento aziendale.

Da ciò consegue che il perito deve operare nel modo ritenuto più idoneo per determinare il valore aziendale concretamente riconoscibile in ragione del contesto operativo, gestionale, economico e di mercato ove la nuova s.p.a. svolge la sua attività. Per il conseguimento di tale scopo non sussistono vincoli inerenti le modalità valutative da assumere, e sono adottabili anche quelle metodologie (come la prefigurazione dei futuri flussi reddituali e/o finanziari) che includono l'implicita considerazione di valori quali l'avviamento aziendale. E' comunque essenziale (in quanto richiesto dal Codice Civile) che la relazione peritale evidenzi espressamente i valori dei singoli beni componenti il patrimonio aziendale: ma è altrettanto importante che la stima, come sopra concepita, non si riduca a una mera sommatoria di tali valori, considerando invece detti beni come un complesso unitario organizzato, funzionale alla conduzione dell'impresa.

LA SCELTA dei CRITERI ESTIMATIVI

1. IL BENCHMARKING
Per comprendere meglio le caratteristiche dell'azienda rispetto all'andamento dell'intero settore, si è effettuata un'approfondita analisi di confronto, che nella terminologia aziendale di origine anglosassone viene definita "benchmarking". Oggetto di tale confronto non sono stati gli indirizzi strategici, le modalità organizzative, le funzioni operative, bensì direttamente i dati di bilancio, che sono stati reperiti, laddove possibile, per alcuni anni a ritroso. Purtroppo la valutazione comparata dei bilanci è stata possibile esclusivamente per quanto afferisce i dati economici, dal momento che, fino a pochi mesi addietro, gli importi patrimoniali includevano indifferenziatamente sia la gestione idrica che quella dei parcheggi e trasporti, rimasta in capo all'attuale Azienda Municipalizzata. Stante questa situazione, ben si comprende come sarebbe risultato improprio determinare degli indici di bilancio in presenza di poste di natura disomogenea.
Analoga attenzione è stata prestata anche in direzione opposta, allorché si sono selezionate le aziende per le quali valutare il bilancio. In tal senso, si sono adottati due differenti criteri di cernita:

- criterio dell'affinità settoriale,

per il quale sono state escluse quelle aziende in cui fosse significativa la presenza di altre attività di servizio (in primis l'erogazione del gas) e non venissero distinti i rispettivi importi di competenza economica;

- criterio dell'affinità dimensionale,

che ha indotto a non prendere in considerazione le aziende aventi dimensioni troppo più estese rispetto a quelle della società in esame.

Laddove possibile, inoltre, si è cercato di reperire dati inerenti gestioni idriche caratterizzate da problematiche analoghe: nello specifico, una caratteristica saliente è quella della notevole incidenza dell'apporto turistico, che provoca rilevanti disparità di consumo fra la stagione estiva e quella invernale.
In sintesi, le aziende utilizzate quali "comparables" sono ripartibili in due grandi categorie:

- aziende grandi o medio-grandi, a struttura fortemente consolidata, quotate in Borsa;

- società di dimensioni più affini a quelli dell'azienda in esame, la cui ubicazione, tuttavia, non è altrettanto circoscritta.

Si vedrà come, a seconda dei singoli indici, l'azienda in esame faccia registrare coefficienti che di volta in volta la accostano ora all'una, ora all'altra delle due categorie aziendali predette.
Qui di seguito si analizzano distintamente le diverse tipologie di indici che sono stati determinati.

Indici di costo
- incidenza del costo del personale
l'azienda è in linea con i costi delle società più strutturate, mentre nelle altre imprese l'incidenza di questa categoria di oneri è più limitata

- incidenza del costo delle materie prime
l'azienda fa registrare l'incidenza più elevata (18%), probabilmente dovuta ai costi riconosciuti ad altre aziende per l'acquisizione di acqua

Indici operativi
- Margine contributivo lordo sul fatturato
l'azienda fa registrare un risultato consistente (29%), nettamente superiore a quello delle aziende consimili, ma inferiore a quello delle società quotate

- Margine contributivo lordo sul capitale investito
nell'analisi del bilancio, tutti gli indici che implicano al denominatore la presenza del capitale investito risultano, da un paio d'anni a questa parte, gravemente penalizzati dalla presenza di un investimento molto rilevante, strategicamente necessario allo sviluppo aziendale, ma penalizzante in termini di parametrizzazione dei risultati

Indici reddituali
- Redditività sul fatturato (R.O.S.)
l'azienda consegue un risultato intermedio (13,3%), nettamente superiore a quello delle aziende consimili, ma inferiore a quello delle società quotate

Remunerazione del capitale investito (R.O.I.)
anche in questo caso il risultato è modesto (fra il 2% e il 3%): valgono le considerazioni sui valori patrimoniali già espresse in precedenza

Remunerazione dei mezzi propri (R.O.E.)
trattasi di un indice che ha registrato notevoli variazioni da un esercizio all'altro, rivelandosi sempre largamente superiore a tutti gli altri del campione; evidentemente, la misura "storica" del capitale sociale e dell'intero patrimonio netto riportata nei libri contabili è largamente inferiore a una corretta stima aggiornata dell'effettivo valore aziendale.

A conclusione di questo breve excursus è possibile sintetizzare quanto segue:

- l'azienda si caratterizza per una rimarchevole efficienza gestionale, in quanto tutti i risultati commisurati percentualmente al fatturato sono superiori alla media;

- per contro, tutti gli indici rapportati al capitale investito, includendo al denominatore le immobilizzazioni fisse, sono gravemente penalizzati dal valore degli investimenti effettuati, i quali necessiteranno di tempo per raggiungere un adeguato livello di redditività;

- gli indici riferiti al patrimonio netto sono elevatissimi, a conferma del fatto che il valore di libro dell'azienda è largamente inferiore a quello effettivo.

Infine si preannunzia fin d'ora che, a seguito della revisione che verrà ipotizzata per simulare una gestione più efficace e "privatistica" dell'azienda, nell'ambito delle proiezioni dinamiche che ne conseguono gli indici gestionali toccheranno i livelli massimi dell'intero lotto di aziende considerate, mentre quelli sulla redditività patrimoniale raggiungeranno comunque dimensioni accettabili.

2. TIPOLOGIE DI CRITERI ESTIMATIVI
Prima di riportare la relazione estimativa vera e propria si ritiene necessario indicare i criteri comunemente utilizzati dagli esperti, precisandone le caratteristiche fondamentali e illustrando le motivazioni che hanno condotto alla scelta effettuata.
La tecnica delle valutazioni aziendali ha progressivamente affinato, nel corso degli anni, un'ampia serie di metodologie, di volta in volta adottabili anche a seconda di elementi quali:


· la tipologia dell'azienda e del mercato in cui opera
· la quantità e qualità di dati aziendali disponibili
· l'esistenza o meno di imprese concorrenti concretamente comparabili
· la situazione attuale del ciclo di vita dell'azienda e le sue prospettive future.


Volendo procedere a una sintetica classificazione delle varie categorie di criteri valutativi, si possono distinguere le tipologie qui di seguito analizzate.


1. Metodi patrimoniali
I metodi patrimoniali si fondano sull'elencazione e valutazione puntuale di tutti i beni posseduti dall'azienda. Il valore dell'azienda risulta pari al capitale netto, ossia la differenza fra attività e passività.
Questa tipologia estimativa risulta di immediata applicabilità, dal momento che ricalca la falsariga dello stato patrimoniale del bilancio aziendale (almeno per quanto concerne l'elencazione delle poste, se non per la determinazione dei rispettivi valori). Inoltre, l'adozione di questo metodo sembra rispondere direttamente all'obbligo espressamente richiesto dal Codice Civile di evidenziare la valutazione di ogni singolo bene posseduto dall'azienda. La coesistenza di questi due fattori ha reso i criteri patrimoniali quelli largamente più usati da parte dei periti stimatori.
In effetti, però, il concetto che un'azienda valga per quello che ha (anziché per quello che è o che potrebbe avere in futuro) è un assunto piuttosto antiquato, che interpreta l'impresa alla stregua di un fondo o di un qualsiasi altro "stock" di ricchezza stabile, anziché una struttura operativa in continua evoluzione. Ecco dunque che i criteri patrimoniali risultano particolarmente indicati per le holding, il cui valore è strettamente connesso ai pacchetti azionari detenuti, e in genere per tutte quelle società contraddistinte da un ammontare assai rilevante di attività e da bassi indici di turn-over (rapporto fatturato/attività); al contrario, tali criteri sono sempre meno efficaci man mano che ci si allontana da una simile configurazione aziendale. Traducendo questa considerazione in termini di settori economici, si potrebbe raccomandare una stima patrimoniale per società immobiliari o comunque caratterizzate da consistenti capitali fissi (ad es. stabilimenti industriali, grandi impianti, catene alberghiere in proprietà, etc.), o ancora dotate di magazzini cospicui (ad es. società che commercializzano beni durevoli, a lenta rotazione delle scorte); all'opposto, tale stima non sarebbe idonea a rappresentare negozi alimentari o rivenditori di generi deperibili, e lo stesso dicasi per tutte le aziende che non necessitano di elevati investimenti (ad es. società di servizi, imprese della new-economy, etc.).
Volendo approfondire le caratteristiche proprie dei metodi patrimoniali, è possibile operare le seguenti distinzioni:

· metodi patrimoniali semplici
nell'attivo patrimoniale, oltre alla liquidità e ai crediti, vengono incluse solo le immobilizzazioni materiali;

· metodi patrimoniali complessi di primo grado
oltre alle immobilizzazioni materiali si considerano pure quelle immateriali, ancorché non contabilizzate, purché risultino alienabili separatamente dal resto dell'azienda (e dunque dispongano di un valore autonomo di mercato);

· metodi patrimoniali complessi di secondo grado
vengono considerate anche tutte le immobilizzazioni immateriali, indipendentemente dall'alienabilità o meno delle stesse; in questo caso, infatti, il valore di un'azienda equivale alla sommatoria di tutti i beni, in quanto si suppone che ognuno di questi compartecipi al complesso della gestione e sia comunque utile, ancorché non vendibile isolatamente.

2. Metodi reddituali statici e patrimoniali misti
La tipologia dei metodi reddituali deriva da un principio completamente diverso rispetto a quello osservato per il metodo patrimoniale. Assume infatti preminenza non più il concetto di quanto l'azienda ha, bensì di quanto potrebbe avere a seguito del prosieguo della propria attività. In questi termini diventa essenziale non il concetto di ricchezza, quanto piuttosto la capacità di produrre reddito. Trattandosi della valutazione di un'impresa, che proprio nella produzione di un reddito trova la sua finalità giuridica, costitutiva e operativa, un simile approccio sembra peraltro più coerente. Inoltre questa metodologia consente di sviluppare un'analisi operativa ed economica dell'azienda, particolarmente interessante per calarsi nella mentalità dell'ipotetico acquirente-imprenditore, ripercorrendone i suoi stessi meccanismi valutativi.
I risultati che emergono da questa stima possono essere assunti a vari livelli. Qui di seguito si specificano per l'appunto tali livelli:

+ RICAVI TOTALI
- COSTI TOTALI
= Margine Contributivo è ATTIVO PATRIMONIALE

- AMMORTAMENTI/ACCANTONAMENTI
= Risultato Caratteristico è ATTIVO PATRIMONIALE

+ PROVENTI/ONERI FINANZIARI
= Utile Lordo è PATRIMONIO NETTO

- IMPOSTE DIRETTE
= Utile Netto è PATRIMONIO NETTO

In ragione delle specifiche caratteristiche di ogni singola azienda, può rivelarsi più o meno significativo ciascuno dei precedenti parametri.
Una volta calcolati i suddetti parametri, è possibile derivarne le stime in termini di valor capitale, applicando i più opportuni tassi di capitalizzazione (cioè i saggi di redditività attesa): nel caso di margine contributivo e risultato caratteristico, l'applicazione del tasso permette di determinare l'ammontare dell'intero attivo patrimoniale, mentre dall'utile lordo/netto si deriva direttamente la stima del patrimonio netto.
Il criterio reddituale può anche essere concepito quale integrazione del metodo patrimoniale, dando in tal modo origine al cosiddetto metodo patrimoniale misto.
In questo caso il processo risulta l'inverso di quello appena illustrato. Anziché capitalizzare il risultato economico per giungere alla stima di importi patrimoniali, si verificano i valori cui si è pervenuti tramite la stima patrimoniale. Obiettivo di questa verifica è comprendere se il complesso dei beni aziendali (che sono stati valutati individualmente per stimare il patrimonio netto) sia in grado di conseguire una redditività tale da giustificarne il valore patrimoniale. Pertanto si applicano a tale valore i tassi di redditività attesa e si confrontano gli esiti con i risultati economici summenzionati (margine contributivo, risultato caratteristico, utile). Dal confronto possono scaturire sovraredditi o minusredditi, a seguito dei quali si provvederà a rettificare le stime patrimoniali, computando i necessari plusvalori o minusvalori. La determinazione di queste rettifiche avviene tramite ripetizione negli anni dei differenziali di reddito e attualizzazione di tali importi. In merito, un fattore condizionante è rappresentato dal numero di anni per i quali si presume prosegua la situazione di sovrareddito o minusreddito. Tale opzione costituisce uno degli elementi basilari sottoposti alla discrezionalità del perito: ipotizzare un numero di anni troppo basso rischia di "appiattire" la stima sul valore patrimoniale, minimizzando l'influsso dell'aspetto reddituale, mentre la previsione di un periodo troppo lungo comporta l'effetto opposto. E' poi intuitivo che, nel caso di sovrareddito, presumere un numero limitato di anni è norma di prudenzialità, mentre in presenza di minusreddito sarebbe più cautelativo prolungarne gli effetti per un periodo abbastanza duraturo.

3. Metodi fondati sui flussi
I criteri che si basano sulla prefigurazione di flussi futuri spostano l'orizzonte cronologico della stima dal presente (proprio dei metodi patrimoniali e reddituali statici) al futuro; al tempo stesso, la tipologia di valori considerati viene traslata dal novero degli importi certi (spesso addirittura contabilizzati) a quello dei valori potenziali.
In quest'ottica, il campo di osservazione del perito muta profondamente, e perfino le competenze richieste sono diverse. Mentre per il metodo patrimoniale è necessaria la capacità di una stima autonoma dei beni (ad es. il singolo immobile, il singolo impianto, etc.), nei metodi fondati sui flussi diventa prioritaria l'attitudine verso la costruzione di un modello aziendale e la prefigurazione dei risultati futuri conseguibili dallo sviluppo di questo.
In termini più generali, la stima si sposta da un approccio statico (ossia la valutazione di un determinato bene in uno specifico momento) ad uno dinamico (individuare cioè come muteranno negli anni le condizioni di funzionamento e le risultanze economiche di un processo imprenditoriale). Risulta perciò necessario che il perito abbia dimestichezza con una serie di supporti tecnici quali ad esempio:

· strumenti previsionali atti a definire le condizioni del sistema macroeconomico all'interno del quale verrà proiettato il modello;
· strumenti di marketing strategico per l'analisi del "business" (settore economico) e per la valutazione degli scenari competitivi e delle relative evoluzioni (rapporto offerta/domanda, concorrenza, clientela, etc.);
· strumenti di matematica finanziaria per l'apprezzamento delle disparità temporali e l'equalizzazione dei flussi previsti;
· strumenti tecnici per l'analisi del rischio e per l'assunzione delle decisioni in condizioni di incertezza.

Quanto all'appropriatezza e attendibilità dei modelli fondati sui flussi, questi sono gli unici che, in termini strettamente tecnici, siano davvero in grado di rappresentare un concetto di "valore aziendale". Sfortunatamente, il loro pregio principale (la capacità di riprodurre i risultati prevedibili nel corso degli anni futuri) si rivela al tempo stesso il loro punto debole, dal momento che comporta l'insorgere di incertezze che una valutazione puntuale al tempo zero non implica. Inoltre, aumentando la complessità della fase valutativa e il numero di variabili da stimare, aumentano di pari passo anche le decisioni facenti capo al perito, dunque il suo grado di discrezionalità. E' allora ancor più essenziale che la metodologia della perizia garantisca, in ogni sua fase, il rispetto delle quattro caratteristiche fondamentali che devono contraddistinguere la stima peritale, vale a dire:

· razionalità,
intesa come la capacità di sviluppare la perizia secondo uno schema logico consequenziale, che non preveda alcuna discontinuità nel ragionamento e nel processo valutativo;
· dimostrabilità,
nel senso che l'intera stima deve essere fondata su dati oggettivi e riscontrabili;
· neutralità,
cioè la caratteristica della stima di non dipendere da singole decisioni arbitrarie o non generalizzabili;
· stabilità,
ossia la proprietà della stima di rimanere invariata e consistente nel tempo, senza subire distorsioni connesse agli scenari economici prefigurati dal modello.

Per trasformare un'analisi prospettica di flussi annuali in una valutazione unitaria, è necessario definire un tasso di attualizzazione di tali flussi. Le tecniche per la determinazione del tasso verranno approfondite più avanti, nell'ambito della relazione peritale. Alla sommatoria dei flussi attualizzati occorre aggiungere il cosiddetto valore "finale" o "di uscita" (anch'esso attualizzato), che rappresenta il valore che l'azienda potrà presumibilmente avere al termine del periodo considerato: in molti casi, tale valore è stimato immaginando una proiezione all'infinito dell'ultimo flusso a regime, dunque capitalizzandolo al tasso di redditività attesa.
Un altro fattore essenziale di questa metodologia è rappresentato dalla durata della simulazione dinamica: la dottrina suggerisce di non prolungare eccessivamente tale durata considerato che, oltre un certo numero di anni, le previsioni economiche e la stima dei ricavi e dei costi aziendali tendono a perdere significatività. D'altro canto, tempi troppo concentrati non permettono di rappresentare correttamente l'evoluzione dell'impresa e dei flussi che ne conseguono. In definitiva, il periodo che solitamente viene suggerito quale corretto periodo di proiezione dinamica è compreso fra i dieci e i venti anni.
I criteri basati sulla prefigurazione di flussi futuri, e in particolare quello finanziario sono profondamente radicati da anni nella metodologia anglosassone. Nel nostro paese, e parzialmente anche in Germania, invece, si è registrata per anni una prevalenza dei criteri di natura patrimoniale, qualche volta integrati da un approccio di taglio reddituale, quale fattore correttivo della prima stima. Sebbene negli ultimi tempi si rilevi qualche lieve cambiamento, la complessità della metodologia "per flussi" e la limitata conoscenza dello strumento fanno sì che tale criterio venga utilizzato per lo più dagli istituti finanziari e dalle grandi società di consulenza, mentre i professionisti continuano a privilegiare la stima patrimoniale.
I metodi fondati sui flussi possono riferirsi a valori reddituali o finanziari.

3.a. Metodi reddituali dinamici
Il metodo reddituale dinamico consiste nel prefigurare, per gli anni a venire, l'ammontare complessivo dei ricavi e dei costi, quindi dei risultati economici che ne conseguono. Tali risultati devono essere opportunamente attualizzati, allo scopo di pesare in modo adeguato gli importi più lontani nel tempo rispetto a quelli più vicini.

3.b. Metodi finanziari
E' più probabile che un'analisi dinamica fondata sui flussi focalizzi la propria attenzione su importi di natura finanziaria, anziché sui risultati economici. Proprio l'analisi dei flussi di cassa attualizzati (o D.C.F., Discounted Cash Flows) costituisce il riferimento essenziale adottato da finanziarie, merchant-bank e società di consulenza per effettuare la valutazione degli investimenti. Questa metodologia, infatti, è quella preferita dagli investitori "puri" che, a differenza degli imprenditori, non sono interessati ai risultati operativi ed economici dell'azienda, ma esclusivamente alla redditività del capitale investito nella specifica operazione.

4. Metodi sintetici
Tutti i criteri osservati fino a questo punto sono classificabili come "analitici", in quanto presuppongono una disamina dettagliata delle componenti aziendali. Al contrario, esistono anche criteri definiti "sintetici", in quanto cercano di fornire una stima del valore aziendale strutturata esclusivamente sulla base di rapporti parametrici.
Per consentire l'impostazione di tali rapporti, è necessario in primo luogo individuare alcune società "comparabili", aventi cioè caratteristiche affini a quella in esame. Gli elementi da prendere in considerazione per valutare l'effettivo grado di comparabilità fra due differenti aziende sono:

· l'appartenenza al medesimo settore economico
· il mix produttivo
· le dimensioni
· la distribuzione territoriale
· la segmentazione della clientela
· la strategia di marketing e l'immagine consolidata
· la tipologia organizzativa
· eventuali fattori-chiave competitivi
· la struttura finanziaria

Considerato poi che il fattore che quasi sempre ricorre nella determinazione dei suddetti parametri è rappresentato dal prezzo di vendita delle azioni, un fattore essenziale per determinare la comparabilità o meno di due aziende diventa la modalità di formazione di tale prezzo. E' evidente che un prezzo azionario di Borsa ha un significato diverso rispetto a quello derivante da una trattativa di compravendita societaria, e quest'ultimo assume dimensioni differenti a seconda del fatto che sia trasferita l'intera azienda, il pacchetto di maggioranza, o una quota minoritaria. E' inoltre importante riconoscere (e quantificare separatamente) eventuali condizioni particolari che possono avere indotto una distorsione del prezzo di una compravendita aziendale (o di singoli pacchetti azionari), sia verso l'alto (ad es.perché l'acquirente ha attribuito una particolare rilevanza strategica all'acquisizione di questa impresa, e dunque è stato disponibile a riconoscere un sovrapprezzo), sia verso il basso (ad es. perché il venditore si trovava in uno stato di difficoltà, riferibile all'azienda compravenduta, oppure a un gruppo societario, o addirittura di natura personale): in tali eventualità, infatti, il valore della compravendita potrebbe non risultare significativo nel momento in cui venissero meno le condizioni distorsive. E una corretta stima peritale deve ovviamente prescindere dall'individuazione di valori-limite connessi a situazioni particolari, ponendosi come obiettivo la determinazione di un valore oggettivamente valido, riferendosi a figure di venditori e acquirenti "tipo" e prescindendo da casi specifici.
Dopo aver individuato una o più società comparabili a quella in esame, è ovviamente necessario, per ognuna di queste, disporre dei principali dati di bilancio, nonché di ulteriori informazioni integrative. Fra queste, come detto, deve sempre esserci il prezzo di compravendita azionario; in mancanza di questo, è possibile la creazione e il calcolo di parametri trasversali comunque utili per confronti interaziendali, ma nessuno di questi porterà alla quantificazione automatica di una stima del valore aziendale.

4.a Multipli dei prezzi di mercato
Il metodo sintetico più diffuso è quello fondato sui multipli dei prezzi di mercato. Tale metodo è sostanzialmente esprimibile con una semplice proporzione, del tipo

PA : KA = PB : K

ossia, il rapporto fra il prezzo e un certo parametro K nell'azienda A si suppone uguale a quello riscontrabile nell'azienda B. Di conseguenza, essendo noti sia il prezzo che un parametro K della società comparabile, è sufficiente calcolare l'analogo parametro dal bilancio dell'azienda in esame per poterne desumere una stima del prezzo, ossia del patrimonio netto. Per quanto concerne il parametro K, questo può essere uno fra quelli già osservati in precedenza; qui di seguito si riporta un elenco il più possibile esaustivo, integrandolo con l'indicazione dei corrispondenti termini in inglese (sovente utilizzati dagli esperti delle valutazioni).

· Vendite è Sales (S)
· Margine Contributivo è Earnings Before Interests, Taxes,Depreciations, Amortments (EBITDA)
· Risultato Caratteristico è Earnings Before Interests & Taxes (EBIT)
· Utile Lordo è Earnings Before Taxes (EBT)
· Utile Netto è Earnings (E)
· Flusso di Cassa è Cash Flow (CF)

Fra tutti questi parametri il più utilizzato è quello dell'Utile Netto, in quanto espressione diretta della redditività conseguita dagli azionisti. E' evidente che più ci si allontana da tale parametro, minore diventa l'importanza dei fattori accessori quali la gestione finanziaria e fiscale, la politica degli ammortamenti e degli accantonamenti, etc.
I metodi basati sui multipli del prezzo di mercato sono oramai largamente diffusi nel settore degli analisti finanziari, e nei paesi anglosassoni vengono utilizzati comunemente anche dai valutatori aziendali. Certamente di facile applicazione, trovano il loro limite più significativo nel momento in cui si deve considerare perfettamente "comparabile" un'azienda che, per quanto simile a quella in esame, non è mai perfettamente identica: risulta dunque scarsamente attendibile supporre che il prezzo generatosi in una o più circostanze possa ripetersi in termini esattamente uguali in una situazione analoga, ma non coincidente.

4.b Ulteriori rapporti parametrici
In alcuni casi, la prassi consolidata consente agli esperti di singoli settori di determinare alcuni indici parametrici che suggeriscono potenziali valori d'azienda in ragione di alcune specifici aspetti gestionali (ad es. numero di clienti, quantità di prodotto venduta, numero dei punti vendita inseriti nella rete distributiva, etc.). In casi "spiccioli" (commercio al dettaglio) si giunge all'induzione di valori aziendali basandosi su elementi che potrebbero parere assolutamente parziali e incompleti (ad es. un bar è stimato per il numero dei caffè preparati, un ristorante per il numero di tovaglioli utilizzati, etc.). Il livello di consolidamento di questi parametri è testimoniato dal fatto che alcuni di loro sono stati adottati dal Ministero delle Finanze per l'espletamento degli accertamenti induttivi. L'utilizzo in sede di valutazione aziendale ne risulta una logica conseguenza: il parametro consente di stimare il fatturato, dunque il reddito annuo, dunque il valore dell'impresa.
Venendo al settore oggetto della presente perizia, un parametro tratto da un altro mercato (quello britannico) in cui la distribuzione dell'acqua sembra avere raggiunto caratteristiche oramai "stabilizzate" indica un valore aziendale di circa 80.€ per ogni abitante della zona servita: tale importo rappresenta peraltro una media, stimandosi una fascia di oscillazione fra i 60.€ e i 100.€, a seconda delle caratteristiche intrinseche dell'azienda in questione.

3. I CRITERI di STIMA ADOTTATI
Dopo avere illustrato a grandi linee le varie tipologie di criteri estimativi esistenti, si specificano in questo capitolo le metodologie che sono state prescelte per l'espletamento della presente perizia, descrivendo al tempo stesso le motivazioni che hanno guidato un simile orientamento.
La scelta del criterio di stima è un momento essenziale dell'attività peritale. Considerate le caratteristiche assai differenti che contraddistinguono le diverse metodologie, infatti, è intuitivo che ogni criterio tende a enfatizzare alcuni elementi del valore aziendale, contenendo la rilevanza di altri. Anche per questa ragione, è buona norma non limitarsi ad applicare un unico metodo, ma effettuare un'analisi a più ampio spettro, che adotti una pluralità di strumenti: la stima definitiva potrà scaturire solamente a seguito del confronto fra i risultati ottenuti con ognuno di questi.
La procedura di svolgimento di tale confronto, tuttavia, richiede un ulteriore chiarimento. Non si può infatti ridurre questa fase conclusiva della perizia alla derivazione di una mera media matematica fra i diversi risultati raggiunti. E' più corretto, in questi casi, fare riferimento a un concetto di "riconciliazione" dei valori, ossia a un processo razionale e oggettivo che proceda a un'analisi comparativa dei risultati suddetti e, seguendo un filo logico che deve essere chiaramente illustrato e motivato, giunga alla determinazione della stima conclusiva.

· Criteri di stima in ragione delle tipologie di potenziali acquirenti
Un'altra regola da tenere presente nella selezione di uno o più criteri valutativi discende direttamente da un approccio basilare delle analisi di mercato: il processo di individuazione, ponderazione e segmentazione dei potenziali acquirenti. E' infatti risaputo che ogni singolo criterio, stanti le sue peculiarità, tende a rappresentare in modo particolare gli schemi operativi e valutativi di una specifica categoria di acquirenti, piuttosto che di altri. Nel caso di una valutazione aziendale:

· una stima patrimoniale sembra particolarmente idonea a rappresentare le esigenze della holding di un gruppo industriale, sensibile prevalentemente al livello delle immobilizzazioni e delle attività patrimoniali (è peraltro indubbio che tale soggetto risulti interessato anche agli aspetti di natura reddituale);
· una stima reddituale (o patrimoniale mista) analizza soprattutto i risultati operativi e gestionali, affini alla logica propria dell'imprenditore; questa tipologia di valutazione è quella che guida anche eventuali alti dirigenti interessati ad operazioni di management-buy-out;
· una stima derivata da flussi pluriennali, in particolare finanziari, rappresenta il punto di osservazione del possibile acquirente-investitore; tale genere di stima, inoltre, è omologo alle valutazioni usualmente effettuate da holding finanziarie e da quelle società (ad es. banche d'affari) che rilevano aziende o pacchetti azionari per favorirne uno sviluppo o facilitarne il collocamento sul mercato;
· una stima fondata sui multipli è propria delle società di investimento e intermediazione finanziaria interessate all'acquisizione di piccole quote azionarie, da distribuire nell'ambito di un paniere più ampio di titoli mobiliari (le ridotte dimensioni degli investimenti e la limitata permanenza nel patrimonio di queste quote - finalizzate a un rapido capital gain - renderebbero troppo onerosa e impegnativa l'elaborazione di analisi più dettagliate).

Alla luce dell'attuale situazione del settore delle acque potabili nel nostro paese, è fondatamente presumibile che un'azienda come quella in esame potrebbe interessare, in via prioritaria, grandi società o raggruppamenti industriali attivi nel settore, intenzionati a "entrare" nel mercato locale tramite l'acquisizione di una struttura già consolidata. Solamente in via subordinata potrebbe configurarsi l'ipotesi di un intervento da parte di un investitore (o un gruppo di investitori, ad esempio una cordata di imprenditori locali, interessati a diversificare pro-quota le proprie attività).
Una riflessione più approfondita merita l'eventualità di un'acquisizione ad opera di holding finanziarie, o di investitori pro-tempore (ad es. banche di affari). Da un lato, infatti, questo genere di operatori sarebbe particolarmente indicato per "traghettare" verso una gestione interamente privatistica un'azienda che, a seguito del passaggio da azienda speciale a società per azioni, dovrebbe essere in grado di sviluppare un potenziale miglioramento dei propri risultati operativi ed economici. Una simile operazione potrebbe avere una durata limitata, coincidente col periodo necessario per lo "start-up" della nuova società e il conseguimento, da parte di questa, di una situazione gestionale a regime, caratterizzata da una redditività soddisfacente e stabile. Al tempo stesso, però, occorre rimarcare il fatto che, nel settore in oggetto, il processo di privatizzazione sia ancora in fase embrionale, ragion per cui le categorie di operatori summenzionate (holding finanziarie e banche di affari) potrebbero non essere preparate/interessate a intervenire in un comparto in cui il contesto competitivo risulti tanto recente (e dunque il dimensionamento di indici parametrici, risultati economico/finanziari e livelli di rischio potrebbe rivelarsi incerto). A parziale conferma di questa seconda ipotesi occorre sottolineare il fatto che la società dispone già oggi di mutui a condizioni particolarmente favorevoli, per cui un'eventuale ipotesi di rilancio aziendale dovrebbe prescindere da quegli interventi di ristrutturazione del debito che spesso, al contrario, rappresentano uno dei punti di forza degli operatori di cui sopra.
In considerazione delle varie figure operative potenzialmente interessate all'acquisizione della società, ed anche allo scopo di perfezionare la significatività della stima, si è deciso di ricorrere a una pluralità di criteri valutativi, che verranno illustrati nelle prossime pagine.
In primo luogo, è opportuno focalizzare nuovamente l'attenzione sulla suddivisione dell'attività aziendale nei singoli rami aziendali che la compongono:

· Acquedotto
· Laboratorio
· Fognature
· Gestione Calore

Considerando congiuntamente i tre primi rami (Acquedotto, Laboratorio e Fognature) si individua un'unica attività, denominabile Gestione Idrica Integrata, che rappresenta il core-business dell'azienda: e proprio su questa si concentrerà la valutazione peritale.

La stima del ramo aziendale "Gestione Calore"
Per quanto concerne il ramo della Gestione Calore, occorre evidenziare che:

- trattasi di un'attività assolutamente marginale, sia per dimensioni, sia per caratteristiche gestionali, non presentando alcuna interazione concreta con i rami idrici;
- la determinazione del conto economico non presenta incertezze particolari, né può essere un corretto parametro valutativo, dal momento che il Comune, a fronte di questo servizio, riconosce all'azienda tutti i costi vivi; ne consegue che l'unico elemento di indeterminatezza economica sarebbe rappresentato dalle spese indirette e dal grado di recupero delle stesse;
- il contratto in essere col Comune scade nel corso del 2003 e non prevede alcuna forma di impegno reciproco circa un possibile rinnovo o prolungamento.

A seguito di queste condizioni si ritiene corretto valutare il ramo aziendale della Gestione Calore in forma autonoma, tramite il solo criterio patrimoniale corretto da un'unica annualità di reddito, prevedendosi la conclusione del ramo di attività entro il 2003.

Le metodologie estimative
1. Metodo patrimoniale-reddituale a valori nominali
Questa prima valutazione è stata condotta con riferimento all'intero settore della Gestione Idrica Integrata, unitariamente considerato.
In una prima fase, il valore aziendale è pari al patrimonio netto, ottenuto dalla differenza fra il totale delle attività e quello delle passività. Le poste (sia attive che passive) vengono conteggiate ai loro valori nominali, che sono stati preventivamente valutati in sede di perizia tecnica.
Successivamente, si verificano i livelli di redditività connessi all'ammontare stimato delle attività e/o del patrimonio netto confrontandoli coi risultati operativi ed economici derivanti dall'analisi reddituale: in tal modo si individuano eventuali sovraredditi o minusredditi che sono alla base del processo di rettifica della stima patrimoniale.
La stima dei risultati operativi ed economici è fondata sul budget aziendale triennale, opportunamente verificato e revisionato dal perito.

2. Metodo patrimoniale-reddituale a valori rettificati
Il criterio metodologico (patrimoniale-reddituale) è perfettamente identico al precedente. Differente, però, è la modalità con cui vengono stimate le singole poste dello stato patrimoniale. Nello specifico, sono soprattutto due le diversità adottate nell'approccio valutativo, una relativa ai crediti/debiti monetari, l'altra inerente i beni demaniali in concessione.
Per quanto riguarda i crediti e i debiti monetari, il loro importo nominale viene attualizzato, ipotizzando il lasso di tempo intercorrente fra la data di riferimento della stima e il presumibile momento del pagamento.
La stima dei beni acquedottistici e fognari ricevuti in concessione dal Comune, inseriti nell'attivo patrimoniale fra le immobilizzazioni immateriali, richiede un ragionamento più ampio e complesso, che verrà più diffusamente illustrato nell'espletamento della perizia. Nella valutazione precedente, questa categoria di beni è stata stimata in termini tecnici, secondo una modalità in gran parte analoga a quella adottata per le immobilizzazioni materiali. In questa seconda valutazione, si focalizza l'attenzione sul fatto che tali cespiti non sono di proprietà aziendale: conseguentemente, la loro stima non è più basata sul valore capitale, bensì sulla loro disponibilità per il periodo della concessione, equiparabile a una sorta di canone di locazione trentennale.
L'approccio appena descritto per la stima dei beni in concessione (basato sul valor d'uso anziché sul valor capitale) implica un'analisi più puntuale dei singoli rami d'azienda, allo scopo di stabilire, di volta in volta, in quale misura sia iscrivibile nell'attivo patrimoniale l'importo in tal modo determinato. Ne consegue che, anziché una valutazione unitaria dell'intera Gestione Idrica Integrata, siano considerate separatamente le funzioni Acquedotto, Laboratorio e Fognature.
Anche in questo caso, la stima dei risultati operativi ed economici è fondata sul budget aziendale triennale, opportunamente verificato e revisionato dal perito.

3. Metodo dell'attualizzazione dei flussi di cassa futuri (DCF)
E' stata elaborata una simulazione economico-finanziaria riferita all'intero arco della concessione (dal 1° gennaio 2002 al 31 agosto 2031) e fondata sulla costruzione di un modello che deriva dalla composizione di alcuni fattori:
- evoluzione dello scenario macroeconomico prefigurata dal perito;
- evoluzione settoriale (acque potabili) prefigurata dal perito;
- mantenimento dell'attuale impostazione operativa e gestionale dell'Azienda, e della relativa struttura tipologica di costi/ricavi;
- individuazione, da parte del perito, dei margini di miglioramento dell'attività gestionale, in particolar modo per quanto concerne possibili misure per il contenimento dei costi;
- ipotizzazione, ad opera del perito, delle condizioni e dei tempi secondo cui le obbligazioni attive/passive nei confronti di terzi rilevate dalla situazione patrimoniale si traslano gradualmente nella simulazione economico-finanziaria.
La situazione patrimoniale da cui prende l'avvio l'intera simulazione è quella dell'ultimo bilancio approvato, datata al 31.12.2001.

4. Metodo dei multipli parametrici
Ai fini della valutazione in corso, questo metodo non sembra altrettanto attendibile dei precedenti, essenzialmente a causa delle seguenti motivazioni:

· non è agevole rintracciare aziende che siano perfettamente comparabili a quella in esame e per le quali siano noti tutti i dati contabili e soprattutto i prezzi di compravendita;
· questa metodologia, di natura sintetica, può essere valida quando si intende valutare acquisti parziali o di secondaria importanza; gli obiettivi connessi all'espletamento della presente perizia giurata, invece, richiedono un approccio più completo e analitico;
· la disamina generale del mercato riprodotta in precedenza ha evidenziato come la tipologia di potenziali acquirenti che presentano maggiore dimestichezza con questo criterio estimativo - vale a dire società finanziarie e di investimento mobiliare - non sembri essere fra quelle maggiormente interessate a una società aventi le caratteristiche di quella in esame.

A seguito di tali considerazioni, si è ritenuto opportuno utilizzare questo metodo non come un criterio prioritario, ma piuttosto quale strumento di verifica delle stime conseguite tramite le metodologie precedentemente riportate. Inoltre, considerate le difficoltà incontrate nel reperimento dei prezzi di compravendita aziendali, si è deciso di non limitare questa sezione della stima unicamente al metodo dei multipli dei prezzi di mercato, ma di estenderla anche ad altri parametri, in grado di fornire valutazioni indirette del valore del patrimonio aziendale.

 LA STIMA PATRIMONIALE

1. Individuazione dei rami aziendali e ripartizione delle poste di bilancio
Il riferimento di partenza è rappresentato dalla situazione patrimoniale redatta dall'ufficio amministrativo dell'azienda. Tutte le poste riportate all'interno di tale documento sono state verificate nelle consistenze e sottoposte a specifica stima analitica. Inoltre, al fine di contestualizzare la stima nel modo quanto più possibile dettagliato e puntuale, si è deciso di sezionare l'azienda in cinque rami specifici:

- Acquedotto
- Laboratorio
- Fognature
- Gestione Calore

Sia gli importi patrimoniali che quelli afferenti il conto economico sono stati suddivisi fra questi cinque rami, in modo tale che ad ogni singola attività aziendale siano associabili attività e passività patrimoniali, costi e ricavi. In altre parole, per ciascuno dei suddetti rami viene redatto un vero e proprio bilancio sintetico, necessario per determinarne sia lo stato patrimoniale che le risultanze reddituali.
Ovviamente, la summenzionata ripartizione non ha incontrato ostacoli per tutte quelle poste specificamente attribuibili a un'unica attività (ad es. l'acquisto di acqua afferisce esclusivamente il ramo "Acquedotto", la dotazione di macchinari per analisi concerne il ramo "Laboratorio", etc.). Viceversa, alcune difficoltà potrebbero insorgere per la classificazione delle voci che si riferiscono contemporaneamente a più rami aziendali. In questi casi, si è adottato uno schema di suddivisione. Per la classificazione delle tipologie di voci e la determinazione delle percentuali di ripartizione ci si è attenuti alle indicazioni trasmesse dai responsabili aziendali; dette percentuali sono state utilizzate sia per la suddivisione delle poste di natura patrimoniale che per quella dei costi indiretti.

· Importi di natura tecnica
Comprendono tutte quelle voci strettamente connesse alla gestione delle reti, e che non sono direttamente riconducibili ad alcuna delle due specifiche attività (Acquedotto e Fognature).
- ACQUEDOTTO : 85%
- FOGNATURE : 15%

· Poste di livello generale
Si identificano con i costi indiretti e con le voci patrimoniali afferenti indistintamente tutti i rami aziendali. Di solito questi importi vengono ripartiti proporzionalmente ai ricavi di vendita, oppure suddividendo i tempi di utilizzazione del personale amministrativo o di determinati servizi comuni. Nel caso in oggetto, rispetto alla ripartizione individuata per i precedenti importi "tecnici", si è riscontrata una minore incidenza soprattutto del ramo "Fognature" (che risulta abbastanza significativo nella gestione delle reti, molto meno nella conduzione amministrativa). In definitiva, sono state adottate le seguenti percentuali:
- ACQUEDOTTO : 85%
- FOGNATURE : 10%
- LABORATORIO : 3%
- GESTIONE CALORE : 2%

· Poste di livello generale, parzialmente connesse a fattori tecnici
Includono quelle voci che, pur essendo generiche, è presumibile che siano in parte dipendenti dalla gestione dei due rami aziendali prioritari. E' il caso, ad esempio, della posta "Debiti verso fornitori" che comprende sia importi che sono stati originati a causa di spese generali, sia altri, determinati da costi tecnici. La ripartizione è dunque avvenuta mediando le precedenti due tabelle.
- ACQUEDOTTO : 85,0%
- FOGNATURE : 12,5%
- LABORATORIO : 2,5%
- GESTIONE CALORE : 1,0%

· Altre poste non raggruppabili
Esistono infine alcune voci che non rientrano in una specifica categoria, ma risultano connesse a singole situazioni gestionali o contrattuali (ad es. la suddivisione dei crediti verso clienti, la ripartizione di mutui bancari, etc.). in questi casi, talora è stato possibile individuare un riferimento certo, talaltra si è fatto ricorso all'adozione di percentuali standardizzate. In merito si rimanda alle singole poste, così come definite nel prosieguo della perizia.

I TASSI di INTERESSE e di REDDITIVITA'

1. La determinazione dei tassi di interesse e di redditività: finalità
Un fattore parimenti importante sia per l'analisi reddituale che per la redazione della simulazione economico-finanziaria è rappresentato dall'individuazione dei tassi di interesse e/o di redditività che si ritengono maggiormente idonei a configurare la situazione aziendale. La determinazione di questi tassi può adempiere svariate finalità:

a) determinare l'ammontare di un costo effettivo, in relazione alle diverse tipologie di debiti;
b) definire il livello di remunerazione congruo per l'imprenditore, da commisurarsi all'importo dei mezzi propri;
c) stabilire un meccanismo di equiparazione tra flussi di cassa che avvengono in differenti periodi temporali.

A seconda della differente finalità, varia di conseguenza anche l'approccio metodologico che è opportuno prevedere ai fini della determinazione del tasso.
In particolare, nel caso sub a), dovendosi quantificare un costo effettivo, si tratta per lo più di rilevare sul mercato bancario l'onerosità connessa alle diverse tipologie di finanziamento. Ovviamente, qualora esistano già contratti in corso fra l'azienda e soggetti terzi erogatori, si assumono i dati relativi ai medesimi.
Nel caso sub b), due possono essere gli approcci adottabili:

- da un lato, l'osservazione del settore in oggetto allo scopo di individuare parametri significativi di raffronto;
- in alternativa (o a supporto del metodo precedente), la definizione del cosiddetto "costo-opportunità", ossia dei mancati utili che l'imprenditore potrebbe conseguire nell'ipotesi in cui, anziche tenere il proprio capitale in azienda, optasse per altre forme di investimento; è evidente che questa seconda impostazione esula parzialmennte dalla specificità del settore in esame per andare a coinvolgere a più ampio spettro il complesso dei mercati mobiliari.

Quanto infine alle situazioni sub c), queste si prestano alle più svariate interpretazioni, come sarà meglio evidenziato in seguito. Sarebbero infatti ammissibili sia approcci fondati su costi effettivi, sia quelli basati sul concetto di "costo-opportunità". Nel corso della relazione, in varie circostanze, viene specificamente trattato e risolto questo problema, con diretta attinenza alla concreta tematica in esame.

2. Tipologie di tassi
Si possono distinguere alcune tipologie di tassi. Qui di seguito si confrontano le principali alternative.

· Tassi nominali e tassi reali
I tassi nominali sono quelli che si sentono abitualmente menzionare: tutti i tassi di riferimento (ad es. il costo della provvista bancaria, il rendimento di un titolo pubblico, di un'obbligazione o di un'azione, etc.) sono tassi nominali. I tassi nominali includono al proprio interno la componente inflazionistica, ossia una quota che serve a compensare la perdita di potere d'acquisto che la moneta subisce a causa dell'inflazione.
I tassi reali, invece, sono scevri da tale componente, per cui risultano uguali a quelli nominali, dedotto il saggio d'inflazione. La determinazione di tale saggio è di natura oggettiva, in quanto riscontrabile dai dati macroeconomici. Qualora però il periodo di utilizzo del tasso finanziario superi l'arco temporale del breve termine (due o tre anni), entra in gioco la sensibilità del valutatore, che deve essere in grado di determinare un saggio di inflazione a medio/lungo termine, che potrebbe anche differire da quello vigente. Questo, soprattutto nell'eventualità in cui il saggio inflattivo a breve sia particolarmente basso (o alto), e quindi sia fondatamente presumibile un suo innalzamento (o ribasso) dopo 24/36 mesi.
Osservata la distinzione fra tassi nominali e tassi reali, quale tipologia di tassi devono essere adottati in fase peritale? In merito, si riporta l'opinione di Guatri, op.cit.:

"In ogni caso va chiarito se il tasso debba intendersi al netto od al lordo dell'inflazione. Valgono in proposito le osservazioni già svolte in sede di esame del metodo reddituale. Il punto essenziale è la coerenza tra reddito e tasso, con riguardo all'attitudine del primo a sottrarsi all'inflazione: a redditi reali devono corrispondere tassi reali, a redditi nominali tassi nominali. Nelle condizioni intermedie, l'esperto deve cogliere la posizione nella quale il reddito in questione si pone tra i due estremi, per assumere un tasso congruente."

E' dunque fondamentale la coerenza fra la tipologia di dati in esame e la tipologia di tasso prescelto. Conseguentemente:

- per le verifiche reddituali, che sono effettuate sulla base di conti economici non sottoposti a inflazione (a valori costanti), si sono utilizzati tassi reali;
- per la simulazione economico-finanziaria trentennale, da cui discende l'analisi dei flussi di cassa, visto che tutti i dati di ricavi e di costi sono assoggettati a inflazione (valori correnti), si sono assunti tassi nominali.

· Tassi lordi e tassi netti
Con riferimento alla componente fiscale, si definiscono tassi lordi quelli che la includono e tassi netti quelli che ne sono già depurati.
L'ambito di applicazione più diffuso è quello riferito alla remunerazione dei mezzi propri: è evidente che, una volta stabilita la redditività netta che l'imprenditore si prefigge, la redditività lorda sarà più elevata della precedente, dal momento che da essa devono ancora essere detratte le imposte dirette. Nella fattispecie, considerato che l'IRAP ha modalità di determinazione piuttosto anomale e complesse (inserendo nell'imponibile non solo il reddito, ma anche alcuni costi non detraibili), si è deciso di includerla sempre fra i costi operativi aziendali, per cui l'unico elemento di differenziazione fra tassi lordi (rL) e netti (rN) è rappresentato dall'IRPEG. Poiché questa imposta è stata stimata nella misura del 34%, il rapporto che ne consegue è:

rN = rL x 66% , quindi rL = rN : 66%

Analogamente, anche nel trattamento dei tassi passivi, laddove i tassi lordi sono pari all'aliquota nominale (o reale, a seconda dei casi) del saggio d'interesse applicato, i tassi netti sono decurtati del 34%, conteggiando il recupero fiscale sull'ammontare degli interessi.

· Tassi fissi e tassi variabili
I tassi fissi restano costanti nel tempo, mentre quelli variabili, di norma, sono indicizzati, nel senso che si evolvono seguendo l'andamento di altri.
Le stime patrimoniali-reddituali, per la loro natura statica, sono caratterizzate esclusivamente da tassi fissi. Viceversa, l'analisi dei flussi di cassa si fonda interamente su un modello di generazione di una successione temporale di tassi, tutti interrelati fra loro, come sarà meglio descritto più avanti.

3. Quantificazione di alcuni tassi esterni di riferimento
Qui di seguito si riportano alcuni tassi macroeconomici, che servono quali riferimenti esterni alla costruzione dei tassi di remunerazione che sarà sviluppata nel prossimo capitolo.

- Euribor = 3,60%
- tassi correnti passivi = 6,50%
- tasso di inflazione a breve termine = 2,00%
- tasso di inflazione a medio-lungo termine = 2,50%
- aliquota IRPEG = 34%
- aliquota IRAP = 4,25%

4. Determinazione del tasso per la remunerazione dei mezzi propri
Si esaminano le procedure che hanno portato alla costruzione dei tassi fissi che vengono utilizzati per effettuare la verifica reddituale delle stime patrimoniali.

· La costruzione del C.A.P.M.
Una delle metodologie maggiormente adottate per la determinazione di un tasso di redditività è il C.A.P.M. (Capital Asset Pricing Model)
In termini di mera teoria economica, questo tasso è determinato dalla composizione di due distinti fattori:
- il rendimento lordo imposte per investimenti privi di rischio (titoli di Stato a lunga durata - circa 30 anni), simbolizzato Rf;
- il premio legato al rischio, a sua volta suddivisibile in due distinte componenti:
- il premio per il rischio derivante dal confronto fra il settore della gestione idrica e gli altri settori, simbolizzato Pi;
- il premio per il rischio afferente la specifica azienda, simbolizzato dalla lettera greca g .
La formula che determina il tasso di attualizzazione è pertanto la seguente:

r = Rf + Pi + g

con:

Pi = b x ( Rm - Rf )

dove:
b è il coefficiente del rischio sistematico del settore acque potabili;
Rm è il rendimento medio del mercato azionario.
Qui di seguito si esaminano tutte le singoli componenti della formula.

· Il rendimento degli investimenti privi di rischio (Rf)
Per la quantificazione del rendimento degli investimenti privi di rischio occorre riferirsi a titoli di Stato aventi una scadenza equiparabile alla durata presumibile dell'attività aziendale. In particolare, visto che la durata della concessione (e della simulazione economico-finanziaria) è trentennale, si è preso in considerazione il tasso fisso lordo dei Buoni Poliennali del Tesoro con scadenza posteriore all'anno 2025. Ne è derivato:
Rf = 5,60%.

· La maggiorazione per l'investimento azionario (Rm - Rf)
Per quanto concerne la differenza (Rm - Rf), ossia la maggiorazione per l'investimento azionario rispetto al tasso privo di rischio, si estraggono alcuni passi di Guatri, op.cit.:

"Una componente è sempre presente, con peso rilevante, in questa ricostruzione analitica: si tratta della cosiddetta "maggioranza per l'investimento azionario".

Questo fattore di rischio, nell'ampia esperienza americana che risale agli anni '20, viene comunemente definito tra il 5 ed il 7,5 %. La misura dipende dall'orizzonte temporale assunto a base di calcoli, come risulta anche dalla tabella e dal tipo di media usato.

Periodi

Premio per il rischio azionario in Usa
(media aritmetica)

20 anni (1977 - 96)

6,4 %

30 anni (1977 - 96)

4,9 %

40 anni (1977 - 96)

5,3 %

dal 1926

7,5 %

Per singoli anni si hanno escursioni ben più marcate, anche con valori negativi in alcuni anni. Proprio questa costatazione induce a non attribuire affidabilità ai dati di periodi brevi o medi: il periodo di 10-15 anni sembra il riferimento più ragionevole. Periodi più ampi stabilizzano bensì i valori: ma è evidente il confrontare dati non omogenei rispetto alla realtà odierna.
Sul piano operativo rimane il problema della misurazione della maggiorazione rispetto ai titoli di Stato a breve o a lungo termine, la natura, tipicamente a lungo termine, dell'investimento in aziende induce a propendere per la seconda soluzione. E' a nostro parere evidente che, trattando di valori di capitale, non ha molto significato il riferimento ad investimenti speculativi, e perciò a breve, riferiti a limitati pacchetti azionari: riferimento che potrebbe indurre alla scelta in senso opposto.
Nell'esperienza italiana la maggiorazione in discorso può essere stimata tra il 3,5% e il 5%.
Secondo nostri calcoli, la media aritmetica ponderata riferita agli anni '90, distinguendo il periodo 1990-91 dal successivo (nel 1992 avviene infatti il mutamento strutturale legato all'obbligo di concentrare in Borsa le quotazioni) è del 4,75 %. Sull'intero arco 1983-97 la media aritmentica ponderata è del 3,77 %.
Calcoli recenti della Comit indicano una misura del 4,13%, con un range fra il 3,5% e il 5%; calcoli del Credito Italiano una media aritmetica ponderata del 3,8% riferita al periodo 1984-96. Una grandezza spesso citata è quella della Banca d'Italia del 1994, pari al 3,5%.
A livello mondiale le misure variano dal 3,5% all'8,5 % come risulta dalla tabella, che esprime peraltro solo grandezze orientative."

Caratteristiche dei mercati

Premio sui titoli di Stato

Mercati emergenti con rischi politici (Sud America, Est Europa)

8,5%

Mercati emergenti (Messico, Paesi asiatici escluso il Giappone)

7,5%

Mercati sviluppati con numerose quotazioni (Usa, Giappone, Gran Bretagna)

5,5%

Mercati sviluppati con limitate quotazioni (Europa occidentale escluse Germania e Svizzera)

4,5% - 5,5%

Mercati sviluppati con limitate quotazioni ed economie stabili (Germania, Svizzera)

3,5% - 4,0%

Con riferimento alle varie percentuali definite nel testo appena riportato, si è deciso di optare per una soluzione intermedia, stimando:
( Rm - Rf ) = 4,0%

· Il coefficiente Beta per la determinazione del rischio medio di settore
Anche in questo caso sembra interessante menzionare quanto scritto da Guatri, op.cit.:

"Il punto focale del metodo è il coefficiente "beta". L'espressione tipica del CAPM (Capital Asset Pricing Model). Questo modello stabilisce che la "maggiorazione per il rischio azionario" (rm - r) vada moltipicata per il b di ogni specifica società, per misurare così i cosiddetti rischi "non diversificabili". Questi ultimi possono essere definiti partendo dall'assunto che l'investimento in azioni di una qualsiasi società quotata genera due tipi di rischio.Un primo tipo legato all'andamento della stessa società (come si comporteranno i suoi prodotti: manterranno od accresceranno a quota di mercato? saranno o non saranno remunerativi? quali risultati deriveranno dalla ricera in corso? e così via). Un secondo tipo di rischio è legato all'andamento generale dell'economia, che si ripercuote variamente sui vari settori e sulle aziende.
Il rischio del primo tipo può essere eliminato dai singoli investitori tramite la diversificazione del portafoglio; il secondo non può essere eliminato dalla diversificazione (è detto perciò rishio non diversificabile). Il coefficiente b sarebbe, appunto, una misura del rischio non diversificabile, che quindi non è riflesso dalla maggiorazione (media) per il rischio azionario. Valori di b >1 corrispondono com'è ben noto, ad alti rischi per il titolo considerato nel senso che esso eccede il rischio medio di mercato; valori di b < 1 hanno ovviamente il significato opposto. Le 500 società americane comprese nell'indice Standard and Poor's hanno nell'insieme, per definizione, b = 1. Così come in qualsiasi mercato il campione di società rappresentativo assume b = 1. Recenti studi hanno messo in luce che il coefficiente b è funzione primaria di un numero limitato di variabili. Purtroppo la maggior parte di queste variabili ha natura qualitativa , e quindi consente scarse possibilità previsive puntuali sull'andamento futuro del b di un titolo. Le variabili fondamentali sarebbero (i segni + e - indicano se l'influsso sul b è positivo o negativo):
- la dimensione dell'impresa(-);
- la ciclicità del settore (+);
- le prospettive di crescita (+);
- il grado di "leva operativa" (peso dei costi fissi) (+);
- il grado di internazionalizzazione (+);
- il grado di diversificazione (-);
- il grado di leva finanziario (+).
Oltre che ai "beta" storici, crescente attenzione viene dedicata dagli analisti e da pubblicazioni specailizzate ai "beta" prospettici: in Usa gli studi empirici si sono ampliamente sviluppati a partire dai primi anni '70. Questo completamento informativo è rilevante, poichè i tassi alla cui misura concorrono i "beta" sono strumenti per l'attualizzazione dei flussi futuri.
Secondo l'amplissima esperienza americana, i "beta" prospettici sono più concentrati attorno al valore unitario: ben il 90% dei "beta" prospettici è compreso tra i valori 0,5 e 1,5; mentre in tale intervallo è compreso solo il 51% dei "beta" storici.
La distribuzione dei "beta" storici sul mercato italiano mette in evidenza una maggiore concentrazione dei valori, con tre picchi di frequenza ed una media inferiore alle esperienze internazinali.
Come si è detto, i valori "beta" sono oggetto di continui calcoli e di pubblicazioni da parte di Merchant Bank e di altri operatori specializzati, con riferimento a numerose aziende quotate ed a settori di attività, in tal modo anche se l'azienda in oggetto di stima non è quotata (o se la quotazione non è significativi), è possibile il riferimento ai "beta" di aziende similari. In Europa quest'ultima è spesso la via seguita.
Un primo passo, nel riferimento ai "beta" di società similari, è l'addozione dei "beta" settoriali, come ragionevole approssimazione delle stime. Questo comportamento si fonda sull'ipotesi che almeno nel medio termine il grado di rischio di ogni impresa converga sulla media del settore. Ma, com'è ovvio, si tratta di una grossolana approssimazione.
Ciò non toglie l'utilità, a titolo di ricontro, dei "beta" settoriali, che infatti a questo fine sono largamente usati.
Un modo più significativo ed attendibile per dedurre il "beta"di un'impresa da società similari consiste nel tenere appropriatamente conto del divario tra il rischio finanziario medio delle società -campione ed il rischio dell'impresa specifica.
Il campione comparabile dev'essere innanzitutto costituito da società abbastanza omogenee tra di loro (nell'aspetto della dimensione, del grado di integrazione, nella composizione delle vendite, ecc.).
In secondo luogo il dato medio del campione va corretto per tenere conto dello specifico leverage dell'azienda da valutare."

Nel testo del Guatri sono altresì riportati i "beta" di settore riferiti a vari comparti di attività economiche. Per quanto concerne il settore della "Produzione e distribuzione acqua", non sono disponibili stime riferite all'Italia, mentre viene riportato un coefficiente molto alto per quanto concerne la Francia (1,12), decisamente contenuto per gli U.S.A. (0,62) e il Regno Unito (0,50). Interpellati sul tema alcuni esperti del settore, ebbero modo di riferire a chi scrive che il mercato francese dell'acqua risulta ancora fortemente polverizzato e scarsamente normato. Viceversa, nel Regno Unito già da anni esiste una suddivisione zonale consolidata, che consente una presenza più radicata e gestionalmente meno incerta degli operatori. La situazione italiana, fino a poco tempo fa simile a quella francese, sta evolvendo rapidamente verso una configurazione molto più simile a quella britannica, se non altro per l'introduzione della normativa che istituisce i bacini idrici integrati.
Passando da un approccio di natura settoriale a un altro esclusivamente finanziario, allo scopo di calcolare con appropriatezza la misura del coefficiente b per la determinazione del rischio medio di settore, si è osservato l'andamento dei mercati borsistici italiani nel corso dell'ultimo quinquennio (1998/2002). All'interno del listino si sono individuati tre titoli relativi a società che svolgono esclusivamente attività di gestione idrica, senza alcuna commistione con altri settori (come ad esempio la distribuzione di gas metano, la gestione di servizi per gli enti locali, la progettazione/costruzione di reti, etc.). Durante il periodo dell'osservazione i tre titoli rilevati hanno fatto registrare un comportamento analogo, caratterizzato da un'oscillazione complessiva dei propri corsi nettamente inferiore a quella riscontrata, in media, fra tutte le altre azioni quotate. Dal momento che più ristretta è la fascia di oscillazione delle valutazioni di un titolo, minore risulta la rischiosità e viceversa, al termine della suddetta analisi è possibile stimare un b di settore inferiore all'unità.

Per l'esattezza, la determinazione del coefficiente è avvenuta come segue.
Sulla base di quanto riportato dal Guatri e della rilevazione sugli andamenti borsistici, si sono stabilite le seguenti fasce di oscillazione potenziali:

- per il coefficiente b, da 0 a 2,5
- per il rapporto fra il corso massimo di un'azione e il suo minimo, nell'arco del quinquennio esaminato, da 1 a 25.

Depurando i listini di Borsa dalla presenza dei titoli inseriti nei "nuovi mercati", la cui volatilità è risultata eccezionalmente ampia, si è giunti a costruire la seguente tabella che, sulla base dell'effettivo posizionamento delle azioni esaminate, ha correlato le percentuali di variabilità registratesi nei titoli con le corrispondenti stime di b.

 

fascia di oscillazione

b

minimo

1,000

0,000

 

 

1,702

0,445

medio-basso

2,018

0,645

 

 

2,369

0,997

medio

2,916

1,000

 

 

3,735

1,818

medio-alto

5,276

2,000

 

 

8,950

2,432

massimo

25,000

2,500

La fascia di oscillazione dei tre titoli esaminati è stata di 2,032=, cui corrisponde la stima di un b pari a 0,66. Tale stima è peraltro consona alle considerazioni effettuate in precedenza circa i valori assunti da questo coefficiente negli U.S.A. e nel Regno Unito.

· Il premio g per la determinazione del rischio specifico aziendale
Ai fini di contestualizzare la determinazione del tasso di remunerazione dei mezzi propri all'impresa in esame, il calcolo finora sviluppato viene integrato dall'aggiunta del cosiddetto "rischio specifico aziendale", che esprime la differenza fra detta impresa e la media delle altre aziende del settore in cui opera. In questi termini, il premio g potrebbe anche risultare di importo negativo, nell'ipotesi in cui la società soggetta a perizia presentasse caratteristiche migliori rispetto alla media settoriale. I fattori che determinano la quantificazione di tale premio aggiuntivo sono qui di seguito sunteggiati. La descrizione di ognuno di questi viene completata con una sintetica valutazione d'incidenza sul tasso di remunerazione: le variazioni col segno "+" (più) indicano la presenza di una componente di rischio maggiore rispetto alla media settoriale, atta ad innalzare l'ammontare del premio, mentre quelle con segno "-" (meno) rappresentano situazioni in cui il rischio aziendale è più contenuto, e il premio può essere ridotto.
- Rischio dimensionale
Di norma, le aziende più piccole vengono considerate maggiormente a rischio rispetto a quelle di dimensioni più ampie, se non altro per il fatto che le loro azioni, non essendo quotate, risultano meno controllabili e di difficile collocazione.
Venendo al caso specifico, l'azienda in esame è più piccola rispetto alle società quotate che si sono individuate per determinare la media settoriale. Nel settore della gestione idrica, le aziende di dimensioni medio-grandi sono avvantaggiate nella "conquista" di nuovi mercati e nella partecipazione alle gare per l'affidamento di concessioni di servizi. Tuttavia, considerato il radicamento dell'azienda in esame nella sua area d'intervento, le sue ridotte dimensioni non sembrano comportare uno svantaggio operativo.
Giudizio sintetico : + 0,25%
- Rischio finanziario
La determinazione di questo rischio deriva dall'analisi dei bilanci e dei principali indici patrimoniali. Ovviamente, per determinare con appropriatezza l'entità di questo fattore, si rende necessaria un'operazione di benchmarking che permetta un confronto con aziende comparabili che svolgono analoga attività.
Da tale confronto è emerso che l'azienda in esame si trova in una condizione leggermente svantaggiata rispetto alle altre aziende prese a paragone, soprattutto quelle quotate prese in esame per la determinazione del coefficiente b, con un profilo di rischio leggermente più alto della media. Peraltro, l'ammontare degli indici patrimoniali sarà fortemente influenzato dalla valutazione in corso che, aggiornando la stima delle immobilizzazioni e del patrimonio netto, comporterà una redifinizione radicale dei rapporti parametrici.
Giudizio sintetico : + 0,25%
- Grado di diversificazione
E' consuetudine affermare che un'azienda maggiormente diversificata presenta un profilo di rischio inferiore rispetto a un'azienda focalizzata su una strategia di concentrazione.
Nel caso in esame, quasi tutte le aziende esaminate presentano una notevole concentrazione territoriale, operando quasi sempre in un ambito comunale allargato. Solo alcune società di grandi dimensioni sono caratterizzate da una marcata diversificazione territoriale. Per quanto concerne la diversificazione operativa, l'azienda in esame espleta un ciclo abbastanza completo della gestione idrica integrata, gestendo sia l'acquedotto che le reti fognarie (depurazione esclusa), ma ciò avviene anche per buona parte delle altre aziende indagate. Esistono poi i grandi gruppi italiani (Italgas, ACEA, AMGA) che abbinano alla diversificazione territoriale anche quella settoriale (in primis, gestendo le reti del gas metano); ma, proprio per queste loro prerogative, questi gruppi non sono stati ritenuti in alcun modo comparabili con l'azienda in esame.
Giudizio sintetico : ==

- Fattore avviamento
Sotto questa voce possono includersi due differenti aspetti della gestione aziendale, connessi rispettivamente all'efficacia e all'efficienza di questa. Il primo consiste nel cosiddetto "avviamento commerciale", ossia nella presenza di una clientela consolidata, fondamentale per tutte le imprese operanti sul libero mercato (efficacia). Il secondo potrebbe essere condensato nel concetto di "know-how", ossia nella capacità strutturale e gestionale dell'azienda di svolgere il proprio ciclo operativo nel migliore dei modi (efficienza).
Con riferimento all'azienda in esame e al settore in cui è presente, l'avviamento commerciale non riveste alcuna importanza, visto che opera in regime di concessione. Viceversa, il cosiddetto "know-how", garantito dalla pluriennale esperienza e dal radicamento sia organizzativo che territoriale, costituisce uno dei punti di forza dell'azienda. Una simile affermazione è concretamente riscontrabile nel momento in cui si pongono a confronto alcuni indici di efficienza gestionale tratti dalle analisi di bilancio di differenti società del medesimo comparto: l'azienda in esame, infatti, in questi ultimi anni, ha conseguito risultati ragguardevoli, collocandosi ben al di sopra della media settoriale.
Giudizio sintetico : - 0,25%

Dalla composizione di tutti i fattori precedentemente descritti si evince l'importo complessivo del premio per il rischio specifico dell'azienda in esame:
g = + 0,25%

· Quantificazione finale del tasso di remunerazione dei mezzi propri
A conclusione dell'analisi appena definita si ricapitola il processo di determinazione del tasso di remunerazione dei mezzi propri, rifacendosi alla formula del C.A.P.M.:

r = Rf + b x ( Rm - Rf )+ g =
= 5,60% + 0,66 x 4% + 0,25% = 5,60% + 2,64% + 0,25% = 8,49%

Il tasso stabilito in questo modo è un tasso:
- nominale
dal momento che include la componente inflattiva:
- al netto dell'IRPEG

I tassi assunti quali base per il C.A.P.M. sono visti dalla parte del percettore di reddito (l'imprenditore, l'azionista, il risparmiatore, etc.): sia il tasso "free-risk" (rendimento dei titoli di Stato), sia la maggiorazione per il rischio azionario (4%) rappresentano redditi che sono al lordo dell'IRPEF, ma già al netto dell'IRPEG (in quanto inesistente, nel caso dei BOT, o già assolta, nel caso delle azioni).
Qui di seguito si riportano i calcoli per la determinazione delle altre tipologie di tassi congruenti. Si precisa che aIRPEG rappresenta l'aliquota IRPEG (34%), mentre ib rappresenta il saggio d'inflazione nel breve periodo.

- tasso nominale lordo
r = ( Rf + b x ( Rm - Rf )+ g ) : ( 1 - aIRPEG ) =
= 8,49% : ( 1 - 34% ) = 12,86%

- tasso reale netto
r = ( Rf - ib + b x ( Rm - Rf )+ g ) =
= 5,60% - 2,00% + 0,66 x 4% + 0,25% = 6,49%

- tasso reale lordo
r = ( Rf - ib + b x ( Rm - Rf )+ g ) : ( 1 - aIRPEG ) =
= 6,49% : ( 1 - 34% ) = 9,83%
La seguente tabella riassume dunque le varie tipologie di tassi adottati per simulare la remunerazione dei mezzi propri (importi esatti e successivi arrotondamenti):

TASSI per la REMUNERAZIONE dei MEZZI PROPRI

NOMINALE LORDO

12,86%

è

12,90%

REALE LORDO

9,83%

è

9,80%

NOMINALE NETTO

8,49%

è

8,50%

REALE NETTO

6,49%

è

6,50%

5. Calcolo degli oneri finanziari sui mezzi di terzi
Si passa adesso a disaminare le differenti fonti stabili di mezzi di terzi, quantificandone l'onerosità. La tecnica aziendalistica individua quali fonti stabili di mezzi di terzi:

- i debiti verso le banche, sia a breve che a medio-lungo termine;
- i fondi di accantonamento (esclusi quelli rettificanti le poste attive).

Non vengono invece considerate fonti stabili i debiti commerciali netti (intesi come differenza fra il saldo "Fornitori" e quello "Clienti"), in quanto ad elevata variabilità. Nel caso in esame, però, e con particolare riferimento al ramo d'azienda "Acquedotto", si è ritenuto opportuno equiparare ai fondi anche i depositi cauzionali versati nel corso degli anni dagli utenti, che rientrano nella posta del passivo patrimoniale "Debiti verso utenti/clienti".
La seguente tabella evidenzia il calcolo per la quantificazione dell'ammontare medio degli oneri finanziari:

DEBITI

Acquedotto

Fognature

Laboratorio

Calore

Tassi passivi

Fondo T.F.R.

838.510

98.648

29.594

19.730

3,00%

Depositi cauzionali

439.779

====

====

====

0,00%

Mutui a lungo termine

24.315.181

858.189

====

====

3.80%

Mutui a medio termine

21.686

====

====

====

8.00%

Banche a breve termine

908.478

106.880

32.064

21.376

6,50%

Totale Debiti considerati

26.523.634

1.063.717

61.658

41.106

I depositi cauzionali non sono onerosi, mentre per il Fondo T.F.R. si è stimato un costo annuo del 3,00%, di poco superiore al tasso d'inflazione nel lungo periodo.
Ponderando i tassi passivi della precedente tabella per i correlativi importi debitori, si determina l'onerosità media dei mezzi di terzi, ripartita per ogni singolo ramo aziendale:


- Acquedotto : 3,81%
- Fognature : 4,00%
- Laboratorio : 4,82%
- Gestione Idrica Integrata : 3,82%
- Gestione Calore : 4,82%


Questi tassi sono nominali e lordi, dal momento che includono la componente inflattiva e non tengono conto della detraibilità IRPEG degli oneri finanziari, la quale permette di ridurne l'incidenza sui risultati netti. In affinità col procedimento del capitolo precedente, si riportano anche in questo caso le varie tipologie di tassi congruenti.

ONEROSITA' MEDIA dei MEZZI DI TERZI

Tipologia di tassi

Acquedotto

Fognature

Laboratorio

G.I.Integrata

Calore

NOMINALI LORDI

3,81%

4,00%

4,82%

3,82%

4,82%

REALI LORDI

1,81%

2,00%

2,82%

1,82%

2,82%

NOMINALI NETTI

2,51%

2,64%

3,18%

2,52%

3,18%

REALI NETTI

1,19%

1,32%

1,86%

1,20%

1,86%



6. Costo medio ponderato delle fonti finanziarie

Dopo aver determinato, secondo tutte le varie tipologie, il tasso di remunerazione dei mezzi propri e l'onerosità media dei mezzi di terzi, è giunto il momento di comporre queste informazioni per quantificare il costo medio ponderato delle fonti finanziarie (in inglese, W.A.C.C., Weighted Average Capital Cost). Tale ponderazione richiede di conoscere, oltre all'ammontare dei tassi, le quote di incidenza delle singole fonti finanziarie: rispetto al totale dell'attivo patrimoniale, si individuano la percentuale rappresentata dal patrimonio netto e quella costituita dalla sommatoria delle poste debitorie descritte al capitolo precedente. E' oltremodo improbabile che la somma di queste due percentuali raggiunga l'unità: come trattare, allora, il complemento a 100% di tale somma, presumibilmente rappresentato da debiti a breve termine? Sono possibili tre risposte:

- includerlo nella ponderazione conteggiandolo al tasso passivo corrente

tale scelta ipotizza che tutte le altre fonti finanziarie siano comunque onerose (direttamente o indirettamente), stimandone il costo tramite il più classico degli oneri finanziari;

- includerlo nella ponderazione conteggiandolo a tasso zero

in questo caso, tali fonti finanziarie sono ritenute non onerose, come d'altronde effettivamente sono (almeno formalmente);

- escluderlo dalla ponderazione

la terza opzione ignora il complemento al 100% ed effettua la ponderazione limitatamente alle due categorie di fonti finanziarie conteggiate in precedenza.
Fra le tre soluzioni evidenziate, si propende decisamente per l'ultima. Infatti, i debiti a breve termine non possono essere considerati alla stregua delle altre fonti finanziarie, in quanto:

- sono rapidamente mutevoli
- la loro posizione contabile, di norma, non bilancia le immobilizzazioni, ma caso mai le attività a breve; in quest'ottica, non ci si dovrebbe comunque riferire al complemento al 100% dell'attivo patrimoniale, bensì all'eventuale differenza fra passività e attività a breve termine (e, qualora le seconde superassero le prime, anziché un'altra fonte finanziaria si determinerebbe un'eccedenza d'impiego).

A conclusione di questo processo, si è infine determinata la seguente tabella, che rappresenta le varie tipologie di W.A.C.C. per ogni singolo ramo d'azienda:

COSTO MEDIO PONDERATO delle FONTI FINANZIARIE

Tipologia di tassi

Acquedotto

Fognature

Laboratorio

G.I.Integrata

Calore

NOMINALI LORDI

6,37%

4,54%

11,83%

6,14%

14,77%

REALI LORDI

3,74%

2,26%

8,56%

3,62%

11,12%

NOMINALI NETTI

4,19%

2,94%

7,75%

3,97%

9,61%

REALI NETTI

2,49%

1,47%

5,68%

2,37%

7,29%

7. Aggiustamento dei tassi per la verifica reddituale statica
La definizione di tasso d'interesse implica intrinsecamente due concetti di fondo:
- il riferimento all'ambito finanziario
qualunque tipo di tasso di interesse si applica a grandezze finanziarie, che esprimono, cioé, trasferimenti monetari;
- la dinamicità del contesto
la presenza di un tasso di interesse implica necessariamente lo scorrere di un certo lasso temporale, quindi deve essere collocata in un contesto dinamico.
Nel caso della verifica reddituale posta a integrazione della stima patrimoniale, però, nessuna di queste due condizioni è rispettata. Infatti:
- i dati su cui si lavora sono grandezze economiche (ricavi, costi, utili, perdite) e non finanziarie; in altre parole, rappresentano componenti positive o negative di reddito, indipendentemente dall'effettivo pagamento delle medesime;
- la verifica è espletata in termini statici, sia perché effettuata a valori costanti, sia perché il calcolo dei redditi è fondato sull'individuazione di tre soli esercizi (2002, 2003 e "regime"), basandosi prioritariamente sul budget aziendale e senza inserire fattori rappresentativi di un'evoluzione dinamica.
Per porre rimedio a queste due differenze (peraltro di dimensioni assai contenute), si applicano delle metodologie correttive suggerite dagli esperti, qui di seguito diffusamente illustrate.

· Equiparazione fra tasso finanziario e tasso "economico"
Si è detto che, per sua natura, il tasso d'interesse ha una valenza esclusivamente finanziaria, applicandosi a trasferimenti monetari. Nel momento in cui si riferisce la medesima percentuale a importi di natura economica, è necessario soffermarsi a riflettere sulle differenze che emergono a seguito di tale disparità.
La divergenza principale è di natura cronologica: fra il momento di insorgenza della posta economica e quello della sua trasformazione in flusso finanziario, infatti, decorre un certo lasso temporale. Volendo sintetizzare a grandi linee questo concetto, si può asserire che, in media, la contabilizzazione economica precede il movimento finanziario di circa un trimestre. Questo breve ritardo temporale fà sì che, qualora si applicassero a quantità economiche i medesimi tassi concepiti per i dati finanziari, si effettuerebbe una leggera sovrastima di tali quantità, visto che la trasformazione in flussi di cassa richiederebbe un ulteriore trimestre. E' dunque necessario correggere il tasso di interesse per recepire questa dissonanza temporale.
Ma come può avvenire tale correzione?
Se si volesse attualizzare al 30 settembre una posta economica che insorgerà solamente a fine anno, è evidente che il differimento finanziario di un trimestre dovrebbe indurre a raddoppiare il tasso. Per analogia, visto che i tassi di interesse adottati sono annui, si dovrebbe dedurre che il solito ritardo trimestrale comporti un aumento del tasso pari a 1/4 dello stesso (ad es., dall'8% al 10%). Tuttavia, qualora si consideri l'attualizzazione di una lunga successione di flussi economici, ognuno dei quali richiede un trimestre per essere monetizzato, l'attualizzazione di un'importo che insorgerà fra 20 anni verrebbe solo in minima parte sfiorata da tale ritardo (l'aumento del tasso sarebbe pari a 1/80, e il solito saggio dell'8% dovrebbe diventare semplicemente 8,1% anziché 10%).
Come dice lo stesso Guatri, op.cit.:

"Il divario a favore di una delle due categorie di flussi attesi (finanziari o reddituali) è però destinato ad attenuarsi nel tempo, così che per n molto elevati esse tendono a compensarsi. Il vantaggio o svantaggio misurato è perciò significativo solo nel breve termine. L'incognita, in proposito, è rappresentata dal differimento medio, cioè dal tempo in anni entro il quale mediamente il riassorbimento potrà avvenire".

Considerato che la durata della concessione è trentennale, si è ipotizzato che un lasso temporale adeguato per stimare il riassorbimento della divergenza temporale potesse essere rappresentato da 10 anni.
Al fine di determinare un fattore correttivo dei tassi di interesse, si è proceduto in questo modo:

a. per tutti i tassi di interesse compresi fra 2,00% e 12,00%, con scansione 0,25%, si è calcolato il valore attuale di una rendita unitaria decennale;
b. l'importo ottenuto è stato confrontato con il valore attuale della stessa rendita unitaria decennale, anticipata di un trimestre;
c. applicando il rapporto aritmetico fra le due rendite summenzionate, il tasso 2,00% dovrebbe diventare 2,095% e il tasso 12,00% diverrebbe 12,728%;
d. si è provato a individuare una funzione che riproducesse il più fedelmente possibile, al crescere del tasso d'interesse, il correlativo aumento del rapporto aritmetico;
e. si è ritenuto soddisfacente adottare una funzione che trasformasse il tasso 2,00% in 2,095% e il tasso 12,00% in 12,727%.

La funzione ricercata è stata quindi definita in questo modo:

Re = Rc x ( 1,045 + Rc x 0,13 )

dove
Re è il tasso d'interesse economico
Rc è il tasso d'interesse finanziario (o "di cassa").

· Determinazione del fattore di crescita "g"
Per illustrare quest'ultimo punto della teoria dei tassi, si ritiene eccellente la disamina introduttiva effettuata da Guatri, op.cit

"Le ben note difficoltà di previsione analitica dei flussi attesi (reddituali e finanziari) al di là di pochi anni fanno sì che del fattore crescita spesso non si possa tenere conto nella quantificazione di tali flussi; da ciò la decisione, originaria e tipica della pratica americana, di tenere conto nella stima del tasso. [.…...].
Due preliminari osservazioni sono necessarie:

a) non vi è dubbio che il fattore crescita non si possa considerare due volte: s'impone però la scelta, per evitare una palese duplicazione, tra il tenerne conto nella stima dei flussi attesi a medio/lungo termine oppure nella stima del tasso;
b) non si capisce, almeno a prima vista, perchè le incertezze tipiche della previsione di rescita si debbano attenuare, o addirittura debbano scomparire, se esse si esprimono nel tasso piuttosto che nei flussi attesi. Le difficoltà e i dubbi non svaniscono certo nel secondo caso.

Sul punto a), esclusa ovviamente qualsiasi duplicazione, esiste però una via mediana che può consistere:

- nell'esprimere il fattore crescita nella misura dei flussi, quand'essi siano compresi nel ridotto arco temporale che consente di conservare un'adeguata credibilità alle previsioni (non oltre 3-5 anni);
- sul medio lungo termine, nel tradurre in via approssimativa e sintetica il fattore crescita nella misura del tasso, proprio questa è la soluzione spesso proposta dalla pratica americana, che perciò distingue un tasso di attualizzazione dei flussi attesi anno per anno su di un limitato arco temporale (forecast period), da un tasso appicabile al flusso medio perpetuo per il periodo successivo (continuing-value period).
[.…...]

E' intuitivo che, se non si pongono severi limiti alla dimensione attribuibile al fattore di crescita, la compressione del tasso a lungo termine può risultare molto rilevante, con la conseguente esplosione dei valori del capitale. Tutti gli autori ed i critici sono perciò molto attenti a porre limiti a "g".
"Poche società - così Copeland- possono aspettarsi di crescere più rapidamente dell'economia nel suo compesso per lunghi periodi di tempo. La stima migliore è probabilmente il saggio atteso di crescita dei consumi per il settore, più il tasso d'inflazione".
Secondo altre concezioni il fattore "g" dev'essere inteso come il "tasso medio composto di crescita a lungo termine", includendo sia aumenti di prezzi (legati anche l'inflazione) sia aumenti di volumi. Ciò tenendo presente:

- che il tasso di crescita da assumere è quello che ragionevolmente può essere dall'impresa mantenuto a tempo indefinto;
- che a tempi lunghi è praticamente impossibile sostenere una crescita che ecceda il tasso di inflazione più la crescita della popolazione;
- che il fattore "g" deve in ogni caso considerare lo stato di maturità del settore.

Ancora vi è chi vorrebbe identificare il fattore "g" nel semplice tasso di'inflazione atteso; chi distingue nettamente la crescita nominale (comprensiva di inflazione) da quella reale; chi deduce semplicemente "g" dall'andamento della crescita degli utili del recente passato.
Non occorre molto di più per concludere che, sul tema, vi è - almeno in sede applicativa - non poca confusione. Appare pertanto opportuno fissare alcuni concetti.
In primo luogo non vi può essere dubbio che, poichè il fattore "g" è una componente del tasso i, valgono con riguardo all'inflazione, le considerazioni riguardanti il profilo dell'omogeneità tra i ed il flusso di reddito atteso.
In secondo luogo, le previsioni in ordine al fattore "g"non hanno caratteristiche e limiti sostanzialmente diversi rispetto a quelli che si incontrano nella stima dei flussi di reddito col metodo della crescita attesa. Anche in relazione a "g" occorre pertanto svolgere accurate indagini storico - previsionali, in modo da attribuire ragionevolezza alle decisioni che si assumono; e di fondarle su adeguate dimostrazioni. Com'è noto, aspetti fondamentali sono, in proposito, le previsioni che attengono all'andamento delle vendite e dei "margini": esse hanno senso in scenari ben definiti, esprimenti chiari ed attendibili ipotesi. Ipotesi che, oltre alle fondamentali grandezze macro economiche, debbono riguardare il comportamento futuro dell'offerta, le strategie dei concorrenti, la dinamica attesa della domanda e del sistema distributivo; e così via.
Fondamentali, in ogni caso, le previsioni inerenti al settore. Esistono al limite, settori maturi ed in decadenza per i quali nessuno sviluppo è ipotizzabile; e settori nuovi, nei quali possono aversi tassi di sviluppo molto elevati.
Quanto precede consente una considerazione finale: il trasferimento dai flussi attesi al tasso i non solo non elimina nè riduce le incertezze tipiche delle previsioni di crescita, ma il fattore "g" esige la stessa accuratezza e le stesse cautele che sono necessarie nelle previsioni di sviluppo dei flussi.
Non è certamente affievolendo, con alcune approssimazioni, la credibilità e dimostrabilità delle coponenti del tasso, che si migliora la credibilità della valutazione delle aziende, l'apparente semplicità concettuale ed applicativa del fattore "g" non deve generare illusioni.
A conferma di queste ovvie preoccupazioni, un'indagine empirica americana si è proposta di individuare una relazione statistica tra il fattore"g" riferito al lungo termine ed il valore attribuibile a "g" nel breve termine. Dopo aver stabilto che un'attendibile previsione può essere condotta solo su di un arco temporale limitato a 5 anni, adottando accurati criteri è prevenuta ad esprimere la relazione:

g= 0,43 g5

(dove "g5" è appunto il fattore di crescita stimato sull'arco quinuennale).
In via indicativa, da questa significativa indagine empirica riferita ad un largo campione si deduce che il fattore "g" assume mediamente misure inferiori alla metà dei tassi di sviluppo a breve termine.
Per concludere, qualche indicazione quantitativa tratta da varie esperienze. Secondo molteplici indicazioni internazionali, specie di origine americana, il range tipico del fattore "g" al netto dell'inflazione si può posizionare tra 0% e 5%; al lordo dell'inflazione fino all'8-9%, I valori più frequenti (in termini "reali") sono però tra l'1% ed il 3%.
Per quanto ogni tentativo di generalizzazione sia da considerare di limitato significato, un possibile quadro riassuntivo che mette in relazione le previsioni di sviluppo del settore con la capacità specifica di crescita dell'impresa in termini di redditività è espresso dalla tabella:

SETTORI

Imprese con capacità di crescita reddituale

 

Alta

Media

Bassa

In forte sviluppo

3,0%-5,0%

2%-3%

0%-1%

In moderato sviluppo

1,5%-2,5%

1%-2%

0%

Stazionari

0%-1%

0%

0%

Decadenti

0%

0%

0%

[…….]
La relazione fra tasso a breve (i) e tasso a lungo termine (i') è argomento che deve essere ripreso e approfondito. Pur escludendosi l'univocità della relazione i>i', tipica della letteratura e della pratica nord-americana, si deve però osservare che anche nella pratica europea la scelta più frequente è nello stesso senso. Anche se di tale atteggiamento non viene di solito fornita un'attendibile spiegazione, essa è a nostro avviso ricercabile nei seguenti argomenti:
- il primo riguarda la circostanza che la crescita tendenziale della dimensione e quindi, anche se non necessariamente, dei redditi dell'impresa, pur non potendo essere quantificata in attendibili misure di flussi a lungo termine, può indirettamente e in via d'approssimazione tradursi in un contenimento del tasso a lungo termine;
- il secondo argomento riguarda la maggior probabiltà che nel lungo andare (rispetto al breve termine)la capacità di reddito sappia reagire all'inflazione, neutralizzando tale fenomeno. In tal modo rendendo omogenei i flussi attesi con un tasso reale, per definizione più contenuto rispetto a un tasso corrispondente a una posizione intermedia tra il reale e il nominale più consona a flusssi di breve durata).
Questa relazione tendenziale tra i due tassi è però ammissibile solo per aziende (e settori) che consentano di presagire con fondamento un lungo periodo di sviluppo. Essa non è perciò vera per aziende e settori che presentino prospettive di stazionarietà o addirittura di decadenza.
La situazione è complicata da un terzo fattore che entra in gioco, cioè la decrescente prevedibilità dei redditi col passare del tempo, il che spingerebbe il tasso verso l'alto, in relazione alla crescente incertezza.
Tenendo conto di tutto ciò, si conferma tendenzialmente una più contenuta misura attribuibile al tasso a lungo termine nei settori e nelle imprese che hanno davanti a loro una probabile duratura fase di sviluppo, specie se questa si accompagna a una ragionevole protezione dell'investimento nei riguardi dell'inflazione e se nel lungo termine le ragioni di crescente incertezza non divengono dominanti.
Da quanto sopra emerge però che, nella nostra ottica , le differenze tra i e i' solo eccezionalmente risulteranno così marcate come nella pratica americana, nella quale il collegamento al solo fenomeno della crescita (il ben noto fattore "g") può provocare forti divergenze. Nella nostra esperienza, differenze da 0,5 a 2 punti percentuali tra i tassi, in un senso o nell'altro, sono l'intervallo tipico di variabilità. Mentre nell'esperienza americana si ragiona di differenze più che doppie.

DETERMINAZIONE DEI TASSI

Tasso annuale nominale

Tasso annuale corretto per l'inflazione

Buoni del tesoro a medio termine

5,3 %

2,2 %

Premio per l'investimento azionario (grandi aziende)

7,1 %

6,8 %

Totale

12,4 %

9,0 %

Ulteriore premio per le azioni quotate di piccole società

(maggiorazione per la piccola dimensione)

5,2 %

5,0 %

Totale

17,6 %

14,0 %

 

TIPOLOGIA DI AZIENDA

D tra i e i'

Aziende in moderato sviluppo

0,5% - 1%

Aziende in grande sviluppo

2% - 3%

Aziende integralmente coperte, a lungo termine, dall'inflazione

1% - 3%

Aziende soggette a notevole incertezza di risultati a medio-lungo termine

0,5% - 3%


A titolo meramente indicativo, e senza la pretesa di affermare regole dotate di validità generale, la tabella presenta una sintesi delle possibili dimensioni dei divari percentuali tra i ed i', in relazione ai diversi fattori sopra menzionati. Così, ad esempio, dato i = 10%, per aziende in grande sviluppo, in gran parte coperte a lungo termine dall'inflazione, ma soggette a gravi incertezze di risultati, i' potrebbe risultare definito nella misura dell'8% (-3%; -2%; +3%; D totale 0 -2%)."
 

Come noto, la verifica reddituale si fonda su tassi reali, che non comprendono la componente inflattiva. Questa scelta, di primo acchito, parrebbe neutra, ossia non sembrerebbe incidere sulla valutazione aziendale. Tuttavia, l'esperienza insegna che, al di là dei possibili sviluppi positivi di un'impresa che può migliorare i propri margini operativi, la semplice applicazione dell'inflazione ai ricavi come ai costi, vista l'auspicabile superiorità dei primi, comporta un incremento dei risultati economici. Sul tema, ancora una volta, Guatri, op.cit.:

"Il principio orientativo delle scelte in argomento consiste in questo: i tassi utilizzati devono essere omogenei e coerenti coi flussi oggetto di attualizzazione. Se e nella misura in cui tali flussi attesi sono protetti dall'inflazione, cioè questo non tende a logorarli, identicamete il tasso deve essere depurato dalla componente inflazionistica.
Com'è noto, la prima componente del tasso è il rendimento annuo degli investimenti "senza rischio" (r); e questi - normalmente rappresentati da titoli di Stato con varie scadenze - sono di regola pienamente soggetti all'inflazione, in quanto i titoli di Stato non sono (con rare eccezioni) indicizzati nel capitale.
Non è però detto, sul piano concettuale, che il tasso nominale degli investimenti "senza rischio" debba sempre e senz'altro essere depurato dall'inflazione: ciò avrebbe senso se, del pari, la corrente di reddito generata dall'impresa da valutare si sottraesse sempre e pienamente all'inflazione. Ma ciò è da vedere e da dimostrare."


Considerato che l'azienda in esame si trova ad operare in un mercato in cui le dimensioni della clientela e delle quantità di prodotto vendibile sono abbastanza stabili, e l'ammontare dei prezzi deriva da un sistema tariffario che dovrebbe consentire un recupero dell'inflazione, si ritiene che, rispettando un approccio prudenziale, nel lungo termine l'azienda non dovrebbe avere problemi a registrare un tasso di crescita dei risultati economici quanto meno pari all'inflazione. Ne consegue che la scelta di aver depurato i tassi della componente inflattiva possa essere confermata dalla presumibile dinamica reddituale futura dell'azienda.
I tassi di redditività, tuttavia, non sono commisurati all'ammontare del fatturato (tranne il R.O.S., che però è un indice che non rientra nella verifica reddituale), bensì alle poste patrimoniali. Perciò diventa importante comprendere l'evoluzione nei prossimi anni di tali poste; infatti:


- se gli importi patrimoniali cresceranno nei prossimi anni allo stesso ritmo dell'inflazione, i tassi determinati in precedenza rimarranno validi;
- se gli importi patrimoniali cresceranno nei prossimi anni più velocemente dell'inflazione, tali tassi dovranno essere innalzati;
- se gli importi patrimoniali cresceranno nei prossimi anni meno rapidamente dell'inflazione, i tassi dovranno essere ridotti.


Fra le tre alternative, considerato che le voci dello stato patrimoniale sono state appena revisionate a seguito della presente perizia, è improbabile che in un vicino futuro si registri un aumento rilevante delle stesse. Si può quindi presumere che, nel prossimo decennio, esse aumenteranno a un ritmo pari al 40% dell'inflazione: essendo stato stimato il saggio d'inflazione a medio-lungo termine in misura pari a 2,50%, si conclude che le poste patrimoniali aumenteranno dell'1% annuo, mentre il residuo 1,50% andrà a migliorare i tassi di redditività.
Per determinare il fattore di crescita "g", quindi, si è operato come segue:


a. si è ipotizzato di poter traguardare un periodo massimo di durata decennale, durante il quale si confermi il precedente assunto di crescita dei valori patrimoniali inferiori all'inflazione (dunque minore della crescita dei valori reddituali);
b. si è pertanto costruita una serie decennale in progressione geometrica con termine iniziale unitario e ragione 1,015;
c. si è attualizzata la suddetta serie al consueto tasso annuo di equivalenza finanziaria del 4,00% (6,50%-2,50%);
d. si è calcolata la differenza fra tale importo e il valore attuale, sempre al 4%, di una rendita unitaria decennale; tale differenza rappresenta il valore attuale della plusvalenza apportata complessivamente nei dieci anni dall'inserimento di "g";
e. si è calcolata la rata annua media che consente l'ammortamento decennale della suddetta differenza al tasso del 4%; tale rata esprime il valore del fattore "g" = 0,065;
f. in definitiva, per tener conto del fattore di crescita, qualunque tasso di redditività deve essere rettificato dividendolo per il coefficiente 1,065.
Il risultato conclusivo di questa modifica è dunque rappresentato dalla seguente equazione:


r + g = r : 1,065
 

A seguito della duplice rettifica apportata ai tassi precedentemente calcolati per tener conto sia del passaggio dalla scala finanziaria a quella economica, sia del fattore di crescita "g", si riportano qui di seguito le tabelle definitive:

TASSI per la REMUNERAZIONE dei MEZZI PROPRI

NOMINALE LORDO

12,75%

è

12,80%

REALE LORDO

9,73%

è

9,70%

NOMINALE NETTO

8,42%

è

8,40%

REALE NETTO

6,42%

è

6,40%

 

COSTO MEDIO PONDERATO delle FONTI FINANZIARIE

Tipologia di tassi

Acquedotto

Fognature

Laboratorio

G.I.Integrata

Calore

NOMINALI LORDI

5,40%

3,93%

9,71%

5,28%

11,97%

REALI LORDI

3,24%

1,96%

7,08%

3,13%

9,04%

NOMINALI NETTI

3,56%

2,60%

6,41%

3,49%

7,90%

REALI NETTI

2,14%

1,30%

4,67%

2,07%

5,97%

Come si può notare confrontando queste tabelle con le precedenti, l'effetto composto delle due rettifiche appena apportate non è molto rilevante, dal momento che esse sono intervenute in direzioni opposte (la prima ha innalzato i tassi, la seconda li ha ridotti).

· I tassi reali statici di effettiva utilizzazione per la verifica reddituale
In conclusione di questo capitolo sulla determinazione dei tassi, è oportuno sottolineare come si siano riportate tutte le varie tipologie dei medesimi, ma è evidente che solamente un numero ristretto di queste sia stato concretamente utilizzato ai fini della presente valutazione. Qui di seguito, pertanto, si evidenziano specificamente i tassi che hanno trovato effettiva applicazione.
- Ai fini della verifica reddituale statica
Ai fini della perizia in corso, il W.A.C.C. viene moltiplicato per l'ammontare delle fonti finanziarie stabili allo scopo di quantificare il Risultato Caratteristico atteso dall'imprenditore. Conseguentemente, ci si riferisce a tassi reali lordi, i cui importi vengono ulteriormente ribaditi:

· Acquedotto : 3,24%
· Fognature : 1,96%
· Laboratorio : 7,08%
· Gestione Idrica Integrata : 3,13%
· Gestione Calore : 9,04%

Sono poi stati utilizzati i tassi per la remunerazione dei mezzi propri, al fine di determinare l'Utile Lordo e l'Utile Netto attesi dall'imprenditore. Tale genere di tassi non varia a seconda del ramo di azienda, essendo commisurato al solo valore del patrimonio netto e dunque non dovendosi ponderare col costo dei debiti. I tassi utilizzati sono:

· Tasso reale lordo : 9,70%
· Tasso reale netto : 6,40%.

- Ai fini dell'attualizzazione dei flussi di cassa
Per quanto concerne il tasso di remunerazione sui mezzi propri, si è ovviamente assunto il tasso nominale lordo, la cui misura (non applicandosi in questo caso né la correzione da finanziario a reddituale, né quella per l'inserimento del fattore di crescita "g") ammonta a 12,90%.
Nella versione in cui il procedimento, anziché procedere alla simulazione di gestione finanziaria, si è basato sul W.A.C.C. nominale lordo, questo è stato ottenuto miscelando il precedente tasso con quello medio pagato sui mutui bancari (3,80%), determinando in tal modo un tasso di attualizzazione pari al 7,40%.

Trattasi dei beni demaniali acquedottistici e fognari che il Comune ha concesso in uso all'azienda per l'esercizio della propria attività tramite concessione trentennale, equivalente a quella prevista per l'espletamento dei servizi "Acquedotto" e "Fognature".
Prima della costituzione della s.p.a., detti beni figuravano nel bilancio dell'allora Azienda Municipalizzata fra le immobilizzazioni materiali, in quanto beni strumentali in dotazione all'Azienda stessa per lo svolgimento delle proprie funzioni, e venivano regolarmente ammortizzati in ragione delle specifiche aliquote di legge, connesse alle differenti categorie di cespiti. Nel bilancio della neonata s.p.a. tali beni non potevano più figurare tra le immobilizzazioni materiali, non essendo di proprietà della società; nell'attivo patrimoniale fu dunque possibile iscrivere solamente un importo rappresentativo del valore della concessione conseguita, inserito fra le immobilizzazioni immateriali. Per la determinazione di tale valore vennero ripresi i medesimi importi residui che figuravano nel bilancio della Municipalizzata, proseguendone gli ammortamenti non più in ragione delle specifiche aliquote di ogni singola categoria di cespiti, bensì secondo una percentuale annua costante pari a 1/30 per ogni tipologia di beni, commisurata alla durata trentennale della concessione. Inoltre, per esplicitare il valore della concessione, l'azienda ha provveduto a capitalizzare i costi consulenziali, amministrativi e fiscali sostenuti per il conseguimento dell'atto concessorio.
Nell'espletamento della stima dei beni in concessione, si è partiti in primo luogo dall'analisi dettagliata dei beni stessi. Per ogni singolo cespite si è effettuata una stima del valore a nuovo (ossia come se fosse stato appena costruito) e una stima che invece tenesse conto delle effettive condizioni manutentive del bene in oggetto.
La stima dei beni in concessione è uno dei momenti valutativi in cui più nettamente si distinguono la metodologia patrimoniale "a valori capitali" e quella "a valori d'uso".
La prima, infatti, considera il valore capitale di tali beni; viceversa la seconda, partendo dalla considerazione che i cespiti in esame non sono di proprietà aziendale, cerca di quantificare il vantaggio derivante alla Società dal loro utilizzo.


2. Stima dei beni in concessione a valor capitale
La stima di ogni singolo cespite avviene secondo il processo qui di seguito riportato.
Definito VE il valore dei cespiti per lo stato effettivo in cui si trovano, occorre tenere in debita considerazione il fatto che i beni in esame non sono di proprietà, ma avranno una durata utile aziendale che al massimo potrà essere di 30 anni (durata concessoria). Tale durata concessoria interferisce con la durata tecnico-economica residua del bene (DR), che non dipende dal processo di ammortamento del cespite, ma solamente dalla stima tecnica peritale. Per l'esattezza, si distinguono due casi, qui di seguito esplicitati.
Ø Durata tecnico-economica residua del bene < durata concessoria (30 anni)
In questo caso, l'azienda ha tutto il tempo per sfruttare interamente la vita residua del bene, dunque la stima è pari a VE.
Ø Durata tecnico-economica residua del bene > durata concessoria (30 anni)
In questo caso, l'azienda non ha abbastanza anni a disposizione per utilizzare interamente la vita residua del bene. Pertanto, la stima (S) è pari a

VE x 30 : DR

dove, ovviamente, VE è un importo di natura monetaria mentre DR è un lasso temporale espresso in anni. Per amor di precisione, considerato che il rapporto concessorio è iniziato otto mesi prima della data della stima peritale, la durata residua della concessione è ridotta a 29 anni e 4 mesi, ossia a 88/3 di anni. Di conseguenza, la predetta formula è stata utilizzata nella seguente versione più precisa:

S = 80 VE : 3 DR

Fino a questo punto, la metodologia assunta per la valutazione dei beni in concessione non è sostanzialmente diversa da quella adottata per le immobilizzazioni materiali. E' dunque necessario chiedersi se sia o no rilevabile un deprezzamento per il fatto che i beni sotto valutazione sono in concessione anziché in proprietà; in tale ipotesi, occorrerebbe anche individuare il criterio più pertinente per calcolare tale deprezzamento.
La distinzione più immediatamente riscontrabile fra i beni in proprietà e quelli in concessione consiste nel fatto che, a fronte del godimento di questi ultimi, l'azienda deve corrispondere un onere concessorio annuo. Questo fatto, tuttavia, ha rilevanza in chiave economica e non patrimoniale, e il costo in oggetto (allo stesso modo di quanto avviene per gli ammortamenti sui cespiti in esame) viene regolarmente considerato fra le spese di esercizio nel momento in cui si conduce la verifica reddituale sulla stima patrimoniale.
Tornando al quesito circa l'esistenza o meno di differenze fra i beni in proprietà e in concessione, si potrebbe osservare che questi ultimi, facendo parte della rete acquedottistica o di quella fognaria, sono utilizzabili esclusivamente per tale attività e non possono essere sfruttati individualmente. Non è perciò ipotizzabile, da parte di un imprenditore, l'acquisizione di uno qualsiasi di tali beni separatamente dall'intera attività aziendale. Tale constatazione potrebbe indurre ad asserire che non esista alcuna differenza pratica fra la proprietà dei beni in questione e il correlativo diritto d'uso, se non per quanto riguarda la limitatezza temporale del secondo, di cui peraltro si è già tenuto conto nelle precedenti valutazioni. Questa asserzione ha senso fintanto che si consideri l'ipotesi di vendita a un utilizzatore diretto, ossia a un soggetto imprenditoriale che intenda promuovere lo sfruttamento economico del cespite: secondo tale accezione, ogni singolo bene risulta di fatto inalienabile. Le cose, tuttavia, cambiano radicalmente nell'ipotesi in cui si sposti l'attenzione a esaminare tutti i gradi di libertà che il diritto di proprietà, a differenza di quello concessorio, garantisce. In tal senso, è ipotizzabile la vendita dei cespiti non a utilizzatori diretti, bensì a investitori, proseguendo regolarmente la propria attività aziendale. Analogamente, è immaginabile l'utilizzo di beni in proprietà quali garanzie reali per l'erogazione di finanziamenti, opportunità che non è invece possibile (o potrebbe risultarlo solo dopo indicibili complicazioni tecniche, giuridiche, amministrative) nel caso di beni in concessione.
Da quanto sopra, emerge dunque un'altra sostanziale differenza fra i cespiti in proprietà e quelli in concessione; una differenza attinente la flessibilità delle strategie finanziarie aziendali. La proprietà dei beni consente una maggiore elasticità strategica, dal momento che detti beni possono essere utilizzati (direttamente o indirettamente) per supportare finanziariamente l'azienda. In questo senso, il privilegio che distingue i beni in proprietà da quelli in concessione è terminologicamente definibile alla stregua di una liquidabilità del valor capitale, ossia la possibilità di monetizzare un importo equivalente (tramite alienazione o finanziamento).
Ma quale può essere il premio attribuibile a tale fattore? O, per meglio inquadrare il problema, quale potrebbe essere il deprezzamento da apportare ai beni in concessione per compensare la mancanza di un simile vantaggio?
Nel settore mobiliare, la liquidabilità è un attributo specifico dei titoli, che incide in misura anche rilevante sulla loro redditività: in particolare, a parità di altri fattori (rischio, volatilità, durata dell'investimento, etc.), un titolo scarsamente liquidabile, rispetto ad uno perfettamente liquido, può essere costretto ad innalzare il rendimento offerto in una misura pari ad 1/4 o addirittura 1/3 del tasso (ad es. se il titolo liquido offre un rendimento del 6% annuo, l'altro dovrebbe garantire un tasso compreso fra 7,5% e 8%).
Il riferimento appena riportato, tuttavia, è limitatamente significativo per il caso in esame. Infatti, trattandosi di elementi strutturali di un'azienda anziché di titoli mobiliari, è evidente che i requisiti prioritari debbano essere altri, per lo più connessi alla natura strumentale dei cespiti in questione: ne consegue che l'eventuale deprezzamento debba risultare più contenuto rispetto a quello testé quantificato.
Per stimare un corretto ammontare di tale deprezzamento si imposta qui di seguito un ragionamento più analitico. L'impossibilità di vendere un cespite a un investitore per poi condurlo in locazione, oppure di concederlo in garanzia per ottenere il rilascio di un prestito, può provocare una tensione finanziaria aggiuntiva nell'ambito della situazione aziendale. Per porre rimedio a questa tensione, è presumibile che l'azienda possa comunque conseguire un finanziamento (qualora non vi riuscisse perché incapace di fornire risultati economici soddisfacenti, il problema si traslerebbe dal livello finanziario a quello operativo, e dunque dipenderebbe da fattori estranei al presente oggetto), ma a patto che corrisponda un tasso d'interesse maggiorato rispetto a quello usualmente applicabile. Indipendentemente dal livello generale dei tassi (e dal saggio che in effetti incide l'azienda), si è stimato che tale maggiorazione di tasso, dovuta alla tensione finanziaria aziendale, possa essere determinata nella misura del 3% annuo. Ne consegue che lo svantaggio afferente i beni in concessione possa essere commisurato alla suddetta maggiorazione del tasso d'interesse, da applicarsi sul valor capitale di detti beni (il cui importo, qualora fossero stati in proprietà, avrebbe potuto essere monetizzato, evitando all'azienda di andare a chiedere la concessione di finanziamenti ulteriori privi di garanzie reali). Se la durata di tale svantaggio potenziale si estende all'intero periodo della concessione, è tuttavia presumibile che non tutti i 30 anni siano caratterizzati da condizioni di tensione finanziaria: ipotizzando che, di norma, una simile situazione si verifichi solamente una volta ogni tre anni, il suddetto svantaggio medio annuo può infine essere determinato nella misura di (3%:3) = 1%.
Per ogni singolo cespite, dunque, l'ammontare del deprezzamento in esame è stimabile tramite il valore attuale di una rendita (negativa) pluriennale, il cui termine annuo è pari al 1% del valore residuo del bene alla data della presente perizia; la durata di tale rendita è uguale a 29 anni e 4 mesi. Il tasso di attualizzazione da applicare a tale rendita dovrebbe rappresentare un mero aggiornamento finanziario atto a bilanciare il trascorrere del tempo, e come tale potrebbe equivalere a un normale tasso passivo di conto corrente (quantificabile, come meglio illustrato in un capitolo successivo, nella misura del 6,5%). Senonché, da tale tasso occorre detrarre la componente inflattiva, visto che il valore residuo del cespite utilizzato per il calcolo della rendita non include l'inflazione: ipotizzando un tasso medio d'inflazione durante il trentennio pari al 2,50%, il tasso di attualizzazione adottato risulta il 4%. A seguito dell'applicazione di questa riduzione del valore, la stima dei beni in concessione scende di €.nnn.nnn.
Tuttavia, a fini di maggiore prudenzialità, nella stima di tali beni si è voluto tener conto anche di un'altra potenziale componente negativa. In altro capitolo della presente relazione si è già evidenziato come, nell'ambito delle trasformazioni normative in fieri, le concessioni inerenti i servizi idrici rilasciate senza svolgimento di gara pubblica potrebbero essere interrotte prima della loro scadenza contrattuale. Essendo questo il caso in oggetto, vale la pena sviscerare meglio la questione. Si è infatti rilevato che le concessioni ricevute dall'ex Municipalizzata furono affidate in modo perfettamente consono alla normativa vigente; ne consegue che, qualunque novazione legislativa dovesse andare a ledere gli interessi consolidati di una delle Parti (oltretutto ormai configurabile come una società privata), scatteranno meccanismi atti a compensare tale lesione. In altre parole, qualora si verificasse che:

- l'azienda consegue un reddito dalla gestione annua della sua attività,
- la stessa società ha diritto a proseguire detta attività fino al 2031,
- in un momento precedente a tale scadenza contrattuale l'affidamento dovesse interrompersi per fatti non imputabili alla concessionaria,

o la nuova norma stabilirebbe indennizzi per le società danneggiate, o queste potrebbero presumibilmente agire in via giudiziaria.
Un simile stato di cose si riferisce ovviamente alla concessione trentennale del servizio, e non a quella dei beni demaniali. Infatti, pur essendo evidente che, nell'ipotesi di interruzione anticipata del servizio, anche la disponibilità dei beni tornerebbe in capo al Comune (essendo tali beni strumentali al servizio stesso), in relazione a questo fenomeno l'azienda non avrebbe modo di pretendere alcuna forma di risarcimento. Tale concessione, infatti, prevede la corresponsione annua di un onere concessorio, ragion per cui si inquadra nell'ambito dei contratti sinallagmatici iterativi, ossia a prestazioni corrispettive ripetute nel tempo: per una simile tipologia contrattuale, l'interruzione anticipata difficilmente comporta la possibilità di risarcimenti, considerato che, nel caso in esame, l'azienda non potrà più disporre dei cespiti, ma non dovrà nemmeno più versare l'onere annuo.
In questo punto della perizia, tuttavia, l'obiettivo consiste nell'individuare le differenze esistenti fra l'effettiva disponibilità dei beni in concessione e l'ipotesi in cui gli stessi fossero di proprietà aziendale, quantificandone le ricadute in termini valutativi. Con riferimento a questo confronto, è evidente che l'eventualità di un'interruzione anticipata della gestione del servizio idrico palesa una rilevante divergenza economica fra i due casi. Infatti:

a) nel caso (reale) dei beni in concessione, questi verrebbero sottratti all'azienda senza alcuna forma di indennizzo;
b) nel caso (teorico) dei beni in proprietà, l'azienda, qualora non dovesse risultare la futura affidataria del servizio idrico, potrebbe comunque locare i beni in esame alla nuova concessionaria, traendone un ulteriore reddito.

Dal momento che i cespiti in questione sono stati valutati come se fossero di proprietà aziendale, è evidente che, nel precedente caso sub a), la società registrerà minori redditi, in funzione dei mancati canoni figurativi di locazione a terzi. Traducendo tali minori redditi in termini di valore patrimoniale, la diminutio applicabile è uguale alla sommatoria dei valori attuali dei mancati canoni figurativi, ponderati per la probabilità che si verifichi realmente l'interruzione della concessione. Considerata l'attuale evoluzione della situazione normativa, il gran numero di disegni di legge esistenti e la lunghezza dei tempi che tali innovazioni richiedono, si è configurato il seguente modello probabilistico:

- fino all'anno 2009: probabilità zero;
- dal 2010 in avanti: probabilità crescenti gradualmente dal 5% al 15%, in ragione dell'1% annuo.

L'applicazione di questa seconda riduzione (calcolata per i 29 anni e 4 mesi residui della concessione) comporta un ulteriore calo del valore patrimoniale dei cespiti in concessione.
A conclusione del procedimento appena descritto, la decurtazione per il fatto che i cespiti in esame non sono di proprietà ammonta a circa 1/3 della valutazione precedentemente espressa.

3. Stima dei beni in concessione a valor d'uso
Questa seconda metodologia prende più direttamente in considerazione il fatto che i beni in esame non sono di proprietà, ma risultano in capo all'azienda solamente in forza del vincolo concessorio. Potrebbe quindi non essere corretto valutare tali beni per il loro valor capitale, dal momento che questo afferisce evidentemente la proprietà. Per l'impresa concessionaria, invece, il valore della concessione è pari alla stima di un ipotetico contratto d'affitto trentennale sulla globalità dei beni in oggetto, dal quale occorre detrarre il canone concessorio annuo facente carico all'azienda.
Come quantificare il canone annuo di mercato stimabile per l'ipotetico affitto dei beni in concessione?
Per ottenere una misura appropriata, per ogni singolo cespite si redige uno specifico piano di ammortamento, avente:

- valore attuale = valore residuo del cespite
- durata dell'ammortamento = durata tecnico-economica residua del bene
- tasso di interesse = 5,00%.

Il piano d'ammortamento è stato strutturato a rate costanti. Ne consegue che il canone annuo dell'affitto figurativo, stimato tramite tale rata, non risulta assoggettato ad alcuna forma di aggiornamento, contrariamente a quanto di solito accade per qualsiasi altro affitto.
La determinazione del tasso di ammortamento richiede una spiegazione più ampia. Il tasso 5,00% è stato determinato partendo dal tasso passivo corrente (6,5%) depurato dal saggio d'inflazione a lungo termine (2,5%) per ottenerne la versione reale e infine incrementato di un punto percentuale, ritenendo improbabile che il teorico proprietario dei cespiti si accontenterebbe del mero recupero di un tasso d'interesse passivo.
Sommando gli importi annui calcolati per ogni singolo cespite si ottiene il canone dell'affitto figurativo che dovrebbe essere corrisposto per l'utilizzo della totalità dei beni concessi. A fronte di tale canone ipotetico si pone l'effettivo onere concessorio annuo (che, per semplificazione e omogeneità col predetto canone figurativo, viene mantenuto costante nel tempo), e la differenza fra i due (se positiva) determina il vantaggio economico annuo. L'importo attribuibile alla concessione trentennale è dunque pari alla sommatoria attualizzata di tali vantaggi economici annui. Il tasso di attualizzazione rappresenta un mero aggiornamento finanziario atto a bilanciare il trascorrere del tempo (tasso passivo corrente del 6,5%), che, al netto della componente inflattiva, viene stabilito al 4%.
Nell'elaborazione del procedimento appena descritto è stato necessario procedere a una valutazione distinta dei due differenti rami aziendali interessati ("Acquedotto" e "Fognature") in considerazione del fatto che, come illustrato nelle prossime righe, le stime saranno sottoposte a verifica reddituale, la quale risulta maggiormente puntuale e attendibile qualora venga espletata per singola attività. La ripartizione dell'onere concessorio annuo è avvenuta in misura direttamente proporzionale al valore residuo dei cespiti componenti, rispettivamente, la rete acquedottistica e quella fognaria; tale proporzione ha comportato una ripartizione percentuale dell'onere per il 56% a carico dell'"Acquedotto" e per il restante 44% a carico delle "Fognature"
Come osservato, la stima del valore della concessione trentennale (computata per gli 88/90 residui) quantifica il vantaggio potenziale di cui l'azienda usufruisce avendo acquisito in concessione un organico complesso di beni a un canone annuo che si può considerare inferiore rispetto a un ipotetico affitto figurativo di mercato. Tuttavia, trattandosi di beni strumentali, detto vantaggio è realmente tale solamente qualora, tramite l'utilizzazione di questi beni, l'azienda sia in grado di produrre un'adeguata redditività. Conseguentemente, la valutazione di cui sopra non ha valore definitivo, ma solamente teorico e viene sottoposta, come si vedrà in seguito, alla verifica di natura reddituale, che potrà limitare l'effettiva iscrizione nell'attivo patrimoniale di tale voce. Nello specifico, tale verifica evidenzierà la percentuale massima entro la quale il valore stimato della concessione, trovando riscontro in un correlativo livello di reddito, può essere confermato.

LA VERIFICA REDDITUALE

1. Aspetti generali della verifica reddituale
Dopo aver effettuato la stima patrimoniale, è necessario verificare se gli importi che derivano da detta stima trovino o meno rispondenza nei risultati economici dell'azienda. A tal fine, si procede alla cosiddetta verifica reddituale, stimando in primo luogo i ricavi e i costi. Questa stima deve avvenire in chiave prospettica, ragion per cui:
- si è effettuata una disamina dei risultati emersi dagli ultimi bilanci aziendali (precedenti alla costituzione della nuova s.p.a.);

- si è esaminato il budget triennale elaborato dai responsabili aziendali;
- si sono esaminati i consuntivi alla data del 30 aprile;
- si sono effettuate alcune prospezioni sulle possibili tendenze dei prossimi anni.

E' importante evidenziare il diverso approccio adottato per la presente stima reddituale rispetto a quella che costituirà la base per la successiva metodologia dei flussi finanziari. In questo caso, infatti, ci si è limitati a recepire i valori presenti nella contabilità degli ultimi anni e nei budget del prossimo triennio, esaminandone la congruità ed apportando alcune modifiche. Viceversa, allorché si stimeranno i costi e i ricavi per la simulazione economico-finanziaria che porterà alla determinazione dei flussi di cassa, la stima si svincolerà maggiormente dal sistema di consuntivazione e preventivazione contabile aziendale. L'analisi peritale sezionerà ogni singola posta contabile, individuando le ragioni, i fattori produttivi, le interazioni operative e le relazioni parametriche che sono alla base dell'insorgenza e della quantificazione di detta posta, fissandone conseguentemente la stima.
Al termine di questa analisi, per ogni specifica voce di ricavo e di costo si sono determinate delle previsioni riferite a tre anni (il 2002, il 2003 e un esercizio "a regime", che configuri la situazione di un'azienda oramai definitivamente affrancata dall'originaria matrice pubblica, operante sul libero mercato). Gli importi sono stati inseriti a valori costanti, senza includere cioè alcuna revisione connessa a fenomeni inflattivi o tariffari: le uniche variazioni computate, pertanto, sono di natura quantitativa e non meramente monetaria; in questo modo i tre anni evidenziati sono perfettamente comparabili fra loro,

2. La stima dei ricavi annui
Si evidenziano qui di seguito solamente le tipologie di poste che presentano problematiche specifiche.

· Ricavi di vendita
Si ritiene che possano restare costanti nel tempo.

· Variazioni nelle rimanenze
Essendo in presenza di un'azienda erogatrice di servizi, che non svolge un ciclo produttivo caratterizzato dalla presenza di scorte, trattasi di una posta non rilevante ai fini della stima in corso.

· Altri ricavi
Con riferimento ad Acquedotto e Fognature, questa posta include un coacervo di singole voci, le più importanti delle quali sono connesse all'effettuazione di lavori straordinari per conto del Comune e, in minor misura, di privati. Azzardare delle previsioni circa la replicabilità di queste tipologie di interventi nei prossimi anni è oggettivamente complesso: in merito, si sono recepite le indicazioni provenienti dai responsabili aziendali.
Leggermente diverso è invece il ragionamento inerente la stima dei lavori connessi ai danni alluvionali. E' presumibile che tali lavori vadano progressivamente a scemare, considerato che, a seguito degli interventi effettuati, le probabilità di ulteriori danni dovuti agli eventi alluvionali sono oggi potenzialmente ridotte. A parte questa considerazione, non è ovviamente possibile ipotizzare quale potrà risultare, in futuro, la rilevanza degli eventi estremi e quantificarne i danni derivanti. Pertanto, la stima peritale ha provveduto, sia per il ramo "Acquedotto" che per le "Fognature". a calcolare la media decennale degli interventi eseguiti per danni alluvionali, riproducendo tale situazione anche in futuro, previa una riduzione del 30%.
Nell'ambito degli "altri ricavi" sono state contabilizzate anche le sopravvenienze attive, che sono state trattate seguendo una specifica metodologia. Infatti, allorché si procede a una verifica reddituale, è basilare, per prima cosa, che i conti economici considerati siano tutti omogenei e confrontabili fra loro: conseguentemente, si procede alla cosiddetta "normalizzazione" dei risultati, cercando di eliminare tutte le anomalie che possono differenziare l'andamento di un esercizio da quello degli altri. A tale scopo, si sono analizzati a ritroso i bilanci aziendali fino al 1991, evidenziando due differenti tipologie di sopravvenienze attive:
- voci di natura episodica (sopravvenienze attive in senso stretto, plusvalenze, etc.) il cui inserimento in bilancio tende ad alterare i risultati rispetto agli esercizi in cui non si verificano;
- contributi che sono stati erogati, nel corso dell'ultimo decennio, da parte di Regione, Provincia o altri datori pubblici.
Entrambe queste categorie di voci sono state "spalmate" nel corso degli anni, allo scopo di determinarne un valor medio. Quindi, se nel 2002/2003 è fondatamente previsto che tali poste sussistano, esse sono state conteggiate limitatamente al suddetto valor medio; altrimenti, non sono state computate. Nel cosiddetto anno "a regime", infine, si considerano interamente azzerate.

3. La stima dei costi annui
Come nel caso dei ricavi, si evidenziano qui di seguito solamente le tipologie di poste che presentano problematiche specifiche.

· Costi per l'utilizzo di beni di terzi
Una fra le poste di dimensioni prioritarie è rappresentata dal canone annuo per la concessione dei beni demaniali (acquedottistici e fognari). Quest'importo è stato trattato in maniera diversa, a seconda delle varie modalità valutative adottate. Nella stima patrimoniale a valori nominali viene inserito fra i costi. Al contrario, nella stima a valori rettificati, l'onere concessorio annuo, attualizzato e sommato, entra direttamente nel computo del valore della concessione, e dunque non è considerato come una posta del conto economico, onde evitare una palese duplicazione.

· Variazioni nelle rimanenze
Come già precisato con riferimento ai ricavi, questa posta non è significativa ai fini della verifica reddituale.

· Accantonamenti
Esistono varie motivazioni alla radice dei possibili accantonamenti.
Innanzitutto si prescinde dagli accantonamenti annui al fondo TFR, in quanto già inclusi negli oneri per il personale dipendente. Gli accantonamenti agli altri fondi rischi non sembrano particolarmente significativi, dopo che la stima peritale ha provveduto ad azzerare i fondi più consistenti, essendosi riscontrate condizioni oggettive di annullamento del rischio. Anche per quanto concerne il fondo rischi svalutazione crediti, la stima peritale ha individuato un ammontare nettamente più elevato rispetto alla quantificazione del rischio effettivo: conseguentemente, non si ritiene di dover adeguare tale posta con ulteriori accantonamenti.
L'unico fondo che potrebbe necessitare di un continuo accantonamento è quello previsto per calcolare i rischi di obsolescenza delle rimanenze di magazzino. In merito, occorre precisare quanto segue:

- la stima peritale ha inglobato tale fondo, effettuando una valutazione al netto del decremento fisico e funzionale dei beni;
- essendo il magazzino costituito prevalentemente da materiali per le manutenzioni delle reti, i rischi di obsolescenza sono relativamente contenuti, e configurabili solamente nell'ipotesi di una lunga permanenza dei beni in azienda prima della relativa posa in opera;
- viceversa, detto magazzino presenta una buona velocità di rotazione, e una verifica compiuta alla fine di luglio ha constatato che buona parte dei beni in oggetto erano già stati utilizzati;
- negli anni non si sono registrate eccessive variazioni nell'ammontare complessivo delle rimanenze di magazzino.

Stanti queste caratteristiche, la creazione di un fondo potrebbe risultare pleonastica. Si tratta piuttosto di ipotizzare quale potrebbe essere, a fine anno, il valore delle rimanenze; ma considerato che, come già sottolineato altrove, trattasi di una società di servizi che non prevede l'accumulo di scorte, la stima delle variazioni annue nelle rimanenze, espletata a fini reddituali, può essere considerata trascurabile.
Dopo aver sgombrato il campo da tutte le forme tradizionali di accantonamenti, occorre invece soffermarsi su una peculiarità che caratterizza la situazione attuale e futura dell'azienda. Ci si riferisce in particolare al regime di proprietà di un grande impianto, realizzato congiuntamente a un'altra società. Come evidenziato in sede di valutazione specifica di tale immobilizzazione, la parte costruita dall'azienda in esame è notevolmente più costosa rispetto all'altra. Ad oggi, ognuna delle due aziende risulta proprietaria della parte di pertinenza, ma, trascorsi venti anni dall'entrata in funzione dell'opera, l'intero impianto diventerà di proprietà comune fra le due aziende, in regime di perfetta parità (50%-50%) e senza che sia previsto alcun conguaglio in denaro.
E' evidente che una tale situazione genera una palese disparità, che incide negativamente sul patrimonio aziendale. La metodologia per riprodurre un simile processo dispone di varie opzioni di rappresentazione.
Una prima ipotesi andrebbe ad incidere sull'ammortamento della sezione dell'impianto già di proprietà dell'azienda che, anziché essere ripartito in un arco di 40 anni, verrebbe spezzato in due parti:

- per metà del valore (rimanendo anche in futuro la proprietà in capo all'azienda), resterebbe l'ammortamento quarantennale;
- per l'altra metà (che dovrebbe passare in capo all'altra società), l'ammortamento dovrebbe accorciarsi a soli 20 anni.

In sintesi, l'immobilizzazione in oggetto verrebbe ammortizzata secondo l'aliquota annua del 3,75% (intermedia fra 2,50% e 5%).
Allo scadere del ventennio, poi, emergerebbe una sopravvenienza attiva da inserire in bilancio, dovuta all'acquisizione gratuita del 50% dell'altra parte dell'impianto.
Una simile soluzione, sebbene corretta in termini meramente contabili, presenterebbe due gravi difetti. In primis, altererebbe il corretto processo di ammortamento tecnico dell'impianto, certificato nei suddetti 40 anni sia da apposite perizie tecniche, sia dagli impegni assunti dall'impresa costruttrice. Secondariamente, non sarebbe utile ai fini della valutazione patrimoniale, a meno che non si volesse attualizzare il valore futuro del 50% della tratta attualmente in proprietà all'altra società per inserirlo nel patrimonio dell'azienda in esame, procedura per altro non corretta, visto che anticiperebbe ad oggi il momento traslativo del diritto di proprietà.
Si è dunque optato per una seconda soluzione, qui di seguito dettagliatamente descritta. Stimato il valore della parte di impianto di proprietà dell'altra società e applicando un ammortamento lineare, si determina il valore residuo allo scadere dei primi 20 anni di funzionamento, dunque il valore della quota che passerà in proprietà all'azienda in esame (50% di tale importo residuo).
Il medesimo procedimento può essere espletato relativamente alla parte di impianto attualmente di proprietà dell'azienda in esame. Poiché fra 20 anni avverrà lo scambio delle comproprietà, l'azienda riceverà il 50% della parte dell'altra società, mentre dovrà cedere il 50% della propria parte: dalla differenza fra i due valori si evince che l'operazione configurerà quindi, a carico dell'azienda in esame, una sopravvenienza passiva di importo predeterminato.
E' pertanto necessario inserire nella stima peritale tale sopravvenienza.
Un primo metodo potrebbe consistere nell'attualizzarne il valore, inserendolo fra le passività patrimoniali, alla sorta di una stregua di debito nei confronti dell'altra società. Anche in questo caso, però, una scelta siffatta equivarrebbe ad anticipare effetti reali che si verificheranno solamente fra venti anni.
Si opta perciò per una seconda soluzione, perfettamente compatibile col sistema contabile. Si inserisce nelle passività un fondo di accantonamento ad hoc, alimentato da un accantonamento annuo pari a 1/20 della suddetta sopravvenienza.

· Ammortamenti
A differenza di quanto avvenuto per tutte le altre poste, la stima degli ammortamenti è stata quantificata prescindendo dagli importi contabilizzati dall'azienda. In effetti, questa categoria di importi può essere calcolata solamente con riferimento alla valutazione delle immobilizzazioni, che costituisce un elemento essenziale dell'attività peritale. Se gli importi capitali differiscono, le aliquote considerate ai fini del computo, invece, sono le stesse assunte dall'azienda nel proprio sistema amministrativo.
Il calcolo degli ammortamenti costituisce la chiave di volta del modello di verifica reddituale. Questa tipologia di costi, infatti, è direttamente proporzionale al valore delle immobilizzazioni: ne consegue che la stima dei capitali fissi viene stabilita in funzione dei livelli di ammortamento sostenibili in presenza degli importi di reddito prefigurati. Non avrebbe dunque senso specificare in questo punto l'ammontare degli ammortamenti, che rappresentano invece una voce correlata all'incognita prioritaria del processo valutativo, vale a dire la stima delle immobilizzazioni.

· Proventi/Oneri finanziari
La stima della gestione finanziaria si avvale sia dei risultati contabili consolidati degli ultimi anni, sia del computo esatto degli interessi passivi sui mutui, che rappresentano la stragrande maggioranza degli oneri finanziari. Al riguardo, è importante sottolineare il fatto che, proseguendo nei rispettivi piani di ammortamento, i singoli mutui vanno gradualmente ad estinguersi, e in modo particolare la quota interessi si riduce piuttosto rapidamente: è quindi intuibile che nei prossimi anni l'ammontare di questa categoria di costi sarà sempre più limitato. Quale logica conseguenza, nella simulazione dell'anno "a regime" si è deciso di azzerare l'importo degli interessi di mutuo.

4. Lo schema del conto economico e la determinazione dei risultati
Per espletare la verifica reddituale si è impostato uno schema generale di conto economico atto a consentire, a differenti livelli successivi, altrettante opportunità di controllo. Detto schema parte dagli importi dei ricavi e dei costi operativi precedentemente evidenziati, per integrarli con altri elementi positivi e negativi connessi alla gestione aziendale.

· Schema del conto economico scalare

+ Ricavi totali
- Costi operativi
______________________
= Margine Contributivo
- Ammortamenti, accantonamenti, IRAP
______________________
= Risultato Caratteristico
+/- Proventi/Oneri finanziari
+ Recupero inflattivo su interessi passivi
- Perdita inflattiva su interessi attivi
______________________
= Utile Lordo
- IRPEG
______________________
= Utile Netto
+ Interessi passivi
- Risparmio fiscale su interessi passivi
______________________
= Reddito Normalizzato (N.O.P.A.T.)
 

· Il Margine Contributivo
Sottraendo dai ricavi i costi operativi, si determina l'ammontare del Margine Contributivo, che costituisce un parametro particolarmente significativo nei confronti interaziendali: tale importo, infatti, prescinde dalla quantificazione di quelle poste (come ammortamenti e accantonamenti) che spesso dipendono più da politiche di bilancio che da effettivi computi tecnici.

· Il Risultato Caratteristico
Detraendo dal Margine Contribuivo ammortamenti e accantonamenti, si ottiene il Risultato Caratteristico, che riproduce l'andamento economico di un'impresa al lordo della gestione finanziaria e fiscale. A rigore, quindi, tale parametro dovrebbe includere anche l'IRAP; considerato però che tale imposta (a differenza dell'IRPEG e della vecchia ILOR) non si commisura unicamente sul reddito aziendale, ma comprende nell'imponibile anche alcuni costi aziendali (principalmente gli oneri per il personale e gli interessi passivi), essa risulta totalmente svincolata dalla gestione finanziaria e sembra maggiormente ascrivibile alla gestione operativa che a quella fiscale. Conseguentemente, il calcolo del Risultato Caratteristico viene effettuato al netto dell'IRAP.
Non solo, ma, considerato che l'IRAP non è fiscalmente deducibile, occorre tener conto anche della sua incidenza nel successivo calcolo dell'IRPEG. La soluzione più immediata sarebbe quella di inserire l'ammontare dell'IRAP nell'imponibile su cui si applica l'aliquota IRPEG: si tratterebbe, fra l'altro, di una fedele riproduzione della realtà. Considerato tuttavia che si intende procedere ad una verifica reddituale su vari livelli, una simile soluzione riverserebbe quest'onere aggiuntivo solamente sull'ultimo stadio, quello dell'Utile Netto, rendendo disomogeneo il confronto verticale. Si è dunque deciso di considerare l'indeducibilità dell'IRAP già in fase di Risultato Caratteristico, moltiplicando l'importo di tale imposta per 1,34 (ossia incrementandolo della presunta aliquota IRPEG): in questo modo, l'effetto negativo è riscontrabile a tutti i livelli, e non crea disparità di confronto.
Fatta eccezione per l'ammontare dell'IRAP (che peraltro rappresenta un'imposta diretta anomala), il parametro definito come Risultato Caratteristico è esattamente uguale a quello che nella letteratura tecnica aziendale di lingua inglese viene chiamato EBITDA (Earnings Before Interests, Taxes, Depreciation and Amortments).

· L'Utile Lordo
Al Risultato Caratteristico si assommano gli effetti della gestione finanziaria per ottenere l'Utile Lordo. Considerato che la verifica reddituale viene svolta su base statica, ossia senza prevedere variazioni di prezzi e costi unitari, i tassi di interesse applicati alle voci della stima patrimoniale sono di natura reale (al netto del saggio di inflazione). Per garantire l'effettiva confrontabilità fra tali stime e i risultati economici, è dunque necessario che pure questi siano depurati della componente inflazionistica: l'ammontare degli interessi attivi e passivi viene dunque diminuito di tale percentuale. D'altronde, se A presta a B 1.000 Euro al tasso d'interesse del 10% e l'inflazione corrente è del 3%, dopo un anno B restituirà a A 1.100 Euro, ma il potere d'acquisto di tale somma, confrontata coi 1.000 Euro originali, sarà di €.( 1.100 : 1.03 ) = €.1.068. A fronte di 100 Euro di interessi nominali, dunque, gli interessi reali equivalgono solamente a 68 Euro: gli altri 32 Euro rappresentano pertanto una perdita di potere d'acquisto per A (e un corrispondente recupero per B).
In inglese, l'Utile Lordo viene definito EBIT (Earnings Before Interests and Taxes).

· L'Utile Netto
Detraendo dall'Utile Lordo la fiscalità (nella fattispecie la sola IRPEG), si perviene all'Utile Netto, che rappresenta l'effettivo guadagno dell'impresa, che potra essere distribuito sotto forma di dividendi, oppure accumulato per accrescere il valore aziendale. Nell'intera perizia, inclusa la sezione dedicata al DCF, l'aliquota dell'IRPEG è stata considerata pari al 34%, conformemente a quelli che dovrebbero essere i nuovi dettami fiscali per gli anni a venire.

· Il Reddito Normalizzato (N.O.P.A.T. - Net Operating Profit After Taxes)
Un'ultima elaborazione viene effettuata per rifarsi al concetto aziendale del cosiddetto E.V.A. (Economic Value Added), procedura che intende calcolare l'effettiva quantità di ricchezza creata (o distrutta) dall'esercizio in esame. All'uopo, si sommano all'Utile Netto gli interessi passivi, al netto non solo della componente inflattiva, ma anche di quella fiscale, pervenendo in questo modo al calcolo del Reddito Normalizzato (in inglese, N.O.P.A.T., ossia Net Operating Profit After Taxes).

5. La strutturazione della verifica reddituale
Per espletare la verifica reddituale della stima patrimoniale, si individuano cinque successivi livelli di confronto, riportati nelle seguenti tabelle. Nella colonna di sinistra sono indicati i parametri risultanti dallo sviluppo del conto economico scalare, mentre in quella di destra sono specificati i correlativi elementi di confronto, calcolati applicando alle stime patrimoniali (rispettivamente, attività e netto) indici e coefficienti rappresentativi del mercato. Nei casi in cui i parametri derivanti dalla verifica economica sono maggiori rispetto agli elementi di confronto, la stima patrimoniale è suffragata da un adeguato riscontro reddituale, e talvolta si potrebbe addirittura individuare l'esigenza di incrementarla, aggiungendovi un plusvalore (goodwill). Viceversa, qualora gli importi della colonna sinistra non riescano a raggiungere quelli della colonna destra, significa che la stima patrimoniale non è supportata da una sufficiente redditività, ragion per cui dovrebbe essere ridotta sottraendovi un minusvalore (badwill).
L'analisi reddituale aveva individuato una simulazione di conto economico riferita a tre differenti esercizi (2002, 2003 e "a regime"); per consentire la presente verifica, si è effettuata la media aritmetica dei tre valori.
Ai fini di una maggiore completezza, oltre alla verifica reddituale vera e propria (i cui risultati sono riportati nella prima tabella, ed hanno quali elementi di confronto livelli di redditività proporzionali al dimensionamento delle principali poste patrimoniali), si è espletata anche una verifica indiretta, i cui termini di paragone sono rappresentati dalla rilevazione dei medesimi parametri presso aziende del medesimo settore, riscontrati tramite un'attività di benchmarking. Uno schema di applicazione di tale comparazione è riprodotto nella seconda tabella.

VERIFICA REDDITUALE

parametro valore atteso

RISULTATO CARATTERISTICO

Fonti finanziarie stabili x W.A.C.C.

UTILE LORDO

Patrimonio Netto x rendimento % lordo atteso

UTILE NETTO

Patrimonio Netto x rendimento % netto atteso


 

COMPARAZIONE INTRASETTORIALE

parametro

valore atteso

MARGINE CONTRIBUTIVO

Attivo Patrimoniale x indice medio di mercato

RISULTATO CARATTERISTICO

Attivo Patrimoniale x R.O.I. di mercato

UTILE NETTO

Patrimonio Netto x R.O.E. di mercato

REDDITO NORMALIZZATO

Capitale Investito x W.A.C.C.


Al fine di modificare l'importo della stima patrimoniale tramite l'applicazione di plus/minusvalenze si utilizza esclusivamente la verifica reddituale, rimandando la comparazione intrasettoriale ad un capitolo successivo.

6. Risultanze della verifica reddituale
· Verifica reddituale sulla stima patrimoniale a valori nominali
La modifica della stima patrimoniale tramite l'introduzione di minusvalenze deve in primo luogo considerare la differente natura delle varie tipologie di minusreddito. Dal momento che l'importo soggetto a rettifica è quello del patrimonio netto, che rappresenta il valore dell'azienda per il soggetto proprietario, è evidente che tale voce può essere direttamente modificata solamente tramite l'insorgenza di plus/minusredditi connessi all'Utile Netto: infatti, è proprio l'Utile Netto che accresce automaticamente la "ricchezza" dell'imprenditore, o tramite distribuzione di reddito, o tramite creazione di riserve che consolidano il valore aziendale. A seguito di tale considerazione, le altre due tipologie di plus/minusreddito devono essere riportate necessariamente alla terza.
Il passaggio dal risultato caratteristico all'utile netto comporta due successivi passaggi: l'inserimento della gestione finanziaria e di quella fiscale (con esclusione dell'IRAP che, come precisato in precedenza, è stata inserita nella gestione caratteristica). Per considerare la gestione finanziaria, occorre rilevare l'incidenza del suo risultato rispetto al risultato caratteristico. L'incidenza della gestione fiscale è ovviamente rappresentata dall'IRPEG, e dunque assomma al 34%. Conseguentemente, è possibile scrivere le seguenti equazioni:

- da plus/minusreddito su Risultato Caratteristico a plus/minusreddito su Utile Netto:
p./m.(UN) = p./m.(RC) x ( 1 - RF : RC ) x ( 1 - 34% )

- da plus/minusreddito su Utile Lordo a plus/minusreddito su Utile Netto:
p./m.(UN) = p./m.(UL) x ( 1 - 34% )

dove
p./m.(UN) è il plus/minusreddito rapportato all'Utile Netto
p./m.(RC) è il plus/minusreddito sul Risultato Caratteristico
p./m.(UL) è il plus/minusreddito sull'Utile Lordo
RF è il Risultato della Gestione Finanziaria
RC è il Risultato Caratteristico

· Verifica reddituale sulla stima patrimoniale a valori rettificati
E' stata effettuata una verifica reddituale per ognuno dei tre rami d'azienda "Acquedotto", "Fognature" e "Laboratorio". Prima di descrivere il procedimento adottato, è opportuno evidenziare la principale differenza metodologica fra la verifica della stima a valori nominali e quella della stima a valori rettificati.
Nella stima patrimoniale a valori nominali l'ammontare del patrimonio netto è fisso, visto che la quantificazione dei beni in concessione demaniale, desunta dal loro valor capitale, è indipendente dall'esistenza di plus/minusredditi. Nella stima patrimoniale a valori rettificati, invece, l'importo di tali cespiti, essendo determinato in ragione del valor d'uso, è strettamente connesso ai livelli di redditività aziendale. Nello specifico, si rammenta che i massimi importi attribuibili alla concessione demaniale mediante il valor d'uso sono confermabili solamente nel caso in cui la verifica reddituale individuasse almeno un parametro dei tre sopra evidenziati (Risultato Caratteristico, Utile Lordo, Utile Netto) rispondente alle aspettative: in questo caso, infatti, si rileverebbero minusvalenze relativamente ridotte. Al contrario, nell'ipotesi in cui tutti e tre i parametri fossero nettamente inferiori ai corrispondenti valori attesi, non sarebbe corretto confermare una stima della concessione elevata, per poi modificare, a seguito della scarsa redditività, il valore aziendale nel suo complesso, in misura indifferenziata. In questo secondo caso, quindi, si è deciso di correggere a monte il valor d'uso della concessione, riducendolo percentualmente fino al livello in cui almeno uno dei tre parametri diventi conforme.

7. La modifica del patrimonio netto
· Trasformazione dei plus/minusredditi in plus/minusvalenze: il lasso temporale
La verifica reddituale ha condotto alla determinazione di plus/minusredditi, che sono stati omogeneizzati rapportandoli al parametro dell'Utile Netto. Il maggiore o minore reddito netto annuo equivale a un aumento/diminuzione del patrimonio netto. Occorre stabilire per quanti esercizi possano protrarsi le condizioni economiche e aziendali che hanno determinato i risultati presi in considerazione.
Un primo approccio consisterebbe nella tecnica della "capitalizzazione illimitata": l'importo del plus/minusreddito viene diviso per il tasso di attualizzazione (di cui si tratterà fra poco) come se detta differenza reddituale (positiva o negativa che sia) si ripetesse in perpetuo. Una simile soluzione, però, appare troppo semplicistica, dettata presumibilmente da motivazioni d'ordine aritmetico più che di natura valutativa. In merito è opportuno precisare quanto segue:

- il perito deve sforzarsi di individuare quali sono le principali motivazioni che hanno condotto all'insorgenza di disparità reddituali, e stimare se, in quale misura e per quanto tempo, in futuro, dette motivazioni potranno perdurare;
- a fini prudenziali e a parità di altre condizioni oggettive, è buona norma attribuire periodi di replicabilità più prolungati a situazioni di minusreddito piuttosto che a quelle di plusreddito.

Su questo tema si riportano alcuni passi tratti da Guatri, Trattato sulla Valutazione delle Aziende, EGEA, 1998:

"Nell'impostazione originale del metodo misto patrimoniale-reddituale con stima autonoma del Goodwill la definizione di n (numero degli anni di considerazione del sovrareddito) è la base stessa del procedimento, che si fonda su di una limitata durata del profitto, in quanto si suppone che le condizioni generatrici di reddito oltre la norma non possono durare a lungo e siano quindi destinate ad estinguersi o ad attenuarsi nel corso di alcuni anni. E' evidente la natura prudenziale di tale atteggiamento, che dovrebbe portare ad una valutazione per difetto del Goodwill. Perciò, secondo la prassi un tempo più diffusa, n poteva variare da 3 a 5 anni.
Nel tempo l'evoluzione concettuale che il metodo ha seguito, con l'abbandono della necessaria prevalenza della componente patrimoniale e la crescente rilevanza attribuita agli aspetti reddituali, ha condotto ad una sostanziale revisione di tali indicazioni. Per aziende dotate di elevata e stabile redditività, per le quali ragionevoli previsioni e attese possono spingersi in là nel tempo, i valori di n possono giungere a 10 anni."
"Nel calcolo del badwill la pratica assumeva un tempo durate comprese tra i 3 e 5 anni, come le antiche regole usavano per il goodwill. Tale riferimento era spiegato con due ordini di considerazioni.
In primo luogo, con limitata ampiezza del possibile orizzonte economico, cioè del tempo entro il quale sarebbe stato possibile condurre previsioni in ordine ai risultati della gestione. Su periodi più lunghi le previsioni sarebbero diventate incerte; e tra l'altro prive dei riferimenti ai Piani aziendali formalizzati (il cui limite, di regola, non supera i 5 anni).
In secondo luogo, per l'ulteriore motivo che la continuazione delle perdite oltre un certo numero di anni non sarebbe stata sopportabile. Provvedimenti radicali si sarebbero imposti per frenare l'emorragia, comprese la cessazione dell'attività e la liquidazione.
Le anzidette spiegazioni non sono affatto convincenti e vengono oggi escluse. Non è certamente convincente la seconda, per la buona ragione che, in ogni caso, l'ipotesi liquidatoria genera comunque una liquidazione del badwill; e dunque operare anche su n sarebbe fonte solo di confusione concettuale.
Ma non lo è neppure la prima, poichè l'incertezza crescente delle perdite future non è motivo sufficiente per limitare la durata di n: siamo qui in presenza di un caso classico in cui le ragioni di prudenza giocano alla rovescia. In sostanza, la allo scadere dei primi 20 anni di funzionamento, crescente incertezza dei risultati sarebbe motivo per migliorare il valore attribuito all'azienda. In realtà non vi è concettualmente alcuna ragione per limitare il valore di n. E' anzi vero il contrario: cioè che la stima delle perdite dev'essere spinta al massimo, fin tanto che vi siano fondate ragioni per temere che esse continuino a manifestarsi.
E' peraltro indiscutibile che via via che ci si allontana nel futuro, i dati di perdita diventano progressivamente più incerti. Come più volte si è detto, l'esperienza insegna come sia ben difficile che le previsioni di perdita possano essere considerate attendibili al di là di 2-3 anni. Oltre questi termini si hanno quasi sempre gravi elementi di incertezza, per lo più originati dal dubbio esito delle azioni correttive e dei rimedi che le aziende interessate hanno posto o si apprestano a porre in atto. Per tale motivo, quando il calcolo del badwill va oltre il triennio, risulta difficile assumere nei calcoli la misura delle singole perdite annuali. Può così accadere che le singole perdite siano adottate per 2-3 esercizi futuri, mentre per i successivi ci si deve accontentare di una misura media del risultato stesso."

Contestualizzando questi ragionamenti d'ordine generale nell'ambito della specifica valutazione in corso, occorre evidenziare come gran parte delle disparità emerse dipendono direttamente anche dalle differenti metodologie valutative adottate. Infatti:

- la stima dei beni in concessione a valori nominali ha determinato il valor capitale di questi cespiti, trattando l'onere concessorio annuo alla stregua di qualunque altro costo di esercizio; ne consegue che la stima patrimoniale è risultata piuttosto consistente, e i costi annui elevati (situazione atta a generare minusredditi);
- la stima dei beni in concessione a valori rettificati, avendo adottato un valore d'uso al netto degli oneri concessori attualizzati, ha determinato un valore patrimoniale più contenuto, ma anche costi annui sensibilmente più bassi (situazione atta a generare plusredditi).
Questi due rilievi dovrebbero indurre a ritenere le differenze reddituali sostanzialmente stabili nel medio-lungo periodo, suggerendo quindi una loro permanenza nel tempo.

Stanti tutte le precedenti considerazioni, si è operato come segue:

- Gestione Idrica Integrata (Stima patrimoniale a valori nominali)
Trattasi di un plusreddito che, vista la metodologia di calcolo adottata, potrebbe perdurare a lungo. Stima della replicabilità: 5 anni.
- Acquedotto (Stima patrimoniale a valori rettificati)
Trattasi di un plusreddito che, vista la metodologia di calcolo adottata, potrebbe perdurare a lungo; prudenzialmente, tuttavia, è opportuno non assumere periodi troppo impegnativi. Stima della replicabilità: 5 anni.
- Fognature (Stima patrimoniale a valori rettificati)
Trattasi di un minusreddito che, vista la metodologia di calcolo adottata, potrebbe perdurare a lungo. Stima della replicabilità: 7 anni.
- Laboratorio (Stima patrimoniale a valori rettificati)
Trattasi di un lieve minusreddito che, in considerazione delle prospettive di sviluppo che sembra avere questo specifico ramo aziendale, potrebbe essere recuperato abbastanza rapidamente. Stima della replicabilità: 3 anni.

· Trasformazione dei plus/minusredditi in plus/minusvalenze: il tasso attuario
Dopo aver stabilito che una determinata azienda (o un ramo della stessa) registrerà una differenza reddituale ripetuta per n anni, è necessario tradurre questa informazione in un'effettiva modifica del patrimonio netto. La determinazione della plusvalenza (in inglese, goodwill) o minusvalenza (in inglese, badwill) patrimoniale non può limitarsi alla mera sommatoria delle suddette differenze, ma è necessario riportare le stesse al momento in cui avviene la stima.
L'altra variabile che caratterizza la trasformazione dei plus/minusredditi in plus/minusvalenze è dunque rappresentata dal tasso di attualizzazione. Anche a tale riguardo si riportano alcuni passi tratti da Guatri, op.cit.:

"A proposito del tasso di interesse si possono avere ben quattro impostazioni:
1) il solito tasso di attualizzazione valido per la specifica impresa;
2) secondo la classica impostazione dell'UEC, si tratta di un tasso particolarmente elevato, poichè deve scontare il rischio peculiare di cessazione del sovrareddito; come se tale condizione fosse contingente e tendenzialmente destinata a sparire (anche in ciò si può ravvisare l'impostazione prudenziale, anzi riduttiva, nella stima del goodwill, tipico dell'originaria impostazione del metodo);
3) il tasso va inteso come il puro compenso finanziario per il trascorrere del tempo; è dunque un mezzo per trasferire i valori del tempo tn , al tempo iniziale to; come tale è indipendente da problemi di rischio specifico dell'impresa e si collega a parametri finanziari "senza rischio" (ad esempo, al tasso di rendimento dei titoli dello Stato per corrispondenti durate): è dunque un tasso particolarmete contenuto;
4) il tasso, rispetto alla precedente soluzione, va almeno aumentato della componente "maggiorazione per l'investimento azionario".
La soluzione preferibile appare in bilico fra c) e d). Pur apparendo convincente la soluzione d), non si può infatti escludere il dubbio che i rischi d'impresa entrino due volte nel calcolo: nella determinazione del tasso di redditività atteso e in quella del tasso di attualizzazione."

Nell'ambito della stima in corso, si è ritenuto congruo considerare quale tasso di attualizzazione un saggio che esprimesse il mero trascorrere del tempo, dunque il tasso passivo corrente (6,5%), depurato del saggio di inflazione di lungo periodo (2.5%): ne consegue il 4%.

PROBLEMATICHE nella redazione di un D.C.F.
1. Il modello per il passaggio dalla simulazione statica alla dinamica
E' importante evidenziare il diverso approccio adottato per la costruzione del D.C.F. rispetto alla stima reddituale. Per quella, infatti, ci si è limitati a recepire i valori presenti nella contabilità degli ultimi anni e nei budget del prossimo triennio, esaminandone la congruità ed apportando alcune modifiche. Viceversa, allorché si stimano i costi e i ricavi per la simulazione economico-finanziaria, la stima si svincola maggiormente dal sistema di consuntivazione e preventivazione contabile aziendale. L'analisi peritale ha sezionato ogni singola posta contabile, individuando le ragioni, i fattori produttivi, le interazioni operative e le relazioni parametriche che sono alla base dell'insorgenza e della quantificazione di detta posta, fissandone conseguentemente la stima.
La riproduzione dei ricavi e dei costi di ogni singolo esercizio configura una situazione di carattere statico, cioè cristallizzata nel tempo. Per traslare questi dati negli anni successivi è stato necessario costruire un modellino di simulazione dinamica che riproduce l'evoluzione nel tempo delle variabili macroeconomiche. Qui di seguito si elencano per l'appunto tali variabili, specificando per ognuna di esse il meccanismo che ne determina la quantificazione.
Prima di tale elencazione, tuttavia, è opportuno evidenziare il funzionamento complessivo del modello. Infatti, dal momento che le variabili macroeconomiche sono determinate con l'ausilio di un generatore di numeri casuali che muta i propri valori ad ogni iterazione, la simulazione in oggetto non è univoca, ma conduce ogni volta a risultati differenti. Conseguentemente, per giungere alla valutazione oggetto della presente perizia è necessario ripetere n volte la simulazione, avendo presente che ad ogni iterazione cambiano tutte le variabili macroeconomiche, dunque anche i risultati conclusivi. Poiché la generazione dei numeri casuali può comportare una disparità fra il risultato minimo e quello massimo addirittura superiore al 25%, è evidente che bisogna replicare alcune migliaia di volte la simulazione, assumendo ai fini della valutazione la media dei risultati.
- Tasso d'inflazione
Il livello del tasso d'inflazione a inizio simulazione è il 2%. Il tasso d'inflazione medio previsto per l'intero periodo trentennale è il 3%. Il modello simula un graduale innalzamento del tasso dal livello attuale verso quello medio, con una serie di oscillazioni al di sopra e al di sotto di tale tendenza, determinate da una serie di numeri casuali generati dal programma.
- Tasso interbancario di riferimento (Euribor)
Come base, è stato commisurato al tasso d'inflazione, incrementandolo di una certa entità. Un generatore di numeri casuali ne determina l'oscillazione, per cui la maggiorazione rispetto al tasso d'inflazione può essere compresa fra 1,00 e 1,80 punti percentuali.
- Prime rate bancario
Come base, è stato commisurato all'Euribor, incrementandolo di una certa entità. Un generatore di numeri casuali ne determina l'oscillazione, per cui la maggiorazione rispetto all'Euribor può essere compresa fra 2 e 3 punti percentuali.
- Tasso passivo su nuovi mutui
Come base, è stato commisurato all'Euribor, incrementandolo di una certa entità. Un generatore di numeri casuali ne determina l'oscillazione, per cui la maggiorazione rispetto all'Euribor può giungere fino a 0,50 punti percentuali.
- Tasso attivo su eccedenze di c/c
E' stato determinato con riferimento all'Euribor. Se l'Euribor è minore del 4%, il tasso attivo è inferiore ad esso di 2 punti percentuali; in caso contrario, è pari alla metà dell'Euribor.
- Tasso attivo su titoli
E' stato ipotizzato a un livello intermedio fra il tasso d'inflazione e l'Euribor.

2. La traslazione dalla simulazione economica a quella finanziaria
Dopo aver determinato gli aspetti economici (ricavi e costi) della simulazione, è necessario tradurre gli stessi nelle componenti finanziarie (incassi ed eborsi) che ne saranno generate. In taluni casi questo processo può richiedere l'adozione di sofisticati modelli di trasformazione (ad es. per inserire la previsione di pagamenti rateizzati). Tuttavia, nell'ambito della stima in corso, l'estrema lunghezza dell'arco temporale e la scansione periodica piuttosto dilatata (intervalli cronologici di un anno) consentono di adottare la semplificazione di massima secondo la quale

- i ricavi/costi si traducono in incassi/esborsi nel medesimo esercizio di competenza.
Stante questo assunto di base, si disaminano qui di seguito tutte le eccezioni che sono state apportate per migliorare la veridicità del modello.

· Variazioni nei crediti verso clienti e debiti verso fornitori
Dopo aver rilevato la situazione clienti/fornitori, si è costruito uno schema sintetico per simulare le modifiche nel tempo dei saldi di natura commerciale. Per tale ragione si sono effettuate alcune suddivisioni, inerenti sia i ricavi che i costi.
Per quanto concerne ambedue le categorie, si sono evidenziate autonomamente le posizioni di debitori/creditori che, per le loro caratteristiche intrinseche, sono indotti a prolungare nel tempo le posizioni commerciali aperte (sia attive che passive).
Venendo più specificamente alle componenti negative del conto economico, queste sono state ripartite fra "costi esterni non differibili" (il cui pagamento, cioè, deve avvenire in tempi strettissimi) e "costi differibili"; in questa seconda categoria sono state incluse le seguenti voci:

- Canone concessorio e royalties
- Disinfezione acqua
- Acquisto Materiali
- Lavori di terzi per manutenzioni
- Manutenzioni e canoni
- Acquisti vari
- Quota delle prestazioni di servizi
- Spese generali

Successivamente si sono riscontrati, negli ultimi esercizi, le percentuali medie di incidenza dei saldi delle voci "clienti" e "fornitori" rispetto all'ammontare dei ricavi e dei costi differibili; tale analisi è stata differenziata in ragione dei singoli rami d'azienda. Dopo la rilevazione dei dati si è proceduto a delineare una presumibile ipotesi a regime, riprodotta nella seguente tabella:

IPOTESI A REGIME Acquedotto Fognature Laboratorio
Clienti / Ricavi 70% 30% 50%
Fornitori / Costi Differibili 100% 60% 80%

Conseguentemente, all'interno della simulazione, mentre per il primo anno si sono mantenuti i rapporti percentuali esistenti, si è previsto che nei cinque anni successivi si giunga gradualmente ad allinearsi con le indicazioni di cui sopra, che in seguito vengono mantenute inalterate nel tempo.

· Erogazioni di mutui bancari
Nella simulazione il trattamento dei mutui bancari e relativi piani di ammortamento è stato impostato distintamente dal resto degli incassi/esborsi. Questo, in considerazione del fatto che la presenza dei mutui modifica il rapporto fra mezzi propri e mezzi di terzi, con palesi ripercussioni sulla scelta dei tassi di attualizzazione più idonei.

· Rinnovi delle immobilizzazioni
Come noto, una posta che sfugge all'identificazione fra costi ed esborsi è rappresentata dalle immobilizzazioni, per le quali l'esborso coincide col momento dell'acquisto, mentre il costo è costituito dalla quota periodica di ammortamento che continua a maturare anche molti anni dopo l'iniziale uscita di cassa. E' per questa ragione che in tutti i manuali di tecnica aziendale gli ammortamenti (essendo costi che riducono il risultato economico senza intaccare quello finanziario) vengono definiti una forma di autofinanziamento dell'impresa.
Nella simulazione in esame, finalizzata alla determinazione dei flussi di cassa, gli ammortamenti non sono stati presi in considerazione. Si è invece inserita una posta dedicata ai rinnovi delle immobilizzazioni, ossia agli esborsi finanziari che vengono sostenuti man mano che i cespiti aziendali cessano la loro funzionalità e devono essere rimpiazzati.

· Fondi e debiti a medio/lungo termine
Questa serie di voci è stata trattata autonomamente rispetto al resto della simulazione.
- Fondo TFR
L'andamento di questo fondo è in funzione della composizione del personale dipendente. Considerato che la simulazione ha previsto nei prossimi anni una razionalizzazione operativa, si è ritenuto di ridurre gradualmente, nel primo quinquennio della simulazione, l'ammontare del fondo, che poi rimane praticamente invariato nel tempo.
- Debito netto verso Comune
Si ritiene che, col trascorrere del tempo e il progressivo allentarsi delle relazioni "storiche" col Comune, l'ammontare delle situazioni sospese vada via via scemando. Nella simulazione si presume che l'attuale debito netto non solo non si incrementi parallelamente all'inflazione, ma addirittura diminuisca progressivamente fino ad arrivare, al termine dei 30 anni, a una cifra corrispondente in valuta attuale a circa 1/15 dell'importo iniziale.
- Debiti verso clienti per depositi cauzionali = € 442.815,29
Trattasi degli importi che i clienti del servizio "Acquedotto" hanno versato a titolo di deposito cauzionale. Considerato che tali importi dovranno essere rimborsati agli utenti solamente dopo la conclusione del contratto, è presumibile che la sommatoria complessiva non venga intaccata; anzi, vista la normale evoluzione inflattiva, i nuovi depositi cauzionali saranno certamente superiori ai vecchi. Nella simulazione si ipotizza che ogni nuovo deposito cauzionale ammonti mediamente al doppio del valor medio unitario dei depositi preesistenti; il numero di tali nuovi depositi è pari all'incremento registratosi nel numero complessivo di utenti.

· Pagamento di debiti/crediti a breve termine
Il saldo di queste poste è stato previsto integralmente nel primo anno della simulazione.

· Utilizzo del magazzino
L'azienda dispone di un magazzino di materiali per le reti idriche. Si ipotizza che lo stesso venga interamente utilizzato nel primo biennio della simulazione. Ovviamente, l'utilizzazione di tale magazzino permette di non effettuare acquisti di materiale, quindi riduce gli esborsi per i primi due anni della simulazione.


3. Il valore finale dell'azienda
La redazione di simulazioni economico-finanziarie limitate nel tempo implica che sia necessario, al termine della simulazione, determinare il cosiddetto valore finale dell'azienda. Normalmente, infatti, mentre il piano dinamico ha una propria scadenza prefissata, l'impresa rimane in vita, continua a svolgere la propria attività e, presumibilmente, a conseguire utili.
Queste osservazioni, tuttavia, non sono integralmente riferibili alla stima di società erogatrici di servizi pubblici, considerata la stretta dipendenza dalle concessioni periodiche. Infatti, anche prefigurando una situazione a regime in cui la società in esame, gestita in modo privatistico, possa individuare nuove opportunità di sviluppo, è comunque indubbio che, secondo un'interpretazione ancorata a maggiore concretezza, essa resti prevalentemente legata al suo attuale ambito territoriale.
Quale logica conseguenza, la stima del valore non dovrebbe essere connessa all'azienda in generale, quanto piuttosto a singole sue componenti, nell'eventualità in cui potessero avere ancora una propria funzione economica autonoma. Nella fattispecie, si sono individuate tre specifiche categorie per la determinazione di potenziali valori finali.

· Immobili
E' questa la categoria di cespiti per la quale sembra maggiormente agevole preconizzare il mantenimento nel tempo dei propri valori.
Considerata la particolare specificità dei beni immobili, si ritiene opportuno prescindere dall'applicazione di qualsiasi forma di ammortamento. Se ciò è indubitabile per quanto attiene l'area edificabile, si rimarca altresì che i fabbricati, in qualità di beni strumentali, saranno stati utilizzati regolarmente per l'intero trentennio e dunque sottoposti alla consueta manutenzione. In ogni caso, a fini prudenziali, si decide di ridurre del 10% il valore dei capannoni, onde recepire ipotesi di eccessivo degrado o di obsolescenza tecnica, funzionale o di mercato.

· Reti idriche in proprietà
L'altra immobilizzazione di particolare rilevanza che potrà mantenere un proprio valore intrinseco anche dopo la scadenza delle concessioni trentennali è rappresentato dalla rete idrica in proprietà. E' infatti molto probabile che, indipendentemente dall'esaurimento o dall'eventuale rinnovo delle concesioni, tale rete possa continuare ad essere utilizzata anche al di là della scadenza di cui sopra. Ma come si può quantificarne il valore? La formula più attendibile consiste nel simulare un'ipotesi nella quale la rete viene concessa in locazione; il canone di tale locazione figurativa è stato stimato quale percentuale del fatturato annuo conseguibile in relazione all'acqua portata. Per determinare tale percentuale, si è osservata innanzitutto la situazione attuale: nell'azienda, il costo figurativo attribuibile alla rete equivale al 10% circa dei ricavi di vendita dell'acqua portata. Sembra dunque corretto attribuire la medesima percentuale al futuro canone potenziale. Quanto alla durata complessiva di tale locazione, successiva al trentesimo anno, a fini equitativi si è ritenuto di farla coincidere con i dieci anni di vita tecnica residua del cespite (il cui ammortamento è stato prefissato nell'arco di 40 anni).
Il valore della rete in proprietà nel 2031 è pertanto determinato da una rendita decennale attualizzata al consueto tasso di equivalenza finanziaria al netto dell'inflazione (i relativi valori sono quelli determinati dal modello di generazione automatica dei tassi).

· Prelazione sulle concessioni
La simulazione economico-finanziaria è stata sviluppata lungo l'arco temporale in cui vigono i contratti concessori (utilizzo dei beni acquedottistici e fognari, servizio acquedotto, servizio fognature). E' evidente che tali concessioni sono indissolubilmente legate fra loro (la gestione del servizio acquedotto e quella del servizio fognature sono inscindibili, mentre quella relativa all'utilizzo dei cespiti demaniali è chiaramente strumentale alle prime due, che altrimenti non sarebbero eseguibili). Il contratto prevede, alla scadenza del trentennio, una pubblica gara per l'attribuzione della nuova concessione, riconoscendo in tale sede all'attuale gestore un diritto di prelazione.
Alla luce della recente evoluzione normativa e di mercato che sta caratterizzando il settore delle acque potabili in Italia, l'effettivo riconoscimento futuro di tale prelazione potrebbe anche apparire incerto. La tendenza, infatti, è quella di andare verso un sistema organico di bandi pubblici per la concessione dei servizi acquedottistici, ma potrebbe addirittura accadere che le aziende municipalizzate che hanno conseguito tali concessioni in un precedente regime "protetto", non solo non possano usufruire di alcuna prelazione, ma siano addirittura escluse dalle gare future.
Ciònonostante, anche nel caso in cui l'azienda fosse impedita dall'esercitare la propria prelazione, è evidente che il radicamento prolungato sul territorio, la disponibilità di un organico tecnico consolidato e più in generale l'acquisizione di uno specifico know-how localizzato porrebbero la società in prima fila nell'eventuale gara, conferendole un vantaggio competitivo non indifferente.
Pertanto, sia nell'ipotesi di futuro esercizio della prelazione, sia in caso contrario, sembra corretto riconoscere comunque un valore connesso alle potenzialità aziendali per un'efficiente prosecuzione dell'attività e al vantaggio competitivo nei confronti di possibili concorrenti. La quantificazione di tale vantaggio è stata stimata nella misura del 2% sull'ammontare del fatturato annuo, che si ritiene un margine operativo che l'azienda, grazie alla sua conoscenza specifica, potrebbe essere in grado di "limare" rispetto alle altre imprese del settore.

· Il calcolo del valore finale dell'azienda
Il valore finale dell'azienda è quindi pari alla somma delle tre poste precedentemente definite e viene inserito nella simulazione economico-finanziaria in corrispondenza dell'anno 2031. In questo modo l'ammontare di tale voce verrà automaticamente attualizzato come tutte le altre componenti della dinamica finanziaria.


4. Le modalità per l'attualizzazione dei flussi di cassa
Il passo conclusivo di questa procedura estimativa consiste nel processo di attualizzazione dei flussi di cassa, che vengono tutti riportati all'inizio della simulazione. A questo punto, quindi, diventa cruciale la scelta del tasso.
Esistono più tipologie di tassi utilizzabili, così come varie modalità di attualizzazione adottabili. Qui di seguito si definiranno le principali alternative, confrontandole fra loro ed illustrandone i pro e i contro. In primo luogo, tuttavia, occorre specificare che tutti i tassi di interesse che saranno menzionati devono avere due caratteristiche essenziali:
- essere tassi lordi
la simulazione economico-finanziaria, infatti, viene effettuata al lordo delle imposte dirette (tranne l'IRAP che, per la sua anomala composizione, è stata inserita fra i costi), per cui l'effetto dell'IRPEG deve essere incluso nel tasso di remunerazione del capitale;
- essere tassi nominali e non reali
la simulazione economico-finanziaria è stata effettuata a valori correnti, quindi il tasso di attualizzazione deve essere al lordo della componente inflattiva.

· Tasso nominale lordo (n.l.) di remunerazione dei mezzi propri
Questo tasso, ovviamente, deve essere adottato per tenere conto della quota di reddito che viene richiesto dall'imprenditore. Normalmente, la metodologia dei flussi di cassa viene utilizzata per stimare i risultati di uno specifico investimento, che di solito si sviluppa interamente in un arco temporale predeterminato (ad es. un piano di investimenti mobiliari, un'iniziativa di project financing, un'operazione immobiliare). Trattasi cioè di situazioni che presentano, dall'inizio alla fine della simulazione, una struttura finanziaria esattamente predefinita e costante. In simili condizioni, la procedura utilizzata è la seguente:

- si determinano le fonti finanziarie di terzi e si inseriscono nella simulazione i flussi per il servizio del debito;
- a questo punto, i flussi di cassa residui rappresentano i movimenti del capitale investito dal promotore e dunque devono essere attualizzati applicando il tasso di remunerazione dei mezzi propri.

La metodologia appena descritta parte dal presupposto che la gestione finanziaria sia predefinita e costante nel tempo. Ad esempio, i prestiti ricevuti vengono portati ad estinzione e non sono rinnovati, perché anche le attività correlative si esauriscono; è il tipico caso di un mutuo fondiario a supporto di un'operazione immobiliare, che viene frazionato ed escluso dalla simulazione man mano che si vendono le singole unità immobiliari.
Per contro, nel caso in esame, trattandosi del normale andamento di un'azienda, che prosegue regolarmente negli anni la propria attività (incluso l'adeguamento della gestione finanziaria), l'adozione del metodo descritto sarebbe inadeguata, dal momento che "cristallizzerebbe" in modo immotivato la posizione debitoria. Infatti, considerato che la simulazione è trentennale mentre i piani di ammortamento dei mutui si estinguono molto prima, la suddetta procedura minimizzerebbe i risultati derivanti dal cosiddetto "effetto leva" che la capacità di raccolta finanziaria dimostrata dall'azienda consente. Viceversa, non si vede per quale ragione l'azienda, che ad oggi evidenzia una tale capacità, non dovrebbe confermarla in futuro, rinunziando automaticamente alla sottoscrizione di qualsiasi nuova forma debitoria.
In considerazione di tale rigidità e della distorsione che ne deriverebbe, si è deciso di non assumere questa prima metodologia.

· Il piano della gestione finanziaria
Per evitare l'inconveniente descritto, è possibile adottare svariate soluzioni. Quella presumibilmente più completa, che permette fra l'altro di conservare l'esatta riproduzione dei flussi di servizio dei debiti esistenti, consiste nell'impostazione di una gestione finanziaria dinamica, a integrazione della simulazione di base. Nell'ambito di tale gestione finanziaria si sono adottate le seguenti regole:

- man mano che procedeva l'ammortamento dei mutui già in essere si è ipotizzata la sottoscrizione di nuovi mutui, limitatamente al 90% delle quote capitali restituite;
- per evidenti motivi di verosimiglianza, tale sottoscrizione di nuovi mutui non può avvenire in via continuativa, ma è prevista con cadenza triennale;
- sono stati inseriti dei finanziamenti a breve termine (ad es. sotto forma di scoperti di conto corrente) il cui ammontare è stato prefissato in misura pari al 30% del fatturato annuo;
- gli interessi passivi sono differenziati fra quelli di mutuo e quelli a breve termine; le relative aliquote percentuali discendono dalla dinamica dei tassi inserita nella simulazione e illustrata in un altro capitolo.

I principali vantaggi connessi all'impostazione di una gestione finanziaria sono connessi alla verosimiglianza di un simile modello e alla sua efficacia valutativa. A fronte di questo beneficio, si riscontra un difetto piuttosto grave: nel momento in cui il perito crea, sua sponte, una gestione finanziaria, egli si arroga un ulteriore grado di libertà, utilizzando uno strumento che potrebbe rafforzare il livello di soggettività della valutazione.

· Tasso n.l. di remunerazione del capitale investito
Una seconda soluzione è costituita dall'adozione del tasso denominato W.A.C.C. (Weighted Average Capital Cost), ossia del tasso medio ponderato sul capitale investito. Questa tipologia di tasso viene applicato comunemente nelle analisi statiche, in quanto permette una corretta "miscela" fra i vari tassi per l'assolvimento dei debiti e quello per la remunerazione dei mezzi propri. L'inserimento di un simile tasso medio nell'ambito di una simulazione dinamica permette di riprodurre, per l'intera durata di questa, l'attuale situazione debitoria dell'azienda.
Proprio questa caratteristica costituisce la principale peculiarità di questa metodologia, e soprattutto la sua netta distinzione rispetto alla soluzione precedente. Quella, infatti, riproducendo una situazione reale (o quanto meno verosimile) di flussi finanziari concreti (o quanto meno possibili), creava un processo evolutivo aritmeticamente discreto (in pratica. definibile "a scatti"). Al contrario, l'adozione di tassi ponderati genera una situazione teorica, aritmeticamente continua: l'effetto leva si riproduce in ogni istante della durata della simulazione esattamente allo stesso modo, il che è molto poco realistico, ma straordinariamente efficace.

· Tasso n.l. variabile di remunerazione del capitale investito
Il maggiore difetto della soluzione appena descritta consiste nel fatto che, così come viene replicata automaticamente la situazione debitoria aziendale, dunque la capacità dell'impresa di raccogliere finanziamenti, anche l'attuale costo di tali finanziamenti (nonché quello per i mezzi propri) viene riprodotto indefinitamente. Trattasi evidentemente di una condizione possibile, perfettamente corretta nelle analisi statiche, ma troppo limitativa nelle simulazioni dinamiche: in questi casi, infatti, si ha modo di conoscere l'esatta evoluzione dei tassi d'interesse nel corso dell'intero periodo esaminato. Non solo, ma gran parte dei dati che compongono il piano economico/finanziario dipendono parzialmente da variabili (ad es. il saggio d'inflazione) che, nel modello di generazione dei tassi, svolgono una funzione essenziale.
Diventa perciò molto più flessibile e aderente alla realtà della simulazione effettuata il fatto di utilizzare un tasso variabile. La dinamica dei tassi fornisce, per ogni anno della simulazione economico-finanziaria, le varie tipologie di tasso: pur tenendo costante la composizione percentuale delle fonti di finanziamento (debiti o mezzi propri), è quindi possibile calcolare un W.A.C.C. differente per ogni singolo anno. In questo modo, il modello determina il valore attuale dei flussi di cassa conseguiti per ogni specifico esercizio: la loro sommatoria fornisce il risultato finale dell'analisi.
  

VERIFICA della STIMA con METODI SINTETICI

I cosiddetti criteri sintetici sono stati utilizzati solamente quali pietre di paragone, a valle del processo estimatorio. Il confronto relativo agli indici parametrici viene effettuato su alcune distinte variabili, in modo tale da avere un inquadramento più completo e autorevole.
· Multipli dei prezzi di mercato
Per la verifica di questo parametro è necessario confrontarsi con s.p.a. quotate in Borsa, o comunque con aziende di cui sia noto il prezzo di vendita. Da un'accurata analisi dei listini si sono estrapolate solamente tre aziende che, avendo quale oggetto esclusivo la gestione idrica, possono essere confrontate con l'azienda in esame. Trattasi di Alfa, Beta e Gamma. Per ognuna di esse è stato possibile definire il rapporto p/e, dove p rappresenta il prezzo dell'azione ed e la quota di utile netto afferente ogni azione: è evidente che moltiplicando tanto il numeratore quanto il denominatore della frazione per il numero delle azioni si ottiene il rapporto fra il prezzo di mercato dell'intero patrimonio netto e l'utile netto annuo. Conseguentemente, l'indice così definito rappresenta il moltiplicatore da applicare all'utile netto societario per pervenire alla stima del patrimonio netto.
Un'analisi condotta nel corso dell'ultimo quinquennio ha riscontrato una sostanziale stabilità di tale indice, soprattutto per la s.p.a. Beta (p/e compreso fra 23 e 26) e per la Gamma (p/e fra 38 e 45); la s.p.a. Alfa, invece, dopo aver fatto registrare qualche risultato altalenante, negli ultimissimi anni ha consolidato il p/e intorno a quota 48.
Dalla disamina di tali risultati si potrebbe evincere che una modalità di stima sintetica per le tre aziende esaminate consista nel moltiplicare l'utile netto annuo per un indice compreso a grandi linee fra 20 e 50, con una maggiore concentrazione fra 35 e 45. Nel caso dell'azienda in esame, considerata la minore liquidabilità di una s.p.a. non quotata e le incertezze derivanti dalle minori dimensioni, si ritiene di stabilire il moltiplicatore al di sotto del valore minimo riscontrato sul mercato (nella fattispecie, al di sotto della fascia di oscillazione fatta registrare dalla s.p.a. Beta). Conseguentemente, si è deciso di considerare un intervallo compreso fra 15 e 20. La stima cui si è pervenuti con la presente perizia implica per l'azienda in esame una definizione del suddetto rapporto fra 13 e 23, nettamente inferiore (dunque più prudenziale) rispetto alle fasce di oscillazione fatte registrare dalle tre aziende-campione.
Il grafico qui di seguito riprodotto evidenzia per l'appunto la situazione dell'azienda in esame: a sinistra è riportata una media degli utili netti conseguiti negli ultimi anni (€.300), sulla destra l'utile netto tendenziale emerso dalla simulazione (€.600). Le tre rette inclinate rappresentano le soglie minime e massime raggiungibili dal patrimonio netto, rispettivamente fissato a quota 15 (retta inferiore) e quota 20 (retta intermedia), nonché il moltiplicatore medio fatto registrare dalla minore delle tre aziende di confronto (s.p.a. Beta, quota 25, retta superiore). La fascia colorata in grigio scuro individua l'intervallo di oscillazione che è stato ritenuto congruo per l'azienda in esame; quella in grigio chiaro definisce un ulteriore intervallo meno prudenziale del precedente ma comunque ancora inferiore rispetto al valore della s.p.a. Beta. La parallela all'asse delle ascisse riproduce il risultato conclusivo della stima peritale (€.6.820).

Come si vede, anche qualora l'utile annuo aziendale rimanesse invariato, la retta della nostra stima ricadrebbe comunque nella fascia di oscillazione colorata in grigio-chiaro (esterna all'intervallo di congruità, ma inferiore comunque al dato Beta). Un lieve incremento del risultato economico, invece, basterebbe a traslare la stima peritale all'interno della fascia di congruità, evidenziata in grigio scuro. Se infine l'evoluzione dell'utile netto rispondesse pienamente alle previsioni peritali, la stima (€.6.820) implicherebbe l'applicazione di un moltiplicatore addirittura inferiore a 13.
Sempre in merito ai multipli dei prezzi di mercato si è effettuata un'ulteriore verifica, significativa dal punto di vista tipologico, ma non in termini settoriali. Trattasi di un'ex azienda municipalizzata per l'erogazione del gas, trasformata in s.p.a. e posta in vendita tramite procedura di gara pubblica. In tale caso, il Comune, nello stabilire il valore patrimoniale da porre come base di gara, aveva adottato un moltiplicatore p/e pari a:

- 24 volte l'utile netto medio degli ultimi anni;
- 16 volte l'utile netto prospettico.

La società aggiudicataria della gara, invece, ha determinato la sua offerta applicando un moltiplicatore p/e pari a:

- 44 volte l'utile netto medio degli ultimi anni;
- 30 volte l'utile netto prospettico.

L'elevato ammontare di questo moltiplicatore sembra costituire un'ulteriore conferma indiretta della stima cui è pervenuta la presente perizia.

· Indici parametrici di redditività
Un'ulteriore verifica comparativa è stata effettuata con riferimento ad alcuni ulteriori parametri reddituali, e per l'esattezza:

- Rapporto fra margine contributivo lordo e totale delle attività
- R.O.I.
- Utile lordo annuo
- R.O.E.

La tabella qui di seguito riportata evidenzia l'andamento dei suddetti parametri, comparando l'azienda in esame con le suddette s.p.a. Alfa e Beta. Ovviamente, i dati dell'azienda in questione sono successivi alla redazione della perizia, e includono le modifiche apportate da questa.

PARAMETRI Azienda Alfa Beta
M.C.L. / ATTIVO 5,60% 3,00% 7,30%
R.O.I. 2,70% 2,00% 4,00%
UTILE LORDO / PATRIMONIO NETTO 8,60% 4,00% 7,00%
R.O.E. 5,70% 2,20% 4,00%

La s.p.a. Beta presenta risultati migliori rispetto ad Alfa. Ciò è dovuto al fatto che, come osservato in precedenza, il rapporto p/e è molto più basso, dunque la redditività è maggiore. E' interessante sottolineare come l'azienda in esame presenti una serie di risultati sostanzialmente in linea con quelli di Beta: trattasi di un'ulteriore conferma indiretta circa l'appropriatezza del valore peritale prescelto.

· Ulteriori indici parametrici indiretti
L'ultimo riferimento parametrico che si intende prendere in esame consiste nell'indice sintetico espresso in un precedente capitolo al riguardo delle società britanniche di gestione idrica. Un metodo empirico adottato per la valutazione di tali società consiste nel moltiplicare per n Euro il numero di abitanti residenti nell'area servita. Nel caso in esame si otterrebbe l'importo di €.nnn, che dovrebbe rappresentare la valutazione sintetica del patrimonio netto, limitatamente alla sola attività al dettaglio.
A questo importo, infatti, deve essere aggiunta la stima per la quota di attività espletate all'ingrosso. In merito si può asserire quanto segue:

- fatto 100 l'ammontare complessivo annuo dei ricavi, il fatturato per la vendita di acqua all'ingrosso pesa per 55 e quello inerente il dettaglio per il residuo 45;
- si è stimato che, mentre sulle attività al dettaglio si ottenga un margine contributivo lordo del 23% sui ricavi, nel caso dell'ingrosso tale margine cresca al 28,5%.

Dal momento che la valutazione di un'azienda non dipende dal fatturato, bensì dal reddito prodotto, è evidente che la quota di valore aziendale ascrivibile all'ingrosso è ipotizzabile come segue:

Vi = Vd x ( 55 : 45 ) x ( 28,5 : 23 )

dove

Vi è il valore aziendale dell'attività all'ingrosso
Vd è il valore aziendale dell'attività al dettaglio

Determinandosi in tal modo un valore aziendale per la quota di attività all'ingrosso pari a €.nnn, ne deriva una stima complessiva della Gestione Idrica Integrata pari a €.nnn, di gran lunga superiore all'importo conseguito tramite il criterio valutativo prescelto. E' peraltro palese che questa metodologia estimativa sintetica, di natura reddituale, prescindendo sia dall'ammontare del capitale investito che dalla percentuale di indebitamento, sarebbe assai poco adattabile a una realtà aziendale come quella in esame, in cui il livello delle immobilizzazioni tecniche risulta molto più consistente rispetto alle altre aziende italiane di settore.

· Riflessioni conclusive
Ultimati i raffronti parametrici con altre società del medesimo settore, si è riscontrato che, in tutte le comparazioni effettuate, la stima peritale inerente il valore della s.p.a. è risultata congrua rispetto alle altre aziende assunte a paragone. Pertanto, pur ribadendo la natura di eccessiva sinteticità di questi metodi, quindi la loro inadeguatezza a fornire una valutazione aziendale completa e oggettiva sotto tutti i punti di vista, si ritiene che questa verifica trasversale fornisca un'ulteriore conferma indiretta circa la correttezza della stima espletata.

a cura di:

dott. Carlo Frittoli

(consulente)